Le rocce della Sardegna sono diverse. Un bravo geologo potrebbe spiegarlo bene e in modo tecnico, ma io non sono un geologo. Di quelle rocce ricordo il colore rosato, l’apparente morbidezza. Ricordo il loro essere sempre levigate, o dal vento o dal mare. Alcune sembrano uscite da un dipinto di Salvador Dalí, per quanto sono sinuose.
Quando andiamo in un parco naturale spesso siamo incuriositi dalla fauna e dalla flora. Quanti animali possiamo incontrare (meglio se pacifici). Quanti fiori e piante possiamo vedere. Le rocce, i minerali, non interessano quasi a nessuno. Ecco: le specie minerali nel solo arcipelago della Maddalena sono un centinaio. Alcune ci sono familiari – granito, quarzo – altre bizzarre già dal nome: la kamphaugite, per esempio, che a quanto apprendo esiste in pochissimi luoghi al mondo. Biancastra, dicono i geologi.
Deve essere uno di quei colori che alla Maddalena, in Sardegna, non si vedono. Tutti a rincorrere le infinite sfumature d’azzurro del mare – a proposito, è vero: il mare della Sardegna è come quello dei Caraibi, solo più freddo – e il verde della vegetazione.
Qui nidificano i falchi, i gabbiani e c’è la più grande popolazione italiana dei marangoni dal ciuffo. Impossibile confonderli: hanno il piumaggio tutto nero, un becco giallo e sottile simile a quello dei pinguini, e il ciuffo sulla testa cui devono il loro nome. Questo è un paradiso anche per gli amanti del birdwatching, insomma. Ma il colore delle rocce, quel grigio che sfuma nel rosa, lo guardiamo in pochi. Dovremmo iniziare. Dovremmo imparare.
Per tutta l’estate, al Villaggio Tci sull’isola della Maddalena si tengono corsi gratuiti per gli ospiti dedicati alle più svariate attività. Si impara a fotografare con lo smartphone, a osservare le stelle nel cielo notturno, a navigare a vela con gli istruttori del Centro Velico Caprera. E per tutta l’estate, esperti biologi tengono corsi di educazione e conoscenza dell’ambiente rivolti sia agli adulti sia ai bambini, con escursioni e visite in giro per l’arcipelago. E c’è un mondo da scoprire, un mondo fatto di colori e di profumi. Di piante, di animali e anche di rocce.
La prima volta che sono stato alla Maddalena sono salito alla vedetta, l’antica casa del custode che oggi è “la suite” del villaggio, non per le dimensioni, modeste, ma perché domina dall’alto tutta la baia. Da lassù ho sentito il profumo del rosmarino e del ginepro. Due pulcini di gabbiano strillavano poco lontano, spelacchiati e (immagino) affamati. Il resto era tutto silenzio. Bellissimo. Eppure mi rendevo conto che vedevo solo alcuni colori, sentivo solo alcuni profumi. Che poi, per noi di città, riconoscere i profumi della natura è molto più difficile.
Ora ho capito che a seconda dell’ora del giorno in cui salgo alla vedetta, cambiano i colori del mare e anche quelli delle rocce. Cambiano anche i profumi, perché il vento, che ama questi luoghi, porta ora questo ora quell’effluvio. Ho imparato il profumo della lavanda, che non mi aspettavo proprio di trovare qui, perché nella mia testa era solo in Francia, in Provenza. Ho visto il tramonto molte volte, e una volta anche l’alba. Faceva quasi freddo.
I Romani, con grande pragmatismo, chiamarono questo arcipelago Cuniculariae Insulae, “isole intermedie”, semplicemente perché si trovano tra la Sardegna e la Corsica. L’avevano capito anche loro, che questa è una terra di mezzo. Qui siamo a metà fra la vita civile e quella selvaggia, fra la natura addomesticata e quella che dobbiamo imparare a temere, fra la terra e il mare, fra il verde e l’azzurro.
Io però aspetto la prossima estate per salire alla vedetta, e guardare quelle rocce rosate quando il sole inizia a tramontare. E voglio vedere se i due pulcini sono diventati grandi, e se sono bianchi gabbiani, come credevo, o neri marangoni col ciuffo. Da piccoli non avrei saputo distinguerli, oggi sì.
Alla Maddalena impari a guardare il mondo con occhi diversi.