
Ma andiamo con ordine: vi raccontiamo come è andata.

Dunque, la vicenda parte con il disegno di legge 108/2020 “Disposizioni per il riuso, la riqualificazione e il recupero del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia di governo del territorio”, presentata dalla Giunta regionale sarda su proposta dell’assessore Sanna il 7 febbraio 2020. Una mini legge urbanistica della durata prevista di tre anni, quindi fino al dicembre 2023. Se approvata così come proposta, la legge avrebbe consentito tra le altre cose incrementi volumetrici del 30 per cento dell’esistente per le case poste oltre 300 metri dalla costa. Per quelle che si trovano entro tale fascia l’aumento sarebbe stato del 20 per cento, a patto che fossero state costruite prima del 1989. Per le strutture ricettive le percentuali lievitavano al 50 e al 30 per cento a seconda che si fosse all’interno o oltre i 300 metri dalla linea di costa. Aumenti erano previsti anche per le abitazioni nei centri storici sino al 25 per cento del volume, mentre si concedeva la possibilità di costruire nelle campagne dell’interno anche per chi possedeva almeno un ettaro di terreno agricolo purché sullo stesso terreno si piantassero alberi, ma senza alcuna necessità di essere imprenditori agricoli oppure coltivatori diretti.
Una proposta, quella della Giunta sarda, che secondo le associazioni ambientaliste era in netto contrasto con il Piano paesaggistico regionale del 2006 – che porta la firma dell’allora presidente della Regione Renato Soru – secondo cui entro 300 metri dalla costa l’inedificabilità è totale. Per andare oltre i vincoli del Piano, la Giunta sarda il 13 luglio 2020 ha approvato la legge 21 “Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale” con l’obiettivo di creare i presupposti tecnici per regolamentare da sola ambiti di solito di competenza statale, tra cui le costruzioni entro i 300 metri dalla costa. Una legge che le associazioni ambientaliste hanno prontamente ribattezzato “scempia coste” ed è stata impugnata dal Consiglio dei Ministri perché in contrasto con diversi articoli della Costituzione, tra cui l’articolo 9, quello secondo cui «la Repubblica tutela il paesaggio».

L’incontro organizzato dal Touring è servito per capire le differenti ragioni di chi quella legge l’aveva proposta, Sanna, e di chi era ed è decisamente contrario, come Tozzi e il Touring Club Italiano. «La legge non è il mostro che molti descrivono – ha spiegato Sanna –. Nessuno vuole cementificare le coste, perché sarebbe un attentato al nostro stesso territorio. Negli anni passati sulle nostre coste si è costruito tanto e male, progetti speculativi di basso livello, villaggi alveari e colate di cemento. Questa legge è l’occasione non per consumare altro suolo, piuttosto per intervenire sul costruito riqualificandolo secondo nuovi canoni. Utilizzando materiali locali come il marmo sardo e la lana di pecora, il legno e il mattone crudo sardo, tutti elementi che contribuiranno a restituire un senso identitario alle costruzioni, altrimenti chi arriverà penserà di essere in un posto qualsiasi in Italia. Mentre io vorrei una architettura che fosse subito riconoscibile come sarda», proseguiva l’assessore.
«Tutto questo è inteso anche a creare sviluppo e lavoro sull’isola e per chi ci vive, considerato che negli ultimi anni l’edilizia ha perso 37mila posti di lavoro. Dobbiamo anche migliorare le strutture ricettive esistenti per permettere loro di stare sul mercato, consentendo di aumentare il numero di camere fino a 60 e ampliarle, dotandosi di spa e altri servizi che attirino i turisti. La filosofia che ci guida è quella di uno sviluppo armonico nel rispetto del territorio, ma anche delle necessità dei sardi che altrimenti continueranno a emigrare come in questi anni».

Sanna però è restato fermo nelle sue posizioni: «Non si tratta di nuove costruzioni, ma di riuso e riqualificazione come è scritto nella legge. I sardi devono poter investire sul proprio territorio per costruirsi un futuro, anche costruendo se servisse». Per Tozzi l’investimento sul futuro dei sardi è la tutela assoluta del loro territorio, che è la loro maggiore risorsa. Concetto su cui concorda Sanna, seppur con un grande “ma”. «Anche a noi piace vedere le vacche pascolare sulle spiagge selvagge: ma se sono costretto a scegliere preferisco non vedere le vacche, e vedere invece la gente che lavora», conclude. Una visione che preoccupa il Touring. La scelta di aumentare le volumetrie, ancorché abbellita da parole come “riuso” e “riqualificazione” come fa il disegno di legge 108, pur di creare lavoro, non sembra al Touring la via migliore per un corretto sviluppo dell’isola. Perché l’eccezione della Sardegna, quella che la rende più attrattiva agli occhi dei turisti sta nel fatto di essere poco costruita (solo il 3,28 per cento contro il 7,10 per cento del resto d’Italia).

Alcuni punti del disegno di legge illustrato dall’Assessore Sanna sono stati cambiati a gennaio. Tra questo quello più controverso che riguarda la possibilità di aumenti di volumetrie nelle costruzioni che si trovano entro i 300 metri di distanza dalla costa. Rimane però la possibilità di ristrutturare purché l'operazione sia a saldo zero: si demoliscono tot metri cubi, si ricostruiscono tot metri cubi. È stato introdotto un vincolo specifico per le aree umide nei trecento metri dal mare. Vicino agli stagni e lagune non si potrà costruire, al di là della zona urbanistica di appartenenza: dall'area del Poetto di Cagliari all'Oristanese fino, in Gallura, alcune lagune vicine a Olbia e San Teodoro. Ma appena un metro oltre il limite le strutture alberghiere potranno raddoppiare la loro superficie. Secondo i critici la legge allarga le maglie del sistema urbanistico, non tiene conto della specificità ambientale della Sardegna e, in buona sostanza, persegue un modello di sviluppo poco lungimirante, che non tiene conto del delicato equilibrio tra pressione antropica e territorio.