
«Si lavorava sempre in due, perché lo spazio era poco. Si avanzava un metro alla volta, perché i pericoli erano tanti: il rischio di crolli, il gas grisou infiammabile… I primi giorni avevamo paura, poi abbiamo imparato a scuotercela di dosso, perché in miniera con la paura non si può lavorare».

Luigi De Giovanni, classe 1932, è l’ultimo minatore di Ozzano Monferrato (Al), Bandiera Arancione TCI. Ha gli occhi chiari, la voce ferma e mentre racconta usa spesso il presente.
Eppure sono passati più di 60 anni da quando le miniere di cemento di Ozzano hanno interrotto l’attività estrattiva perché fu inventato il cemento artificiale e scendere sottoterra per estrarre la marna, la roccia che opportunamente lavorata diventava calce o cemento, era ormai antieconomico. Ma per un secolo, dal 1857 alla metà del ’900, le miniere di marna sono state la principale risorsa economica di Ozzano, tanto che la popolazione del paese raddoppiò raggiungendo i quattromila abitanti.

«Qui c’erano le miniere, le fornaci e le fabbriche, ci lavoravano seimila persone e da qui è partita la calce per realizzare il traforo del Frejus e la Mole Antonelliana», racconta Ezio Foresto, uno dei volontari dell’associazione OperO (Opero per Ozzano) ha allestito all’interno di un ex cementificio restaurato dal Comune il Micem, Museo del Cemento e delle Miniere del Monferrato Casalese. Uno spazio espositivo denso di strumenti e di ricordi, con alcune rare fotografie che documentano il lavoro in miniera negli Anni Quaranta. «Pensate che le gallerie sono arrivate a 120 metri di profondità, ma i filoni di marna scendono giù fino a 600 metri. Avremmo potuto estrarla ancora per anni», spiega Foresto, che a questo tema ha dedicato due libri.
Il Micem si inserisce in un itinerario di archeologia industriale che comprende alcuni stabilimenti dell’epoca, purtroppo visitabili solo esternamente, lungo il Sentiero 738-Panorami e Ciminiere, un anello di sette km percorribile a piedi o in bici che si sviluppa attorno a Ozzano e permette di vedere alcuni reperti suggestivi come il pozzone Cavallera, alto 50 metri, oggi semisommerso nella vegetazione. «Il Comune sta cercando i fondi per rendere visitabile una delle miniere più grandi, la galleria Laurenta, lunga 2.7 km» spiega Mauro Monzeglio, consigliere comunale con delega a Turismo e Cultura. «E li troveremo ».
Bandiera Arancione TCI dal 2017, Ozzano è uno dei centri più grandi del Monferrato Casalese, pur avendo meno di 1.500 abitanti. Per agevolare i visitatori il Comune ha mappato con QR Code e un sistema di audioguide scaricabili i luoghi d’interesse nel centro storico, come Casa Bonaria-Simonetti, suggestivo edificio in legno e muratura del XV secolo, o come la parrocchiale di S. Salvatore, dalla volta affrescata in stile rinascimentale, unica in tutta la regione. «Ma lavoriamo per la promozione di tutto il territorio, non solo quello comunale», aggiunge Monzeglio.

Anche Rosignano Monferrato, a sua volta Bandiera Arancione a una manciata di chilometri da Ozzano, ha una storia che porta nel sottosuolo. A guidarci stavolta non è la marna, ma la pietra a cantone, una pietra arenaria simile al tufo, ma di origine diversa. È infatti il risultato dei depositi marini accumulatisi milioni di anni fa e spesso al suo interno si trovano fossili e conchiglie. «Nella preistoria questo era un mare ricco di isole», racconta Davide Arditi, produttore di vino barbera e grignolino qui a Rosignano. «Se andate ad Asti, al Museo Paleontologico è esposto un fossile proveniente da questa zona, il Delphino Ruxignani. E questo terreno roccioso così particolare aiuta anche a fare un vino buono. Buono e antico anche lui: ci sono documenti che attestano vendite di grignolino al Duca di Mantova già nel Quattrocento...».
Racconta il sindaco di Rosignano Monferrato Cesare Chiesa: «Siamo al centro del triangolo formato da Milano, Torino e Genova, distiamo da tutte e tre poco più di un’ora di auto eppure non abbiamo problemi di overtourism. Noi puntiamo a un turismo lento, paesaggistico. Il pittore Angelo Morbelli, il nostro figlio più illustre, dal paese guardava le colline circostanti e traeva ispirazione per i suoi quadri». Terminati i lavori per rendere accessibile il suo studio all’interno della casa natale in frazione Colma, tuttora abitata dalla famiglia (lo studio è stato inaugurato il 29 marzo), il Comune ha creato un itinerario morbelliano con 19 riproduzioni di sue opere, paesaggi e ritratti, collocate all’aperto, fra il centro storico e le varie frazioni, nei luoghi a lui cari.

Come la vicina Ozzano e altri sette piccoli Comuni, Rosignano si trova nel cuore dell’area Unesco “Monferrato degli infernot”, antiche stanze sotterranee scavate nella morbida roccia di queste terre – la pietra a cantone, appunto – che prende il nome dal termine provenzale enfernet, luogo angusto, prigione. Quasi tutte le abitazioni del centro storico hanno il proprio infernot, ma sono pochi quelli aperti al pubblico e visitabili. A Rosignano sono sette, cinque di proprietà del Comune e due privati ma accessibili con visite guidate. «I più antichi risalgono al Seicento: quello sotto il Comune era in origine una cisterna per l’acqua piovana, quello nel cortile del Municipio una ghiacciaia; perfino la Chiesa della Madonna delle Grazie ne ha uno» spiega Giacomo Pasino, guida turistica di Rosignano.

La pietra a cantone è morbida, si scava con relativa facilità. Facile da estrarre, è sempre stata usata come pietra da costruzione, ma qualcuno ha pensato che potesse anche essere scolpita e modellata. Stefania Baroso, impiegata e scultrice per passione, ha iniziato così a realizzare piccoli oggetti d’arte e souvenir lavorando la pietra a cantone: «Questa è una roccia ricca di sporcature, spesso emergono conchiglie e piccoli fossili, e questo la rende unica: nessun oggetto è uguale all’altro».
Quando visiti un luogo per la prima volta, se vuoi provare a comprenderlo non devi fermarti alla prima impressione, alla superficie. Devi scavare. Qui è stato facile: in tanti lo avevano fatto prima di me.