Negli ultimi vent’anni, gli attentati di matrice islamista si sono susseguiti con ritmo quasi incessante e spesso hanno avuto come obiettivo luoghi turistici.
 
Novembre 1997, Luxor (Egitto)
Settembre 2001, New York (Usa)
Ottobre 2002, Isola di Bali (Indonesia)
Marzo 2004, Madrid (Spagna)
Ottobre 2004, Taba (Egitto)
Aprile 2005, Il Cairo (Egitto)
Luglio 2005, Sharm-el-Sheikh (Egitto)
Luglio 2005, Londra (Gran Bretagna)
Aprile 2006, Dahab (Egitto)
Settembre 2013, Nairobi (Kenya)
Marzo 2015, Tunisi (Tunisia)
Giugno 2015, Sousse (Tunisia)
Ottobre 2015, airbus russo proveniente da Sharm-el-Sheikh (Egitto)
Novembre 2015, Parigi (Francia)
Novembre 2015, Bamako (Mali)
Dicembre 2015, Derbent, Daghestan (Federazione Russa)
Gennaio 2016, Hurghada (Egitto)
Gennaio 2016, Istanbul (Turchia)
Gennaio 2016, Jackarta (Indonesia)
 
Se buona parte degli atti puntava a colpire turisti occidentali in luoghi di vacanza “esotici”, alcuni eventi clamorosi (Torri gemelli, attentati di Londra e Madrid) hanno colpito, invece, la vita quotidiana di statunitensi ed europei “a casa”, non focalizzando, dunque, l’obiettivo sul turismo. Un ulteriore salto è stato compiuto con i più recenti attentati di Parigi in cui l’oggetto attaccato non è più nemmeno un luogo “sensibile” per come eravamo portati a concepirlo (treni, metropolitane ecc.) ma piccoli squarci di quotidianità la cui sicurezza non era mai stata messa in discussione fino a quel momento.
 
Emerge dunque una nuova consapevolezza: la minaccia terroristica, oltre a non essere più confinata in un altrove lontano che quindi può essere evitato escludendolo dai nostri comportamenti di viaggio, non è più nemmeno di “importazione” ma ha origine nella porta accanto, muovendo da concittadini occidentali o apparentemente “occidentalizzati”.

IL TURISMO IN UN CONTESTO NUOVO (O QUASI)
La storia recente ci insegna che questo nuovo contesto di attenzione permanente è sicuramente inedito per gli individui nel loro ruolo di “cittadini occidentali”, ma lo è sicuramente molto meno per i turisti, abituati comunque da oltre un decennio a fare i conti non solo con la pianificazione del viaggio ma anche con quella del rischio connesso: Egitto e Tunisia, per fare esempi a tutti noti, benché teatro di diversi attentati non solo recentemente, non sono certo destinazioni riservate a pochi “esploratori” o a turisti-pionieri ma mete di massa e alquanto popolari in Europa che, a fasi alterne, continuano a essere frequentate.
 
Sicuramente questa nuova escalation – anche per l’efferatezza e le modalità inaspettate degli avvenimenti – genera timori e cautele tra le persone, ma non la rinuncia totale al viaggio che, alla stregua della movida o di altri comportamenti sociali della nostra vita quotidiana, è ormai una necessità primaria irrinunciabile.
Ciò non significa che nulla sia cambiato o che nulla cambierà nel prossimo futuro ma il ragionamento va posto su due livelli distinti: macro e micro.

IL LIVELLO MACRO

A livello macro, dunque planetario, la storia degli ultimi trent’anni ci insegna che guerre, crisi geopolitiche, attentati e disastri naturali non hanno mai rappresentato una causa reale di arresto dei flussi turistici.
Come si può vedere, infatti, dal grafico riportato sotto, il vero calo del turismo mondiale si è avuto solo in coincidenza con la peggiore crisi economica dal Dopoguerra e che prende simbolicamente avvio dal fallimento di Lehman Brothers.
A esclusione di questo segno di discontinuità – peraltro limitato al solo 2009 – il turismo negli anni è cresciuto in modo forte e costante e le previsioni dicono che, mantenendo questo ritmo, nel 2030 si sfioreranno i 2 miliardi di viaggiatori.
 
A confermare questo trend positivo – anche per il 2015 – ci sono gli ultimi dati rilasciati dall’Organizzazione mondiale del turismo: nei primi otto mesi del 2015, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, la crescita degli arrivi internazionali è stata del 4,3%. Gli eventi dell’ultima parte dell’anno non sono chiaramente contabilizzati ma con ogni probabilità i dati definitivi non saranno così distanti da quelli parziali. Ciò non significa che il clima di timore non influisca, ma a livello globale nel turismo agisce un effetto “compensazione” per cui sono evitate le aree del mondo considerate a più a rischio a vantaggio di altre percepite più sicure.

IL LIVELLO MICRO

A livello micro, invece, il discorso cambia. Il terrorismo influisce sicuramente in modo negativo sulle performance di breve periodo, generando un effetto “fuga” cui, oltre agli eventi in sé, contribuisce in buona parte anche il sistema mediatico. I Paesi del Nordafrica sono un esempio: l’Egitto contava nel 2010 – ovvero prima della cosiddetta “primavera araba” – oltre 14 milioni di arrivi internazionali, scesi nel 2014 a 9,6 (-32%); la Tunisia è passata da 9 milioni di arrivi del 2010 ai 6 milioni del 2014 (-12%).
 
Del resto anche i dati sulle ultime festività natalizie dicono che le grandi capitali europee sono state meno affollate del solito: Parigi, come immaginabile, sconta l’effetto più vistoso e immediato con un calo di americani e giapponesi, ma anche Roma, per la quale il Giubileo doveva essere un traino turistico importante, ha registrato un calo di circa il 10% delle presenze.

Secondo gli operatori, “il dato incoraggiante è che, finito l’effetto emotivo comprensibile subito dopo gli attentati, le persone non stanno rinunciando al proprio stile di vita e quindi ai viaggi e lentamente si sta tornando alla normalità. Magari rispetto alle grandi capitali europee, per le ultime feste hanno scelto le città medie e piccole come Siviglia, Lisbona e le capitali nordiche. E poi Caraibi, Mauritius e le Maldive. Chiaramente ci sono stati grossi cali in Francia, Turchia, Tunisia ed Egitto” (Luca Battifora, presidente Astoi).
COSA CAMBIERA'
Si è detto che al turismo non si rinuncia ma è evidente che alcuni comportamenti cambieranno:
- probabilmente ci sarà una maggior ricerca di informazioni sulla sicurezza delle mete di viaggio (soprattutto nel caso in cui si tratta di destinazioni lontane);
- e dovremo abituarci a eventuali e improvvisi cambiamenti di regole in tema di accesso/circolazione con conseguenti rallentamenti anche nelle procedure più semplici (controllo agli imbarchi, alle frontiere, ai luoghi pubblici più noti ecc.).