Odora di gelsomino, la notte del Lido di Venezia. Gelsomino e primavera, con l'aria che finalmente chiama l'estate e mette voglia di stare fuori. Uno di quei giorni perfetti in cui ti dici, andiamo a fare una pedalata. Magari dall'altro lato della laguna, sulla terraferma. O se sei sulla terraferma, in laguna, fa lo stesso. È in un giorno così che si porta a compimento l'avventura del Ventobicitour promosso dal Politecnico di Milano. 649 chilometri (o forse 659, 648 chi lo sa, i numeri dipende come li calcoli e con quale navigatore) lungo il Po e non solo, da Torino a Venezia, attraverso un altro cuore d'Italia. Quello marginale che si dipana lungo gli argini del Po e lungo i canali che dal Delta arrivando fino a Venezia, ultima tappa di otto giorni di pedalate.

Oggi si riparte da Ca' Vendramin, quel tempio della Bonifica che celebra il Delta e la testardaggine della sua gente che ogni giorno metro dopo metro contende la terra al mare. Si pedala verso Chioggia in compagnia di ciclisti seri, del team chioggioto Alessandra e il sorriso. Ciclisti di quelli che la domenica percorrono cento chilometri per una sgambatina, e intanto si godono il paesaggio di ville e canali di questa parte di Veneto affacciato sulla laguna. Sono loro che fanno la strada e pedalando raccontano di queste terre, delle chiuse, dei canali, del potenziale poco sfruttatato di tutte queste vie d'acqua che originano in laguna e si insinuano nell'entroterra veneto per salire fino a Cremona. Sul canale Adige-Po troviamo anche la prima motonave che porta turisti, una delle poche viste in questi giorni, a testimoniare quasi che, se solo si volesse, si potrebbero sfruttare assai meglio queste infrastrutture dal sapore antico. E invece niente, passata la barca dei turisti con la guida che più che descrivere sul ponte invita i gitanti ad assaggiare la Sangria preparata nel bar, di sotto, mica un serenissimo spritz, o un'ombra de vin!! La Sangria come se qua fossimo in Spagna, sul Cammino di qualche Santo e non di rotta verso San Marco.

Ma prima di arrivare a Venezia c'è da passare per Chioggia, che qualcuno dice essere una piccola Venezia, ma il sindaco – che accoglie i pedalatori di Vento in consiglio comunale – assicura sia il contrario: «È Venezia che è una grande Chioggia». Sarà. Giusto il tempo di un tramezzino al tonno e cipolline, una crema fritta e un caffè e ci si rimette in marcia, pronti a conquistare Venezia dalla porta di servizio. Non più Mestre e il ponte della libertà, piazzale Roma e l'assedio dei turisti. Ma l'esile Pellestrina e poi lo scenografico Lido, il modo migliore per cambiare prospettiva. Così da qui il viaggio diventa una corsa a tappe tra traghetti e ferry boat. Sali e scendi sul vaporetto per Pellestrina, carica 15 biciclette, spiega che cosa fai, da dove arrivi, perché lo fai ai passeggeri, agli addetti all'imbarco e anche a un gruppo di giovani cadetti del Morosini, l'accademia navale veneziana. Non serve invece spiegare né come né perché ai due ragazzi danesi che incontriamo una volta sbarcati a Pellestrina. Loro pedalano dal 4 maggio. Partiti da Marsiglia puntano ad arrivare ad Atene e poi a Istanbul e poi chissà. A casa loro, in Danimarca la bicicletta è una religione, come il burro salato, e dell'Italia li stupisce l'assenza di percorsi attrezzati, oltre a una certa faciloneria nelle indicazioni stradali, che li obbligano a fare chilometri in più senza capire bene perché.

Ma a Pellestrina questo rischio non si corre, la strada è una: taglia in due la sottile striscia di sabbia che divide la laguna dall'Adriatico. Al massimo si può decidere se pedalare sul murazzo, o se passare dentro e fuori per il paese. Ma la direzione, a meno di non voler riprendere il vaporetto per Chioggia, è una: verso l'altra punta. Altro comodo saliscendi dal ferryboat e oramai ci siamo. Mancano quindici chilometri e ci sarà il traguardo. Si fa in tempo a scoprire le dune del Lido, il centro storico di Malamocco (che costituisce il nucleo originario di Venezia prima che si decidesse di costruirla sui pali, letteralmente in mezzo all'acqua) e continuare a pedalare con calma dei giusti (e soddisfatti) tenendo sulla propria sinistra una delle migliori viste del mondo: il profilo di San Marco e dei nobili palazzi del centro città. Peccato solo per quei grattacieli semoventi ormeggiati a un passo dal Canal Grande; tolgono poesia e irritano non poco gli abitanti, spaventati da quel che potrebbe succedere se una di queste navi crociera sbagliasse una qualsiasi manovra.

E così, in scioltezza, con la consapevolezza che se ce l'abbiamo fatta noi ce la possono fare davvero tutti, si arriva alla fine dell'avventura, all'ombra del magnifico profilo razionalista dell'aeroporto Nicelli, accolti da uomini e donne di mare (o di laguna) che per un giorno diventano uomini (e donne) di Vento.

E ora, davvero, via col Vento.