La Biennale d’arte di Venezia non può che cominciare così, con un’attrezzatura adatta allo sforzo anche fisico che si fa per visitarla. Per quello mentale bisogna fare delle premesse. Innanzi tutto è necessario considerare la quantità di cose da vedere. Già l’Arsenale e i Giardini meritano tempo e calma, poi tutti gli eventi collaterali sparsi per la città ci vorrebbe almeno un salto veloce e, infine, impossibile non considerare anche le grandi mostre inaugurate in coincidenza con la Biennale a Palazzo Grassi, alla Punta della Dogana, alla Fondazione Prada e ai magazzini del Sale che ospitano la Fondazione Vedova. Ora, è evidente che per vedere tutto ciò bisognerebbe trasferirsi a Venezia per settimane. Oppure selezionare. E qui viene il difficile. Abbiamo deciso di proporvi il nostro metodo e una sorta di divisione spazio temporale che speriamo possa aiutarvi.

Ieri. Le opere dei mostri sacri dell’arte contemporanea mondiale, per tutta la durata della Biennale, sono in Laguna. Non tutte, certamente, ma quelle sufficienti per farsi un’idea di che cosa ci hanno raccontato fino adesso. Tre le fondazioni che rendono possibile questo viaggio breve, in quattro sedi. La prima è la fondazione Pinault che si divide fra Palazzo Grassi e la Punta della Dogana. Nel primo la mostra “Il mondo vi appartiene” mette in prospettiva opere di artisti di diverse generazioni in un confronto sul dialogo. Ci sono Boetti e Cattelan (prezzemolini ormai), ma anche una piacevole stanza di foglie profumate di Penone e un bosco apocalittico di Gréaud. Se vi fanno male i piedi e non avete problemi con il sesso esplicito il film di Vezzoli rappresenta una pausa accettabile (ci fossero anche i pop corn sarebbe perfetto). La tappa successiva è alla Punta della Dogana e qui il gioco si fa duro. Fortunatamente il percorso di visita è semplice e di facile comprensione. Si inizia di nuovo con Cattelan, si prosegue con Donald Judd in un crescendo costante di grandi opere di Koons, di McCarthy, di Nauman (il primo sempre ludico, il secondo sempre provocatorio, il terzo sempre serio). La mostra “Elogio del dubbio” è bella, è diretta, è immediata e lo spazio che la ospita merita di per sé una visita dopo la ristrutturazione a opera dell’architetto giapponese Tadao Ando.

Poco distante, alle Zattere di Dorsoduro, la Fondazione Vedova propone una doppia mostra che coinvolge le opere dell’artista italiano e tre lavori pensati ad hoc da Anselm Kiefer per gli ex magazzini del Sale che ben si integrano nella location.

Una bella scarpinata o qualche fermata di vaporetto conducono a Ca’ Corner della Regina, l’ultima nata delle fondazioni dedicate all’arte contemporanea a Venezia, la Fondazione Prada che, dopo i successi milanesi, ha deciso di recuperare gli spazi di questo palazzo affacciato sul Canal Grande per esporre il meglio della propria collezione. Ci sono Castellani e Schifano, ma anche Jeff Koons e Damien Hirst, Carsten Holler e Francesco Vezzoli. Insomma, il “solito” gotha della contemporaneità artistica. Dopo un tour così l’infarinatura di base per la Biennale è pronta.

Oggi. Ottenere la stima del mondo, questo l’obiettivo dichiarato per ogni Biennale d’arte di Venezia secondo il suo presidente Paolo Baratta. Ottenere anche una lettura del mondo, aggiungiamo noi. Per questo gli 89 Paesi partecipanti di quest’anno propongono, attraverso i loro artisti, una visione, la loro, della contemporaneità. Iniziamo dall’Arsenale, una struttura straordinaria ideale per ospitare le opere selezionate dalla curatrice Beatrice Curiger in questa edizione chiamata IllumiNazioni. Spazi grandi per opere spesso di grandi dimensioni. Tra gli artisti c’è chi racconta dell’incidente minerario cileno come lo slovacco Roman Ondàk e chi si concentra sui ritmi frenetici di Shanghai come il collettivo cinese Birdhead. Ci sono i miti sudafricani incarnati dalla grande installazione di Nicholas Hlobo e la vita quotidiana in un carcere francese ripresa dagli stessi detenuti e rielaborata dall’artista algerino Mohamed Bourouissa. Un momento di pausa (anche lungo) lo merita il lavoro dell’americano Christian Marclay con il suo The clock. Ci si siede comodamente sui divanetti e si assiste al montaggio di centinaia di film in cui i personaggi interagiscono col tempo. Ogni inquadratura coincide con l’ora reale e il tempo diventa un divertissement. Proseguendo si arriva ai padiglioni nazionali dell’Arabia Saudita, dell’Argentina, dell’India, della Croazia... Fino al Padiglione Italia sul quale vale la pena spendere poche parole. Senza discutere della scelta degli artisti, è innegabile che l’allestimento sia a dir poco caotico, confusionario e male assortito. Dopo il rigore svizzero che ha caratterizzato la visita fino a questo momento, il caos regna sovrano rendendo pressoché impossibile capire se e quali siano gli artisti interessanti tra quelli invitati. Oppressi dall’eccesso meglio scappare ai Giardini dove si recupera la quiete girando tra i vari padiglioni fissi nazionali e il Padiglione centrale dove le opere del Tintoretto si confrontano con quelle di Cindy Sherman, con i piccioni di Cattelan, con i video di Pipilotti Rist, con la poesia di Karl Holmqvist... Tra i padiglioni nazionali da non perdere quello dei Paesi nordici, della Danimarca e della Svizzera. E con questo si sarebbe praticamente sazi.

Domani. Spesso gli esperti dicono che per scoprire i lavori migliori e le star del futuro bisogna però uscire dalle “istituzioni” e cercare gli eventi collaterali che riempiono letteralmente palazzi, chiese, piazze talvolta con opere di giovani o meno giovani artisti ancora da scoprire. All’Abbazia di San Gregorio a Dorsoduro, per esempio, la mostra “Future Pass” è una collettiva con alcune opere interessanti; al Magazzino del Sale n°5 “The future of a promise” coinvolge artisti mediorientali e nordafricani che cercano di dare la loro visione sui sommovimenti che coinvolgono i loro Paesi. All’ex Cantiere Navale, Cristiano Pintaldi con i suoi “Lucid Dreams” rende televisiva qualsiasi immagine dipinta mentre alla Scuola dei Laneri in Santa Croce i giochi diventano arte e viceversa grazie all’evento “Neoludica. Art is a game 2011-1966”. Basta camminare per scoprire mondi diversi e lontani, facendosi ogni volta un’idea nuova. Dopo questo genere di abbuffate molte cose si dimenticano, ma qualcosa rimane. La visione del mondo sintetizzata dagli artisti genericamente aiuta a comprenderlo meglio o, almeno, a vederlo con occhi diversi. Buona Biennale a tutti.