Il Touring Club Italiano sostiene Va' Sentiero, il progetto di tre ragazzi che da maggio 2019 hanno iniziato a percorrere tutto il Sentiero Italia. Alla pagina www.touringclub.it/vasentiero tutti gli articoli dedicati al cammino, con resoconti settimanali e approfondimenti sulle varie tappe. Seguite anche voi Va' Sentiero, partecipate a una tappa e condividete i contenuti!
C'è chi sogna ravioli cinesi e chi il riso con il prezzemolo. Chi teme il silenzio delle vette e ogni tanto mette su della musica, oppure si mette a cantare, anche canzoni piuttosto complicate a dire il vero. Chi si isola e procede spedito per la sua strada, perché la fatica, si sa, è un trucco della mente. Chi a qualsiasi cima abbina il nome di un alpinista. E chi conosce a memoria ogni impresa di Bonatti, l'idolo insuperato. C'è poi chi trova che tonno e cracker sia il migliore dei picnic. Chi parla, mentre cammina, e non si capisce come faccia a respirare. Chi sorride sempre. Chi traccia il cammino, chi scatta, chi drona, chi pensa alla cena della sera, chi deve chiamare il prete, il sindaco, l'assessore perché un posto, per la notte, bisogna pure trovarlo. Chi - addirittura - dice di non amare la montagna, salvo poi rimanere di stucco di fronte a un ghiacciaio che scintilla al sole. Loro sono Sara, Giacomo, Yuri, Andrea, Francesco: i cinque ragazzi di Va' Sentiero. 

Come avrete capito, finalmente abbiamo camminato anche noi con loro, un paio di giorni. Ed è stata un'esperienza bellissima, che consigliamo a tutti ancor più di quanto abbiamo fatto fino a questo momento: perché non c'è nulla come vivere un'avventura insieme per capire a fondo cosa significhi davvero, quell'avventura. Per conoscerne i protagonisti, poi - e scoprire quanto siano dedicati al loro progetto, infaticabili, meticolosi, e nello stesso tempo sorridenti, coinvolgenti, scanzonati nel loro essere giovani nel corpo e nel cuore. Ovviamente, per conoscere e amare ancora di più, se possibile, le terre alte e le loro genti. Quell'incredibile tesoro che ancora, a volte, tutti noi facciamo fatica a valutare, a capire. E che, dietro ogni valle, passato ogni colle, riserva sempre un incontro, un'epifania, un colpo di scena.
 

Ma lasciamo un attimo la poesia e andiamo con ordine. Siamo qui a raccontare i giorni di Va' Sentiero in Valle d'Aosta, la sesta regione toccata dal gruppo partito da Muggia il primo maggio. Giorni tra agosto e settembre in cui i ragazzi hanno segnato altri record sul loro taccuino: e non solo l'"avvistamento" delle cime più alte delle Alpi italiane, quei giganteschi Quattromila al confine con Svizzera e Francia, ma anche la centesima tappa, dall'inizio della spedizione, e soprattutto i duemila chilometri di cammino. Un numero che fa quasi paura a noi e che quasi fa sorridere loro, forse perché hanno ben presente quanti chilometri ancora mancano, alla fine della "passeggiata": circa cinquemila, da farsi entro l'autunno 2020. C'è di che conservare energia per il futuro. 

PARTE PRIMA: GRESSONEY, AYAS, VALTOURNENCHE
Li avevamo lasciati ad Alagna, nelle terre Walser, e di qui riprende la cronaca. "Siamo entrati in Valle d'Aosta attraverso il colle di Valdobbia, a 2480 metri di quota" spiega Giacomo "e siamo scesi nella valle di Gressoney, la prima delle tante valli valdostane che sarebbero arrivate. Anche qui la presenza Walser è evidente, con belle case e musei che valorizzano quest'antica cultura". A colpire i ragazzi a Gressoney-St-Jean e Gressoney-La-Trinité, i due Comuni in cui è suddivisa la valle (il primo è anche certificato dal Touring con la Bandiera arancione) pure il lago di Gover, dove si specchia il monte Rosa, e castel Savoia, in realtà una dimora voluta dalla regina Margherita di Savoia, moglie di Umberto I. "La regina in seguito ad alcuni soggiorni di villeggiatura trascorsi presso la residenza del barone Beck Peccoz si innamorò della valle e volle una dimora per sé. Scelse un luogo bellissimo, dove si può ammirare un suggestivo panorama sul Rosa. E vi soggiornò dal 1901 al 1925". Castel Savoia è oggi visitabile e sede di eventi: i ragazzi hanno assistito a un concerto serale, per esempio. 


Al Colle di Valdobbia, porta d'accesso alla Valle d'Aosta - foto A. Buonopane

Da Gressoney tappa stremante e bellissima per St. Jacques, in val d'Ayas, come racconta Yuri: "Dopo una sveglia che non è suonata e un risveglio rocambolesco, verso le 7 ci siamo messi in marcia verso il col Pinter, facendo una deviazione rispetto al tragitto del Sentiero Italia. L'obiettivo era infatti di raggiungere il colle e poi il bivacco Ulrich Lateltin, da cui salire sulla cima della Testa Grigia: se pensi che Gressoney St Jean è a 1385 metri di quota e la vetta a 3315... tanta fatica, ma ne è valsa la pena, anche se ovviamente una volta in cima tutto s'è coperto di nuvole!". L'entusiasmo in ogni caso era alle stelle: "la soddisfazione di arrivare in cima è sempre incomparabile. Poi, riscesi al bivacco, abbiamo pure trovato una chitarra... e quando siamo arrivati al laghetto Pinter c'è scappato pure un bagno rigenerante!". Lunghissima la discesa fino alla val d'Ayas, in compagnia anche di due albesi, Diego e Andrea, che solevano frequentare St Jacques da adolescenti, in occasione di campi estivi, e che quindi hanno guidato il gruppo alla scoperta del luogo. 


L'imponente massiccio del Rosa visto da sudovest, lungo la salita alla Testa Grigia - foto A. Buonopane

Un'altra tappa lunga e faticosa attendeva i ragazzi l'indomani: quella che dalla Val d'Ayas li avrebbe portati in Valtournenche, più precisamente al rifugio Barmasse. "Anche in questo caso" continua Yuri "abbiamo fatto una deviazione dal Sentiero Italia, su consiglio della gente del luogo". Il gruppo è infatti passato dal Colle Superiore delle Cime Bianche, percorrendo uno stupendo vallone fino al passo, da cui arriva la vista sul secondo Quattromila valdostano: Sua maestà il Cervino. "Nonostante tutti avessimo perfettamente in mente la sua forma, trovarselo davanti è stato uno spettacolo: è talmente unico, il Cervino, con le sue rocce squadrate e verticali... una piramide enorme, perfetta". Non manca nei ragazzi una riflessione sull'impatto degli impianti sciistici, discretamente impattanti alla vista: "prima il Cervino era il paesaggio, ora è diventato quasi un contorno alle piste da sci...". Discesa a Valtournenche, poi lunghissimo traverso seguendo le vecchie rotaie sul versante orientale della valle, "su un sentiero largo, chiacchierando fianco a fianco". Fino al bel rifugio Barmasse, sulle sponde del lago di Cignana. 


Appare il Cervino - foto A. Buonopane

PARTE SECONDA: DALLA VALPELLINE AL GRAN SAN BERNARDO
A volte il richiamo di Va' Sentiero porta a fare scelte insolite. Come quella di Veronica, che ha lasciato il suo letto in Toscana alle 4 di mattina per raggiungere i ragazzi al rifugio Barmasse e fare con loro un pezzo di strada. Logico che poi partisse un po' stanca per la tappa... "Povera, il sentiero verso il rifugio Cunéy si è rivelato per lei un tormento: alla fine alcuni di noi si sono staccati per aiutarla e farle compagnia e sono arrivati alle 19.30 al rifugio, stremati" ricorda Yuri. "La scena era comica e tragica nello stesso tempo. Francesco, il cambusiere, cantava per incoraggiarla; lei si appoggiava a me che cercavo di trascinarla....". E per di più la tappa, sull'alta via numero 1 della Valle d'Aosta, non è tra le più semplici: la discesa verso il rifugio, per esempio, è lunga e ripida. "Per fortuna il Cunéy è una struttura molto ospitale, un vero rifugio d'alta montagna, essenziale e rustico, con 25 posti letto in dormitori rivestiti di legno". Si tratta del rifugio più alto sulle Alte Vie della Valle d’Aosta, a 2.652 metri di quota; accanto, il seicentesco santuario della Madonna delle Nevi, colmo di ex-voto e meta ogni anno di sentiti pellegrinaggi. "Il rifugio era in origine proprio il bivacco per i pellegrini" aggiunge Francesco. 

Gambe in spalla e via verso Oyace e Ollomont, dove il gruppo si è poi fermato per una giornata di pausa. "Quel giorno io e Mattia, il nostro amico ventunenne ultratrailer che ci fa compagnia da luglio, ci siamo imbarcati in una corsa per i bricchi" ride Yuri. "Abbiamo provato a vedere quanto ci mettevamo a percorrere la tappa di corsa senza fermarci un attimo e i risultati sono stati al di sopra delle nostre aspettative: nonostante la pioggia che ci ha colto in discesa, dopo il col di Veysonnaz, il tempo segnato è stato superiore solo di 15 minuti a quello del vincitore del Tor des Géants, che passa da queste stesse parti!". Imprese a parte, a Ollomont Va’ Sentiero è stato ospite della casa per ferie S. Cristoforo, gestita da Pro Domo impresa sociale, che opera nel settore del turismo con lo scopo di offrire un’esperienza di socializzazione, crescita individuale e di gruppo, grazie alla proposta di case per ferie immerse nella natura. E ha partecipato a un bell'evento astronomico organizzato con un gruppo locale, insieme a un pubblico di adolescenti interessati. 


Osservazione astronomica a Ollomont - foto S. Furlanetto

A Ollomont, come fa notare Francesco, si lascia il mondo dei Walser per entrare in quello di sfera francese, dove - per intenderci - si parla patois, si produce fontina e si vive seguendo i ritmi secolari dell’énarpa e della désarpa, ovvero della salita all’alpeggio e della discesa a valle delle vacche. “La tappa verso St Rhémy è stata molto gradevole, anche perché siamo passati da un alpeggio bellissimo dove è situato il rifugio Champillon. Immagina l’atmosfera: gestori giovani, murales sulle pareti, sauna vista montagne... Non ce ne volevamo più andare!”. Un passo con annesso un magnifico panorama ha poi dato il la a una lunga discesa verso l’Enoteca Enoetica, luogo di ristoro in quota di fianco al rifugio per i pellegrini che percorrono la Via Francigena. Il passo del Gran San Bernardo è dietro l’angolo.

PARTE TERZA: L'APPARIZIONE DEL MONTE BIANCO
"Dal Gran San Bernardo fino alla Valgrisenche è stato un grande, incredibile climax" commenta Yuri. E non possiamo che essere d'accordo, visto che almeno in parte c'eravamo anche noi a testimoniarlo: le tappe verso Courmayeur, poi La Thuile e poi ancora Valgrisenche sono state benedette da un meteo perfetto, con quei cieli tersi e quell'atmosfera di fine estate che chi frequenta assiduamente la montagna ben conosce. E poi, a segnare il viaggio, a colpire i ragazzi - alcuni dei quali le vedevamo per la prima volta - ma anche noi, che le conosciamo da quando eravamo bambini, le montagne del Bianco, il massiccio per antonomasia, l'incubatore di ghiacciai e torrenti, di graniti splendenti e di nevi perenni. 

La prima giornata di avvicinamento al Bianco è partita dal passo del Gran San Bernardo, con il suo enorme ospizio a segnare il confine con la Svizzera e il punto di partenza della Via Francigena italiana. "C'era pure un bizzarro signore che è sceso dalla macchina e si è messo a suonare l'alphorn, quel corno lunghissimo e talmente pesante che lo si deve appoggiare per terra" ricorda Yuri. "A me ha colpito che fosse un passaggio già in epoca romana" aggiunge Francesco "c'erano strutture per il transito e il ricovero, ma anche un tempio dedicato a Giove Pennino: la gente lasciava placchette di bronzo come ex voto". Poi, il col des Ceingles, tra aspre pietraie, e l'arrivo al rifugio Pier Giorgio Frassati, inaugurato nel 2011 e gestito da Operazione Mato Grosso, realtà già incontrata da Va' Sentiero in Lombardia. Si tratta di un movimento di volontariato educativo missionario che svolge attività in America Latina volte ad educare e a favorire i più bisognosi. "A gestire il rifugio sono volontari, che si alternano durante tutta la stagione, e il ricavato va interamente allla missione". 


Il Gran San Bernardo - foto S. Furlanetto

Il tempo di entrare al Frassati e sorseggiare la tazza di the di benvenuto che il cielo si è coperto. In un attimo, chicchi di grandine hanno ricoperto le vette intorno - un vero spettacolo, specialmente se visto dalle finestre di un rifugio! Terminata la buriana, un gruppo di stambecchi si è messo a brucare nei prati vicino alla struttura. E, calata la sera, il cielo si è coperto di stelle: la Via Lattea sembrava lì, a un palmo di mano, a navigare tra centinaia di corpi celesti scintillanti. "Ma il momento più bello della serata" aggiunge Yuri "è stato quando all'orizzonte, sulle cime della valle, mentre noi osservavamo incantati il cielo sopra di noi, si è scatenata una tempesta di fulmini: non avevamo mai visto nulla del genere". Le luci intermittenti dei lampi che rischiaravano le vette facevano pensare a sabba di streghe, a cartoni animati, a saghe di eroi e di draghi. Uno spettacolo indimenticabile. 


Va' Sentiero, Touring e Operazione Mato Grosso davanti al rifugio Frassati - foto S. Furlanetto

Il giorno dopo il Sentiero Italia, che in Valle d'Aosta segue le alte vie (in questo caso la numero 1, poi da Courmayeur la numero 2), passa per il punto più alto del suo percorso: il col Malatrà, a 2925 metri di quota. Da una parte, alle spalle, il Grand Combin; poi, una volta arrivati a quella stretta apertura nella roccia che costituisce il passo, finalmente si vede il Bianco. Ed è una vera e propria apparizione: anche perché non c'è solo la vetta, a catalizzare l'attenzione, ma un massiccio, una montagna intera. "Quando la punta Walker delle Grandes Jorasses è spuntata dietro i colli verdi" commenta Yuri "siamo rimasti tutti a bocca aperta". E via con l'identificazione delle cime, dei ghiacciai, dei rifugi: anche perché il Malatrà - e poi i monti della Saxe, paralleli al massiccio e percorsi per arrivare a Courmayeur - sono balconi naturali perfetti per sedersi e mettersi a contemplare le vette di fronte. "Siamo tutti grandi fan di Bonatti e questo era proprio il suo terreno di caccia" sorride Yuri "il Fréney, la Brenva, la punta Walker, tutti nomi letti cento volte sui libri e finalmente ammirati dal vero...".


Salendo al col Malatrà - foto S. Furlanetto


Il Bianco, là in fondo - foto S. Furlanetto

A suggellare il momento anche l'arrivo inaspettato di 12 grifoni, creature dall'apertura alare straordinaria, che in pochi secondi sono planati dalle falde del Bianco fin sopra alle teste del gruppo, fermatosi a fare un picnic. Sono avvoltoi inconsueti per la Valle d'Aosta, che nelle ultime estati arrivano più frequentemente di una volta dai loro luoghi di riproduzione in Francia. "Hanno regalato momenti memorabili a tutti noi: abbiamo potuto ammirarne alcuni anche dall'alto, mentre volteggiavano nelle vallette sotto di noi. E da vicino: alcuni sono passati a pochi metri, un'emozione incredibile. Poi, così come erano arrivati, altrettanto velocemente sono scomparsi alla vista". 


Un grifone arriva dalle nuvole - foto S. Furlanetto

Courmayeur è una delle località più celebri delle Alpi: un tempo i turisti accorrevano per le terme, oggi per le boutique e le piste da sci. "Però nello stesso tempo è legata anche alla storia dell'alpinismo, le sue guide alpine sono tra le più rinomate e conosciute d'Italia" ricorda Francesco, che è rimasto particolarmente impressionato dalla storia dell'Abbé Henry, cui è dedicata una statua davanti alla parrocchiale: un bellissimo esempio di prete botanico e alpinista, che scalò tutte le vette della valle tra Ottocento e Novecento (e riuscì persino a portare un asino sul Gran Paradiso). Non poteva mancare, nella giornata di pausa di Va' Sentiero, una salita sul massiccio del Bianco con la spettacolare SkyWay, la nuova funivia che dal fondovalle arriva fino a Punta Helbronner, a quota 3466 metri. Nonostante le vette fossero ammantate di nubi (mentre a valle splendeva il sole), tutti sono rimasti impressionati dalla struttura avveniristica ("quasi un'astronave"), dalla sala dei cristalli, dai belvedere sul ghiacciaio, dall'accoglienza del rifugio Torino, un nido d'aquila collegato da uno straordinario tunnel alla punta. E anche dalla storia di Paul Helbronner, l'ingegnere francese che nei primi decenni del Novecento mappò tutte le montagne del suo Paese con una precisione straordinaria. 


Salendo a Punta Helbronner con Skyway Monte Bianco - foto S. Furlanetto

Gli dei della montagna hanno deciso di sorridere a Va' Sentiero anche il giorno successivo, quando il gruppo ha camminato verso La Thuile. "La tappa passa prima per Checrouit, poi conduce fino al Mont Fortin, la vetta che domina la val Veny e, di fronte, tutto il massiccio. Ed è stato incredibile a mano a mano che procedevamo vedere il Bianco che spuntava prima dalla foresta di abeti con qualche cima delle più alte, poi, cambiando prospettiva, nella sua interezza dalla vetta del Mont Fortin" racconta Yuri. I ragazzi hanno pure prestato soccorso a un escursionista francese che era finito chissà come fuori dal sentiero ed era piuttosto spaventato, prima di scendere al col de Chavannes e intraprendere il lunghissimo vallone che porta fino a La Thuile. 


La Val Veny e la val Ferret viste dal Monte Fortin; a sinistra il massiccio del Bianco - foto S. Furlanetto
 

"Pensavamo di aver già vissuto le emozioni più forti, ma ancora dovevamo fare i conti con la tappa da La Thuile a Planaval" ride Yuri. Una tappa che è stata tra le più belle di tutta la spedizione di Va' Sentiero: un po' perché ancora baciata dal sole, un po' per la grandiosità dei paesaggi e la varietà dei panorami. "Siamo partiti con le tuonanti e spaventose cascate del Ruitor, che sollevano quantità incredibili di vapore acqueo sulle rocce levigate del torrente" racconta Yuri "poi siamo saliti al lago dei Seracchi e al lago del Ruitor, fino a trovarci al rifugio Deffeyes e di fronte al ghiacciaio del Ruitor". Un ghiacciaio davvero sensazionale, diverso da quelli del Bianco perché quasi piatto, incastrato tra le vette, una coltre immensa di neve. "Che peraltro si è ritirata parecchio, a guardare le foto mostrate dal simpatico gestore del rifugio" spiega Yuri. Nei pressi, anche una cappelletta, dedicata a San Grato e Santa Margherita: "venne eretta perché il ghiacciaio nei secoli causava molti danni, in particolare alluvioni improvvise. E la popolazione esasperata cercava di contrastarlo con uno dei pochi modi in cui poteva farlo: la preghiera" aggiunge Francesco. 


Il gruppo e il gestore del rifugio Deffeyes; sullo sfondo il Ruitor - foto A. Buonopane

Dal rifugio ancora salite, passi, panorami pazzeschi. "Dal Col de la Crosatie si potevano scorgere persino il Rosa e il Cervino, oltre al Grand Combin, al Bianco, alla Grivola, al Gran Paradiso: tutti i Quattromila valdostani erano davanti a noi!". Potete immaginare l'entusiasmo. Un sentiero ben progettato, con una parte attrezzata, ha condotto i ragazzi al lac de Fond, bellissimo specchio d'acqua sopra la val Grisenche, e poi in fondovalle a Planaval, tra pianori verdi solcati da vene d'acqua sorgiva.


foto A. Buonopane

PARTE QUARTA: NEL PARCO DEL GRAN PARADISO
L’ultima parte della Valle d’Aosta ha visto quattro tappe tra le valli meridionali della regione, in parte comprese nel parco nazionale del Gran Paradiso. “Qui il meteo è decisamente cambiato: come un po’ in tutta Italia negli stessi giorni, le temperature sono calate di parecchi gradi e lo zero termico si è abbassato” spiega Yuri “così che abbiamo ritrovato la neve nonostante fossero i primi giorni di settembre!”. Dal van che segue Va’ Sentiero - guidato dall’insostituibile Giovanni - sono riemersi piumini e cappelli che giacevano in fondo alle borse da mesi.




Verso Chalet de l'Epée - foto A. Buonopane
 

Non c’è stata quindi possibilità di ammirare al meglio i panorami per cui la Valgrisenche e la val di Rhêmes sono famose: le montagne sono state spesso immerse nella nebbia o nelle nuvole basse, mentre i cinque ragazzi procedevano tra un colle e un rifugio. “Ma non sono mancati gli squarci di luce e i momenti suggestivi... Dapprima abbiamo fatto tappa al chalet de l’Epée, in fondo alla Valgrisenche” racconta Yuri “poi, attraverso il col Fenêtre, abbiamo raggiunto Bruil, in val di Rhêmes. E poi ancora siamo arrivati al rifugio delle Marmotte, gestito nuovamente da Operazione Mato Grosso. Qui abbiamo lasciato Mattia, il 21enne ultratrailer, che si fermava ad aiutare per qualche giorno i gestori volontari”.




Verso il rifugio delle Marmotte - foto A. Buonopane

 
Ultima tappa prima di riapprodare in Piemonte fino ai piani del Nivolet, in pieno territorio del parco nazionale. “Sono luoghi selvaggi, bellissimi” commenta Francesco “per fortuna salvaguardati dal parco nazionale più antico d’Italia, una ex riserva di caccia del re che permise di salvare gli stambecchi dall’estinzione”. Qui le montagne si chiamano Grivola, Ciarforon, Gran Paradiso: forse meno spettacolari di quelle incontrate nei giorni precedenti, ma altrettanto suggestive, “soprattutto il Ciarforon, una pinna di squalo” commenta Yuri. I ragazzi hanno notato come i sentieri, nell’area protetta, siano perfettamente tenuti e segnalati, ancor più che altrove.