Lei si chiama Demetra e ha quasi mille anni. Ovvero: è nata in pieno medioevo, ancor prima di Federico II. Ha visto passare eserciti di ogni dove, ha sentito parlare mille lingue, ha assistito a cambiamenti epocali. E ancor oggi continua a produrre foglie e ghiande come un tempo. Perché Demetra è una quercia, più precisamente una rovere (Quercus petraea) che cresce nel parco nazionale dell'Aspromonte, in Calabria. E che è stata recentemente "scoperta" dal team dell'Università degli Studi della Tuscia, Dipartimento Dafne. 

"La sorprendente età di Demetra - 934 (±65) anni, secondo la datazione al radiocarbonio - la rende il più antico albero di latifoglie di clima temperato datato al mondo" spiega Gianluca Piovesan "espandendo la longevità massima conosciuta di oltre 300 anni per le latifoglie datate con metodi dendrocronologici (due faggi di 620 anni scoperti due anni fa nel parco nazionale del Pollino e soprannominati Michele e Norman) e di 200 anni rispetto ad età precedentemente ottenute da analisi al radiocarbonio (due querce dalla Romania)". Una regina delle querce, insomma, che come molti altri patriarchi (i due faggi citati e il pino loricato chiamato Italus) vive sulle montagne mediterranee tra Basilicata e Calabria. Con lei Piovesan e colleghi hanno trovato altre cinque roveri plurisecolari, di età compresa tra 570 (±45) e i 934 (±65) anni; Demetra è quella con il diametro più piccolo, visto che spesso più le piante crescono lentamente più hanno la probabilità di invecchiare (nel suo caso, soltanto 0,4 mm per anno).


Rovere di circa 600 anni con chioma senescente, parco nazionale dell'Aspromonte. Notare la corteccia presente solo su una parte del fusto cariato

UNA MISSIONE COMPLICATA
Da molto tempo le querce sono considerate un simbolo di longevità, ma studi scientifici in grado di determinarne con precisione le età sono stati raramente condotti in Europa. "Studiare la longevità degli alberi in risposta ai cambiamenti climatici in ambienti diversi è una priorità di ricerca sia per la conservazione della natura sia per le strategie di mitigazione del cambiamento climatico" afferma Piovesan, che ha pubblicato lo studio sulla rivista Ecology (DOI: 10.1002/ecy.3179).

“Il campionamento è stato particolarmente arduo per due ragioni” continuano Jordan Palli e Michele Baliva del DendrologyLab dell’Università degli Studi della Tuscia. “In primo luogo, questi antichi alberi si trovano su ripidi pendii rocciosi di alta montagna, difficili da raggiungere e da percorrere. In secondo luogo, individui molto vecchi risultano spesso cavi nella parte interna del fusto a causa di secoli di esposizione alle intemperie, ad organismi nocivi e patogeni naturali”. Ciò significa che gli anelli più antichi sono spesso mancanti o gravemente degradati, rendendo molto difficile l'identificazione e la raccolta degli anelli più vicini al midollo per la datazione con il metodo del radiocarbonio. “Nel DendrologyLab abbiamo effettuato una meticolosa analisi allo stereoscopio per identificare gli anelli più vecchi nei nostri campioni” aggiungono Baliva e Palli “date le dimensioni molto ridotte degli anelli, abbiamo dovuto utilizzare un bisturi per prelevarli”.


Il dottorando Jordan Palli e la guida dell'Aspromonte Antonio Barca durante i rilievi per raccogliere i campioni legnosi per la datazione al radiocarbonio da parte del gruppo di ricerca del Cedad dell'Università del Salento.

Le analisi di datazione al radiocarbonio sono state condotte grazie all’AMS (Accelerator Mass Spectrometry) presso il CEDAD (Center for Applied Physics, Dating and Diagnostics) dell'Università del Salento a Lecce. “L'uso del metodo di datazione al radiocarbonio ci ha permesso di valutare l'età assoluta degli alberi con un alto grado di accuratezza mentre strumenti statistici avanzati per l'analisi dei dati ci hanno aiutato a migliorare la risoluzione cronologica raggiunta” afferma Gianluca Quarta, professore di Fisica Applicata al CEDAD.


Alcune roveri plurisecolari nella riserva dello Stato Alto Aspromonte

LA CONSERVAZIONE DELE FORESTE PLURISECOLARI
A partecipare allo studio anche il parco nazionale dell'Aspromonte. “La scoperta di queste longeve roveri nell'ambiente montano d'alta quota dell'Aspromonte conferma l'elevato livello di naturalità degli ecosistemi forestali nelle aree protette dell'Appennino meridionale” afferma Antonino Siclari del parco nazionale dell'Aspromonte. I parchi nazionali dell'Aspromonte, della Sila e del Pollino si trovano nella parte meridionale della regione mediterranea europea, un hotspot di biodiversità per la conservazione degli ecosistemi forestali. Qui le riserve naturali integrali preserveranno estese foreste plurisecolari dove vivono le specie vulnerabili che richiedono per il loro ciclo di vita alberi habitat molto vecchi (ad esempio alcuni coleotteri).

“Ciò che emerge sempre con maggiore evidenza è che gli ecosistemi forestali di montagna nelle regioni temperate e boreali, dove vivono gli alberi più antichi della Terra, hanno un valore conservazionistico rilevante. In un recente lavoro con Alessandro Chiarucci dell’Università di Bologna pubblicato su Conservation Biology abbiamo sottolineato la necessità di mappare tutti gli ecosistemi forestali di elevata naturalità nei diversi biomi del mondo al fine di proteggerli e raggiungere così gli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile” afferma Piovesan.


Veduta del paesaggio delle vecchie roveri dalla Riserva dello Stato Dell'Alto Aspromonte gestita da Carabinieri Forestali

L'Aspromonte si trova al centro del bacino del Mediterraneo, un'area fondamentale per le ricostruzioni climatiche. “Un ulteriore valore ecologico dei vecchi popolamenti come quello dell'Aspromonte è che possono essere utilizzati per ricostruire la storia ambientale dell'area. Le informazioni contenute negli anelli degli alberi possono essere decodificate e utilizzate per interpretare come le variazioni ambientali, in particolare il clima, hanno modellato la struttura e la funzione della foresta. Questo è il prossimo passo che stiamo compiendo con le querce dell'Aspromonte” aggiunge Isabel Dorado-Liñán, ecologo forestale dell'Università di Madrid. “Questi alberi longevi sono testimoni del nostro passato. La storia del nostro clima, dell'attività solare, dell'impatto dell'uomo sull'ambiente è registrata nei loro anelli e siamo certi che altre importanti scoperte arriveranno” conclude Lucio Calcagnile, Direttore del CEDAD.