Troppo a lungo lo specchio con cui si sono guardati gli indiani era fatto altrove. Per anni se volevi leggere qualcosa sull'India, un'impressione, un reportage, una storia semplice dovevi rivolgerti agli scrittori stranieri. Noi italiani avevamo Pasolini e Moravia, Manganelli e le traduzioni dei letterati di tutto il mondo, da Hesse a Kipling. Tutti grandi autori, per carità. Ma tutti scrittori che a ogni riga sentivano (e sentono) il bisogno di spiegare che il curry non è una spezia e riflettere, dall'esterno, sul perché mai una civiltà filosoficamente così avanzata permetta la divisione in caste, la povertà imperante, la violenza diffusa sulle donne. E tutta la quantità immensa di problemi dilaganti e domande insolute che assillano noi occidentali.

DEDICATO ALL'INDIA
Ecco, il più recente numero (il 130 pubblicato il 29 gennaio) di Granta - rivista britannica di scrittura creativa che spesso e volentieri sconfina nel reportage - mostra che l'India, gli scrittori indiani, sono cresciuti. Credono di più in loro stessi e non sentono più la necessità di farsi raccontare dagli altri, ma sono capacissimi di farlo da soli.
Un bel cambiamento da quando, era il 1997, uscì il primo numero di Granta dedicato all'India. Allora si festeggiavano i 50 anni dell'indipendenza e il Paese sembrava essere la grande promessa. La più grande democrazia del pianeta come tanti amano sottolineare senza riflettere troppo sul come funzioni questa democrazia, era sulla soglia del boom economico, del cambiamento epocale. E invece, dopo 20 anni, il grande cambiamento non c'è stato, l'India continua a essere il Paese dei contrasti assoluti, della cultura raffinata e della povertà disperata, della città della gioia e della tristezza del vivere. In quel numero c'erano autori come Anita Desai, Vs Naipaul, Rk Narayan, Nirad Chaudhuri, Vikram Seth, William Dalrymple. C'era addirittura uno scrittore dello Sri Lanka, Michael Ondaatje. Tutta gente che in questi 20 anni abbiamo imparato a conoscere anche da noi e la letteratura indiana non è più una bestia strana ma qualcosa a suo modo familiare.

 
NEW GENERATION
Oggi nella lista di autori selezionati da Ian Iack (che aveva creato anche il numero passato) c'è qualche nome moderatamente affermato – come Hari Kunzru, in Italia tradotto da Einaudi con tre volumi o Chatterjee Upamanyu, pubblicato da Rizzoli – e altri che dicono qualcosa solo agli addetti ai lavori ben addentro nelle cose indiane, come Neel Mukherjee o Samanth Subramanian. Possibile che in futuro diventino nomi abbastanza noti o addirittura piccole star, come Arundhati Roy che veniva lanciata come “promessa” propria da quel numero della rivista. Intanto i racconti e reportage selezioni da Granta 130 permettono di scoprire un poco meglio quell'immensa promessa non mantenuta che è l'India contemporanea. E lo fanno parlando ovviamente di tutto e del contrario di tutto: povertà e ricchezza; vivere in grandi famiglie e fuggire dall'abbraccio funesto di famiglie troppo estese per essere sopportabili; indiani che non si sono mossi dall'Uttar Pradesh e indiani che ritornano a casa dal mitico altrove e si riscoprono turisti nel loro stesso Paese.
Lo fanno raccontando – è il caso di Sam Miller - il giovane Gandhi, dandy a Londra prima di diventare padre della patria. O cercando di spiegare dove nasce la crescente islamofobia nelle campagne più remote del Paese, come fa Aman Sethi. Da qualsiasi punto di vista lo si prenda, questo che Granta presenta è davvero un altro modo di vedere l'India.

Info: http://www.granta.com/Archive/130