Dall’esperienza di lockdown di queste settimane e dall’evoluzione della pandemia da coronavirus in Italia e nel resto del mondo abbiamo metabolizzato che l’attesa per il ritorno alla normalità (qualunque cosa potrà significare) sarà lunga e che altrettanto lentamente la macchina turistica potrà ricominciare a ripartire adattandosi a nuovi presumibili paradigmi. Non mancano segnali contraddittori: di recente infatti la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha consigliato prudenza sui piani per le vacanze estive, mostrando quindi un certo scetticismo sulla prossima stagione turistica, mentre quasi contemporaneamente la sottosegretaria al Turismo Lorenza Bonaccorsi ha affermato che è concreta la possibilità che si possa andare al mare quest’estate, pur con una serie di misure per garantire il distanziamento sociale.

A tutti gli osservatori pare comunque evidente che i primi fattori propulsivi deriveranno dal turismo domestico, puntando sulla voglia degli italiani di uscire finalmente di casa - con tutte le precauzioni inevitabili, data la situazione - dopo la quarantena. Ciò è dovuto al fatto che il nostro Paese è stato tra i primi a sperimentare il contagio da coronavirus e che la maggior parte dei nostri principali mercati turistici esteri sconta un ritardo rispetto alla diffusione della pandemia che, con ogni probabilità, li porterà a uscire dalla fase di emergenza dopo di noi.

Per almeno il 2020, dunque, il nostro turismo tornerà quello degli albori, quando nel secondo Dopoguerra si rivelò come fenomeno prevalentemente domestico. Dal 1958, primo anno della rilevazione sistematica dei flussi da parte dell’Istat a metà degli anni Ottanta, infatti, circa il 70% delle presenze che si registravano in Italia riguardava il turismo dei nostri connazionali. È soltanto negli ultimi trentacinque anni che si è sviluppato notevolmente – complice la globalizzazione – il mercato incoming che oggi costituisce, seppur per poco, più della metà del nostro turismo (50,5% delle presenze totali). Come succede per tanti altri aspetti della nostra economia, però, l’Italia non si presenta omogenea in tutto il territorio nazionale: i flussi stranieri sono concentrati in alcune aree particolari, spesso per ragioni molto diverse (Fig. 1).

Fig. 1 Tasso di internazionalità delle Regioni e delle Province Autonome italiane (presenze) - 2018

Fonte: elaborazione Centro Studi Tci su dati Istat
 
È proprio in questi territori che si registreranno dunque le difficoltà maggiori perché verrà meno una componente preminente della domanda turistica.

La Provincia Autonoma di Bolzano sarà quella che, stando a questa radiografia, più risentirà della situazione, visto che per quasi il 70% dipende dall’estero, e in particolare dal mondo di lingua tedesca, di cui è un naturale sbocco per quanto riguarda l’offerta montana invernale ed estiva. Con il 68% di clientela estera, al secondo posto si trova il Veneto, la cui capacità di attrazione sui mercati stranieri è legata all’offerta balneare, lacuale e a quella delle città d’arte, Venezia in primis. Lazio e Lombardia presentano un tasso di internazionalità simile (62% e 60% rispettivamente): nel primo caso l’attrattore di Roma è fondamentale, nel secondo c’è Milano - come polo molto importante di turismo urbano e business - ma anche tutto il sistema che ruota attorno ai laghi e alle tante aree industriali lombarde che intrattengono fitti rapporti con l’estero (non a caso l’elevata mobilità che si registra su questo territorio è stata probabilmente una concausa della diffusione massiccia del virus).

Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia (57%), le ragioni sono, come per Bolzano, legate prevalentemente alla sua collocazione geografica mentre la Toscana (54%) deve la sua attrattività a Firenze e alle principali città d’arte, nonché al suo territorio rurale, da decenni entrato nell’immaginario collettivo straniero. Sardegna e Sicilia, infine, (rispettivamente 52% e 51%) sono le uniche Regioni del Sud a presentare quote di flussi stranieri di qualche rilievo, ma comunque sostanzialmente in linea con la media nazionale. Per quanto riguarda i dati delle aree meridionali, occorre anche considerare la forte incidenza del sommerso e del non rilevato che li rendono meno confrontabili con quelli di altre zone del Paese: in questo senso, è probabile che i numeri ufficiali, sottostimando tanti alloggi presi in affitto da vacanzieri perlopiù italiani, facciano apparire una quota di incoming superiore a quella reale.

Passando al livello puntuale di destinazione, abbiamo provato a individuare le località che probabilmente subiranno le ripercussioni più pesanti dalla situazione creatasi oggi in quanto fortissimamente dipendenti dal mercato turistico estero. Nella definizione del cluster, abbiamo scelto due distinti parametri: il primo dimensionale, inserendo soltanto Comuni con flussi turistici di una certa entità, ovvero con presenze totali annuali superiori al milione; il secondo di significatività dell’incidenza della componente straniera, almeno superiore all’80%. Nella Fig. 2 sono riportate le 11 località turistiche che emergono da questo incrocio.


Fig. 2 Principali Comuni per tasso di internazionalità delle presenze (ordinati in base al tasso di internazionalità) – 2018
Fonte: elaborazione Centro Studi Tci su dati Istat

Come si può notare, le più colpite sono le località lacuali e marine, soprattutto venete. In alcuni casi – in particolare per Limone sul Garda (Bs), Scena (Bz) e Malcesine (Vr) – la mancanza di stranieri potrebbe addirittura quasi azzerare i flussi complessivi. Il Sud Italia è rappresentato in maniera molto contenuta da una sola località siciliana (Taormina) e da una campana (Sorrento). L’unica località montana è Scena, in Alto Adige, mentre per i contesti urbani Venezia è l’unica rappresentata. Totalmente assente da questa classifica il Centro Italia.

Nonostante le incertezze sui tempi e sulle modalità della ripartenza, il quadro delle aree geografiche e delle tipologie di località che potrebbero entrare più in sofferenza appare già oggi abbastanza chiaro: avere queste informazioni può sicuramente aiutare la politica regionale e locale ad affrontare il futuro in modo più consapevole, provando a mettere in atto alcune contromisure che possano rendere attrattive anche al pubblico italiano, o quantomeno più visibili in termini di comunicazione, queste località già note al turismo internazionale.