Essere sul lastrico, letteralmente sul lastrico, senza casa, senza soldi se non una pensione sociale, senza nulla se non un posto dove mettere gli scatoloni che racchiudono una vita è una cosa che succede solo nei film. O nei libri. In genere è una trovata narrativa, uno spunto da cui si parte per una rigenerazione del personaggio principale che poi affronta una serie di prove e si trova rigenerato. Nel caso di Raynor Winn però trovarsi sul lastrico non è una trovata narrativa, è quel che le è successo. Ma non solo si è trovata senza un penny (siamo in Inghilterra) e senza tetto perché la fattoria in Galles che è stata l’investimento della sua vita è stata confiscata dal Tribunale: nella stessa settimana ha ricevuto anche la notizia che il marito Moth ha una malattia celebrale degenerativa che lo potrebbe portare nel giro di poco a non uscire più di casa, ammesso che ne abbia ancora una. Come inizio non c’è male, vien da dire.
Ma poiché, ormai lo si sa, camminare cambia la vita ecco che Raynor Winn e il marito decidono di mettersi in cammino, con uno zaino in spalla e pochi spiccioli in tasca. Per una volta non verso Santiago, come ormai hanno fatto e scritto dozzine di pellegrini della fede e semplici camminatori dalla penna facile, ma con l’obiettivo di raggiungere la fine del mondo, almeno di quello inglese: Land’s End. Ovvero l’estremo ovest della Cornovaglia, per dove passa il South West Coast Path, un cammino di 1.013 chilometri che fa il periplo della costa occidentale britannica, da Minehead nel Somerset a Poole Harbour, nel Dorset, sulla Manica. Un itinerario che è un eterno saliscendi tra le scogliere e i prati di torba della costa inglese, un sentiero ben tenuto che negli anni della seconda guerra mondiale era percorso dalle vedette che vigilavano su una possibile invasione tedesca.
«Eravamo eccitati, impauriti, senza casa, grassi e moribondi, eppure, se avessimo fatto quel primo passo, avremmo avuto un posto dove andare, uno scopo da perseguire. Ed effettivamente non avevamo niente di meglio da fare alle tre e mezzo di quel giovedì pomeriggio, che cominciare una camminata di 1013 chilometri». Racconta così i suoi primi passi Raynor Winn, che a quel viaggio incosciente ha dedicato Il sentiero del sale, un libro che in Gran Bretagna ha avuto un notevole successo, forse perché è onesto, vero, a suo modo sentimentale – Raynor parte assieme al marito che dovrebbe stare a riposo, almeno secondo i medici, e invece si dimentica anche le medicine salvavita – senza mai essere melodrammatico, ma soprattutto perché è un libro ben scritto.
Un libro che si fa leggere anche da chi non ha nessuna intenzione di mettersi in cammino e men che meno fare campeggio selvaggio, ma vuole solo immergersi in una bella storia, in cui c’è molta attenzione al racconto della natura, al contesto ambientale e alle trasformazioni che ognuno subisce lungo la via. Perché non serve essere super atleti per fare un cammino di mille chilometri, e infatti Raynor e il marito, cinquantenni non proprio allenati, vanno esattamente alla metà della velocità che consigliano le guide, ma i cambiamenti nel fisico e nella mente presto arrivano. Per cui la ciccia diventa muscolo, il fiato dopo qualche settimana inizia ad assecondare il passo, il corpo – anche di chi è malato come Moth – reagisce inaspettatamente bene e si rigenera, anche se si ha una malattia degenerativa grave.
Tutto questo si trova nelle pagine de Il sentiero del Sale, una storia scritta senza retorica e senza pedanteria, in cui Raynor Winn – pur essendo al suo primo libro – è riuscita ad essere sempre ironica e leggera. E soprattutto fa venir voglia di mettersi in cammino lungo al costa britannica attraversata dal South West Coast Path, tra paesi di pescatori, resti di castelli, miniere abbandonate, villaggi con un unico pub e spazi immensi, aperti verso il mare, coperti da un cielo instabile, avvolti dalla natura che a lungo andare ti fa sentire salato.
INFORMAZIONI
Il Sentiero del sale, di Raynor Winn, Feltrinelli pag. 314, 19 €