A volte ritornano. Prendiamo la tassa sulla bicicletta. Si tratta di una di quelle voci che sempre girano, che siano vere e verosimili poco importa, perché entrano nel discorso pubblico e suscitano sempre un gran baccano tra i favorevoli (pochi) e i contrari (tutti). Alle volte però più che di voci si tratta di proposte concrete, anche se con i dovuti distinguo.

L’ultima voce è di questi giorni: un emendamento al decreto di riforma del Codice della Strada presentato il 25 novembre dal senatore del Pd Marco Filippi propone l’introduzione di una tassa delle bicicletta, anche se limitatamente alle due ruote utilizzate dalle aziende per trasporto di merci e persone.

IL PROGETTO DEL 1895
Nulla di nuovo a ben vedere, già nel 1895 un progetto di riforma delle finanze locali dava facoltà ai Comuni di introdurre una tassa su quelli che allora in gergo burocratico si chiamavano velocipedi. Parificati alle vetture a cavallo e motore le biciclette avrebbero dovuto pagare una tassa che poteva arrivare fino alle 30 lire annue. Un’enormità per l’epoca.

Il giovane (era nato nel 1894) Touring Club Ciclistico italiano si schierò duramente contro la proposta, dimostrando l’assurdità delle proposta e il trascurabile gettito che avrebbe comportato. Ma l’opposizione non ebbe fortuna e il Parlamento approvò la legge. E al Touring non rimase che apporsi nelle sede locali, cercando quantomeno di far diminuire la tassa. Una battaglia portata avanti per 25 anni. Anni in cui il governo approvò una tassa nazionale sulle biciclette di 10 lire che portò all’obbligo di apporre una targhetta sulla bici per testimoniare l’avvenuto pagamento.

UNA NUOVA TASSA?
Oggi l’idea di una tassa per le biciclette torna. Anche se ovviamente le smentite e i distinguono fioccano. L’emendamento presentato dal senatore Filippi prevede l’introduzione di «un’idonea tariffa per i proprietari» di due tipi di veicoli: delle motoslitte, e «delle biciclette e dei veicoli a pedali adibiti al trasporto, pubblico e privato, di merci e di persone, individuando criteri e modalità d’identificazione delle biciclette stesse nel sistema informativo del Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale».

Il che tradotto vuol dire che le biciclette utilizzate per portare la spesa fatta al mercato dovrebbero pagare una tassa ed essere identificabili, ovvero avere una targa, o essere comunque iscritte a un registro pubblico.

LA REAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI
Una proposta che ha giustamente fatto sollevare tutte le associazioni ciclistiche, spaventate delle possibili interpretazione estensive della bicicletta utilizzate al trasporto di merci e persone: se torno a casa con due buste appese al manubrio sto trasportando delle merci e posso essere multato?

Colpito dalla sollevazione popolare, il senatore Filippi ha dichiarato di aver riformulato il suo emendamento. «Ho presentato una nuova formulazione dell’emendamento sulla identificazione e assicurazione delle biciclette utilizzate per il trasporto a pagamento di persone, i cosiddetti risciò. Ho valutato che fosse meglio precisare ulteriormente quello che fin dall’inizio era il mio intento: evitare che servizi di trasporto di turisti e cittadini fossero svolti fuori da ogni regola e senza una qualsiasi forma di assicurazione, come accade oggi. Anche se la bicicletta è un mezzo nobile di trasporto, il meno inquinante ed il meno pericoloso per gli altri utenti della strada, ritengo sia indispensabile che il suo utilizzo per trasportare persone a pagamento debba essere adeguatamente regolato, proprio per garantire la sicurezza di tutti».

Adesso bisogna capire se secondo il nuovo emendamento del senatore Filippi portando qualcuno seduto sulla canna possa essere considerato trasporto di persone e dunque passibile di tassa. O se anche questa volta la tassa sulle biciclette finirà in soffitta, sancendo così la vittoria di chi ha proposto in questi giorni l'hashtag #LaBiciNonSiTocca.