Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni…
Ecco la ventunesima tappa.
 Ci sono posti quando si viaggia che si sfiorano senza fermarsi. Nel tragitto tra una città e un’altra se va bene sono nomi sui cartelli di un’autostrada, uscite che non si imboccano, strade che non si percorrono. A meno di non fare come a inizio anni Ottanta fece lo scrittore americano William Least Heat-Moon nel suo libro Strade Blu (Einaudi, pag. 518; 15€), un viaggio alla ricerca della frontiera americana. Frontiera che non è più il selvaggio West di certi film, ma qualcosa che si trova ovunque, basta uscire dalle strade più battute.
La storia personale di William Least Heat-Moon è interessante quanto il suo libro. Quello che tradotto suona William il minore Luna-del-caldo è il nome indiano del signor Trogdon che a metà anni Settanta era un professore di lettere all’università di Columbia in Missouri. Quando il college ridusse il personale docente, Trogdon fu licenziato dall’università, come se non bastasse la moglie chiese il divorzio. Solo, senza lavoro e in cerca di una nuova identità rispolverò un suo ottavo di sangue indiano e decise di cambiare nome. Chiamatemi Least Heat-Moon, disse il professor Trogdon. E come Ismaele in Moby Dick prese il largo per le strade d’America. Altri avrebbero preso una sbronza e sarebbero andati in un bordello.
Però anche nella sua scelta di mettersi in viaggio Least Heat-Moon non fece come tanti altri. Non salì su di un qualsiasi veicolo a quattro sulla costa Est e si mise in viaggio, armato di taccuino e penna, fino alla costa del Pacifico. Non percorse la Route66 di Jack Kerouac, né la 40, la Main street of America. No, Least Heat-Moon preferì le vie secondarie, le stradine rurali della provincia americana. Le strade che una volta erano segnate in blu. Strade dal fascino intenso, aperte, invitanti, enigmatiche, uno spazio sterminato dove ci si può perdere, o dove ci si può ritrovare chilometro dopo chilometro a digerire le storie periferiche d’America. Viaggi in cittadine che si chiamano Subtle e Mouthcard; Dull, Weakly, e Only, in Tennessee; Dime Box, Texas, Scratch Ankle, Alabama, Gnawbone, Indiana. Quei posti da niente che non si trovano in nessuna cronaca giornalistica e in un nessuna serie Tv, quella provincia che il cliché dice essere “profonda”. E forse non sarà profonda, ma certo non è stata molto raccontata.
Ne è uscito un viaggio di ventimila chilometri da Columbia, Missouri a Columbia, Missouri in un itinerario circolare raccontato in Strade blu - opera prima di William Least Heat-Moon che negli Stati Uniti quando uscì, nel 1983, vendette un milione e duecentomila copie. Il fatto che sia un libro così bello è dovuto a tante cose. Di certo è interessante perché racconta di angoli meno visti, storie poco ascoltate, Americhe meno cinematografiche. Ma forse lo è perché nel mettersi in moto con il suo van della Ford del 1975 ribattezzato Gosth Dancing l'autore lo ha fatto nella convinzione che semplicemente “occupandosi del mondo che lo circonda” sarebbe stato meglio. Mettendo in pratica quella che Walt Whitman chiamò "la profonda lezione della ricettività", convinto che “una strada pubblica potesse aiutarlo a esprimersi meglio di quanto non potesse farlo lui stesso».
Strade blu alla fine è un libro talmente ricco da risultare enciclopedico, forse scoraggiante per la mole, ma che si può benissimo leggere tutto d’un fiato prima di partire per un on the road statunitense o piluccare di tanto in tanto. Un libro in cui Least Heat-Moon tiene fede a un vecchio detto navajo: «Tutto quello che hai visto, ricordalo, perché tutto quello che dimentichi ritorna a volare nel vento».
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