È indubbio: noi italiani siamo esterofili. Pensiamo sempre che negli altri Paesi facciano le cose prima e meglio di noi. E invece non ci fermiamo mai a pensare quanto quello che viene realizzato in Italia possa costituire un esempio per gli altri Paesi, specie i più piccoli.
ITALIA-URUGUAY: COSì LONTANI, COSì VICINI
Così crea ingiustificata meraviglia scoprire che a inizio del secolo scorso da tutto il mondo guardavano all’Italia come faro per lo sviluppo del turismo in forma moderna. E nel farlo, si ispiravano al Touring Club Italiano, che in quegli anni – siamo a cavallo tra gli ultimi anni dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale – era vero pioniere e battistrada nello sviluppo del turismo.

Così, per esempio, nell’allora remoto Uruguay un gruppo di pionieri amanti della bicicletta si ispirò dichiaratamente al Touring di Bertarelli al momento di sviluppare il Club Nacional de Velocipedista di Montevideo. Lo scopo? «Propagandare e diffondere la conoscenza degli “sport velocipedisti”, e specialmente promuovere lo sviluppo del turismo ciclistico nella Repubblica». E come? Prendendo esempio dall’azione del «Touring Club Italiano, che incarna l’aspirazione eminentemente moderna tendente a rendere fattibile tutte quelle iniziative che portino un beneficio immediato alla causa del turismo».

IL TOURING CLUB URUGUAYO
Ad analizzare i rapporti tra il Touring Club Italiano e il Club Nacional de Velocipedistas di Montevideo ci hanno pensato Emiliano Gambetta e Gonzalo Leitòn, due ricercatori della Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación all’Universidad de la Républica di Montevideo.

Gambetta e Leitòn presenteranno i risultati della loro ricerca Uruguay e Italia: vìnculos a través de la bicicleta (1890-1920) nel corso di un incontro che si terrà all’Istituto Italiano di cultura di Montevideo il 13 aprile. Un rapporto – emerge dalla ricerca – davvero intenso. Al punto che nel febbraio 1909 il Club Nacional de Velocipedistas cambierà addirittura nome per chiamarsi Touring Club Uruguayo e modellerà la sua organizzazione territoriale su quella del Tci.

Non solo, il Tcu importerà nel Paese sudamericano anche altre “innovazioni” introdotte in Italia dal Touring Club Italiano. Per esempio le cassette di sicurezza per i ciclisti diffuse in tutto il Paese e l’istallazione dei primi cartelli stradali. Ma anche la pubblicazione delle prime guide turistiche con mappe dettagliate delle strade del Paese e una certa propensione all’azione politica per perorare le necessità dei ciclisti e dei viaggiatori. È indubbio: noi italiani siamo esterofili, ma meno male che spesso gli stranieri sono più italiofili di noi.