Si è concluso domenica a Trento ma prosegue in sintesi a Milano (allo Spazio Oberdan fino a domenica 15) lo storico Filmfestival della montagna, dell'avventura, dell'esplorazione – e dei viaggi alla scoperta di Paesi lontani, aggiungiamo noi – che ha compiuto i 59 anni e ha festeggiato l'evento, se così si può dire, con dieci intensi giorni di proiezioni, incontri e presentazioni.

Il festival, dopo alcuni anni di direzione di Maurizio Nichetti, ha cambiato decisamente rotta e da rassegna di film di alpinismo si è trasformato nel corso del tempo in una rassegna dove la montagna rimane sì sullo sfondo, ma si mettono a fuoco anche popoli, paesaggi, problematiche sociali, reportage su luoghi dimenticati. Un festival che potremmo quasi considerare più vicino al Tci che al Cai, che è socio fondatore insieme al Comune di Trento. D'altra parte il sottotitolo del Trentofilmfestival recita: “montagna, società, cinema, letteratura!”.

Se possiamo in sintesi tratteggiare questa edizione appena conclusa (si è tenuta dal 28 aprile all'8 maggio), viene spontaneo dire che è stato l'anno delle montagne dimenticate e delle popolazioni più povere del pianeta che su quelle montagne, con grandi stenti, vivono. Il Gran Premio Città di Trento infatti è andato all'americano Summer pasture di Lynn True e Nelson Walker, che racconta la vita quotidiana di una famiglia nomade tibetana che vive sull'altopiano (immaginate una valle di Livigno verdissima e senza case grande 50 volte). Un mix di tradizioni e modernità, dalla fotografia  accattivante, che dimostra come il mondo sia oggi davvero globalizzato. Un film molto Touring... anche se davvero troppo lungo!

Anche il Premio Città di Bolzano per il miglior film di esplorazione è in linea con la tendenza generale: ha vinto infatti Pare, escute, olhe di Jorge Pelicano (Portogallo) girato in una provincia sperduta della montagna portoghese. Il film racconta di una comunità unita alla civiltà da una linea ferroviaria secondaria a binario unico e con le stazioni diroccate, che restano però punto di incontro tra gli abitanti per socializzare e confrontarsi su una realtà poverissima che vede solo nelle promesse dei politici locali e nella mitica costruzione di una diga lontani bagliori di sviluppo. Che tristezza e che abisso da certi patinati depliant turistici... Un esempio concreto della crisi che attraversa il Paese, oggi sulle pagine di tutti i giornali per via dei problemi economici che lo attanagliano.

Un altro premio importante, la genziana d'argento per il miglior mediometraggio, è andato a Lukomir di Niels van Koevonden (Olanda) girato a Lukomir, appunto, un villaggio di montagna della Bosnia Erzegovina isolato per mesi d'inverno, dove anziani contadini continuano a vivere in una terra povera senza alcuna speranza di sviluppo. Chissà che dopo questa produzione anche Lukomir non attiri qualche turista curioso di vedere un mondo arcaico, ma genuino. Il premio del pubblico ha invece incoronato Happy people – a year in the taiga, di Dmitry Vasyukov, un documentario girato in Siberia che documenta la vita durissima di gente impegnata tutto l'anno in una dura lotta per la sopravvivenza, dove la natura a causa del rigidissimo clima è particolarmente ostile. In linea con questi temi citiamo anche il bel documento girato in bianco e nero Dem Himmel ganz nah che ha per protagonista uno degli ultimi pastori di montagna sui Carpazi della Transilvania.

Tra i pochi film di alpinismo presentati non si può non citare la genziana d'oro per il miglior film di alpinismo e Premio Cai andata all'inglese Asgard project di Alastair Lee, scanzonato documento di una spedizione alpinistica al Monte Asgard, nella Terra di Baffin, Groenlandia, e Linea continua di Hervé Barmasse, girato in Valtournenche, che racconta la storia di tre generazioni (i Barmasse) e si conclude con la salita di una nuova via in inverno sulla parete sud del Cervino, compiuta da una cordata composta da Marco ed Hervé, padre e figlio. Ricordiamo anche The swiss machine, film di Peter Mortimer di Nick Rosen (Stati Uniti) che documenta l'incredibile impresa sulla Nord dell'Eiger del campione svizzero di arrampicata Ueli Steck che dopo alcuni incontri con alpinisti di altissimo livello come Simone Moro e Alex Honnold parte e vince la cosiddetta “parete assassina” in sole 2 ore e 47 minuti.

Tra gli oltre 120 film presentati quest'anno alla rassegna diretta da Luana Bisesti e presieduta da Egidio Bonapace, segnaliamo ancora Una stella la storia di un cuoco di Francesco Lauber, documento su un grande chef oggi scomparso, Giancarlo Godio, che in cima alla Val d'Ultimo (Bz) riuscì a imporsi con una tale creatività in cucina da meritarsi anni fa la stella Michelin. Notevole anche Il capo dell'italiano Yuri Ancarani, un breve filmato muto (ha vinto la genziana d'argento per il miglior cortometraggio) dove un uomo nelle cave di marmo delle Apuane solo con precisi gesti dà tutti gli ordini necessari ai macchinisti di gru e semoventi per spostare gli enormi blocchi di marmo. Restiamo in Italia anche con l'impegnativo e interessante Il popolo che manca, di Andrea Fenoglio e Diego Mornetti, che documenta le registrazioni audio raccolte da Nuto Revelli (l'autore de Il popolo dei vinti) negli anni Settanta. E ancora, spostandoci nel Nordeuropa, Helsinki forever del finlandese Peter Van Bagh, ritratto della cultura e della capitale della Finlandia attraverso le immagini di grandi registi.

Collegandoci con Qui Touring, due mesi fa abbiamo dedicato un servizio sui luoghi di Emilio Salgari: a Trento abbiamo visto Capitan Salgari, di Marco Serrecchia, che ripercorre la vita dello scrittore, specie degli ultimi anni. Da non trascurare, inoltre, le interessanti presentazioni di numerosi libri con gli autori e le serate evento, forse i momenti di maggior successo del Festival. Reinhold Messner si è presentato sul palco dell'Auditorium S. Chiara per ben due volte: per celebrare i 100 anni della salita di Paul Preuss al Campanile Basso di Brenta e per ricordare a distanza di 50 anni la tragedia del Pilone centrale del Freney. Per quest'ultima, in sala i due protagonisti sopravvissuti, oggi entrambi ottuagenari: Walter Bonatti e Pierre Mazeaud. Pubblico strepitoso, biglietti esauriti 15 giorni prima dell'evento, collegamenti video con altre sale per soddisfare gli appassionati. Una serata storica davvero.