Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni…
Ecco la decima tappa.
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Se dici che il miglior libro di viaggio che hai letto ultimamente l’ha scritto, in inglese, una bulgara cresciuta in Nuova Zelanda che vive nelle Highlands scozzesi, una scrittrice che di nome fa Kapka e di cognome Kassabova, rischi di passare per un personaggio di un film di Moretti. Uno di quelli appassionati di cinematografia thailandese, ovviamente da vedere in lingua originale al massimo con i sottotitoli in tedesco in un cinema di periferia aperto a giorni alterni dove probabilmente si fuma ancora. Eppure Border – pubblicato da Granta, e ora meritoriamente tradotto in Italiano da Edt (pag. 442, 25 €) con il titolo di «Confine. Viaggio al termine dell’Europa» – è davvero un gran bel libro. Non c’è altro da dire.
Magari, sulle prime, è un poco ostico. Perché racconta di una zona ai più ignota – l’antica Tracia –, una zona intessuta di storie fantastiche e personaggi fuori dal tempo, e lo fa con una lingua intima e quasi poetica che può spiazzare. Ma mano a mano che si prende il ritmo e ci si avvicina al terreno, seguendo le descrizioni quasi topografiche della Kassabova, si viene come rapiti dalla pagine, dal ritmo della scrittura che alle volte ricorda quella dei vecchi cantastorie della tradizione orale, e dai tanti racconti –  spesso fantastici, spesso mitologici – che la scrittrice ha raccolto andando sul campo a bordo di una vecchia Renault.
Confine è un libro che racconta la storia umana di Bulgaria, Grecia e Turchia nel punto dove le loro traiettorie geografiche convergono e le loro storie divergono. Un punto dove, dice Kassabova, «i confini fanno il loro compito, dividendo». Ma un punto che, come ogni confine, è un segno tracciato dall’uomo, dunque è anche poroso, permeabile: segnato da incontri e passaggi, non solo da scontri. Perché in definitiva il confine con il suo semplice esser lì è un invito a passare, ad oltrepassare la linea, ad andare a vedere se di là è meglio. 
Una cosa che senti molto tua specie se, come Kassabova, sei cresciuta in un Paese come la Bulgaria comunista, dove dal confine – specie questo meridionale, la Red Riviera, dove in estate si andava al mare ma che a pochi metri dalla spiaggia divideva non due mondi e due filosofie di vita, ma addirittura tre – bisognava per forza tenere una distanza di sicurezza, vigilato come era da militari e servizi segreti che non si facevano scrupoli di uccidere chiunque cercasse di violarlo, specie i tedeschi dell'Est secondo cui era più semplice provare a far finta di essersi persi in ciabatte in riva al Mar Nero che scavalcare il Muro.
Un libro che parla di persone: minoranze come i Pomacchi, bulgari di lingua, musulmani di religione, convertiti all’epoca dell’Impero Ottomano e da un secolo guardati male da qualunque governo di Sofia. Gente mandata via dalla sua terra, come i bulgari costretti a vivere in Turchia, o i Greci cacciati dal Ponto, e finiti in villaggi di frontiera dopo la guerra greco-turca conclusa nel 1922. Gente in fuga, come i migranti africani e mediorentali che dal triplice confine cercano di transitare in cerca di un’altra vita e di un domani migliore.
Alla fine Confine è un libro decisamente bello sotto molti punti di vista. Bello perché lirico, bello perché scritto assai bene. Bello perché leggendolo impari un mucchio di cose, specie per come costruisce contesti storici e geografici, intessendoli di storie umane e riflessioni personali. Bello perché in ogni pagina Kassabova esercita curiosità e ironia, oltre a una indubbia capacità di trasmettere le atmosfere e di riflettere sui dettagli per illuminare qualcosa di ben più complesso, ovvero la Storia. Quella che da queste parti di confine nel sud dei Balcani è passata e continua a passare a frotte. Una Storia racconta da una scrittrice bulgara cresciuta in Nuova Zelanda che vive nelle Highlands scozzesi.
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