Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni...

Ecco la settima tappa.

Alle volte non serve muoversi tanto per scrivere un bel libro di viaggio. Basta essere capaci di scavare a fondo in quel che le città hanno da raccontare, addentrandosi tra le tribù che la abitano, frequentando luoghi che gli altri normalmente disdegnano, avendo la pazienza di stare a sentire e osservare chi bazzica anfratti di varia umanità, zone sospese tutte da scoprire ed ecco che il racconto è fatto. E poi così facendo spesso si coglie la vera anima di un luogo, quella che difficilmente emerge facendo l'elenco dei posti da vedere come fanno le pur oneste guide di viaggio.

Quell'anima che non è custodita nei monumenti, ma più spesso se ne sta seduta al bancone di un bar, sullo sgabello di un venditore di cibo di strada, dietro la tendina di un negozio. Ed è proprio così facendo, disdegnando il pittoresco e tralasciando "le emergenze storico/artistiche" che il giornalista inglese Lawrence Osborne ha dipinto un ritratto coinvolgente e stupefacente di Bangkok. Un ritratto in cui si respira un'aria decadente che ti rimane addosso

Leggendo le tante storie che compongono Bangkok, un bellissimo reportage sulla capitale thailandese pubblicato da Adelphi (traduzione dall'inglese di Matteo Codignola, pp. 260, 20 €) ci si avvicina così alla vita dei farang, gli stranieri (ma in realtà è una corruzione di "francese", i primi occidentali con cui nel vecchio regno del Siam fossero venuti in contatto) che popolano le strade, ma soprattutto le notti, di Bangkok. Persone che si muovono con disinvoltura in un sottobosco di locali equivoci, bar per sfaccendati, circoli ricreativi per persone che tutto il giorno non devono far altro che ricrearsi. Perché le persone che racconta Osborne sono quella speciale categoria di farang che a Bangkok decidono di fermarsi a tempo indeterminato. Persone disilluse, spesso al capolinea, arrivate fin lì in cerca di una rivincita della vita che però sa sempre di sconfitta, di sfascio, di resa. Di norma sono anglosassoni (o nord europei in genere) che hanno passato la mezza età, hanno avuto vite tanto avventurose quanto dissipate e adesso sono spiaggiati in questo luogo sospeso dove giocano a fare gli eterni giovani, a sentirsi ancora vivi pagando per questa vitalità fittizia. Così vien da pensare che per queste anime che qualcuno non esiterebbe a definire perse perdersi in questi ambienti oscuri abbia lo stesso valore che per altri abbia ritrovarsi in un ambiente tranquillo. Ma, come scrive Osborne, «a Bangkok ciascuno è libero di andare a pezzi come crede».

E di questo naufragio collettivo Lawrence Osborne riesce a rendere bene l'atmosfera, lasciandoti addosso una curiosità per queste persone che chi è stato almeno una volta a Bangkok di certo ha visto sedute a far colazione con una birra alle 2 di pomeriggio, mentre la tv trasmette una partita del campionato inglese e intorno si monta il circo che prenderà vita non appena scenderanno le ombre. I suoi protagonisti sono allora il signor McGinnis che vende condizionatori e inventa le proprie ex-mogli, Farlo ha costruito un avventuroso residence in Cambogia in un posto dove le mine esplodono come tappi di champagne e i turisti cercano la loro dose di adrenalina controllata, Helix affresca alberghi e ristoranti con quei motivi grossolani che un qualunque occidentale si aspetta di trovare da queste parti. Già, perché Bangkok alla fine è un libro sull'Oriente che parla di Occidente. E racconta di un mondo che sembra molto più affascinante a parole di quanto non sia in realtà.

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