Un orso bussa alla porta di casa, una famiglia di volpi attraversa sulle strisce pedonali come i fab four, caprette che si sollazzano in spiaggia e delfini che sguazzano tra gli scafi dei porti turistici... Durante i mesi di lockdown, chiunque di noi ha strabuzzato gli occhi davanti alle immagini di animali che si prendevano delle nuove libertà, approfittando della nostra assenza. I social ne hanno fatto scorpacciate e tutti abbiamo pensato "che mondo sarebbe senza di noi?".
Una risposta valida su quello che è successo in Italia arriva da un recente studio dell’Università Statale di Milano ed è stato pubblicato su Biological Conservation. Lo studio si intitola ironicamente “The good, the bad and the ugly of COVID-19 lockdown effects on wildlife conservation: Insights from the first European locked down country” e vuole fornire le prime indicazioni sull’impatto che le misure di lockdown in risposta al Covid-19 hanno avuto e stanno avendo sulla vita degli animali della Penisola.
All’Università degli studi di Milano premettono che "L’Italia è stata la prima nazione europea che ha dovuto affrontare le drammatiche conseguenze della diffusione del Covid-19 e che ha attuato le severe misure di lockdown. La diffusione di notizie e post sui social media riguardanti osservazioni di fauna ha, in parte, compensato l’impossibilità da parte dei ricercatori di recarsi direttamente sul campo ad osservare gli animali e costituito una sorta di misura indiretta della presenza e dell’attività di alcune specie animali". Ma veniamo alle risposte.
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LA LIBERTÀ RITROVATA DI RANE E UCCELLI
Per alcune specie il periodo di mancanza di disturbo da parte dell’uomo ha rappresentato un aspetto positivo: "Rospi e rane che negli anni precedenti morivano a migliaia su diverse strade italiane, quest’anno sono riusciti a raggiungere indisturbati laghi e stagni per riprodursi" – fanno notare i ricercatori. A trarre vantaggio dalla pandemia sono state anche alcune specie di uccelli. “Il fratino e il rondone – si legge nello studio - hanno beneficiato della maggior quantità di cibo a disposizione e del minor disturbo dei siti di riproduzione".
 
SPECIE INVASIVE FUORI CONTROLLO
Purtroppo, dal nuovo studio italiano emerge che "molti altri animali sono stati ben lontani dal riprendersi qualche spazio e anzi hanno continuato a perderne. Infatti molte delle osservazioni riportate erano relative ad animali introdotti ed invasivi, favoriti dal minor disturbo legato al lockdown. Questo è il caso ad esempio del silvilago, una piccola lepre di origine nordamericana che, dall’essere principalmente notturna, è passata ad essere attiva anche nelle ore diurne, con maggiori probabilità di diffondersi ulteriormente. Essendo una specie che frequenta i parchi urbani è tra le poche che è stato possibile monitorare senza infrangere le regole. Come lei però è molto probabile che anche molte altre specie invasive, che stanno soppiantando le specie native in diversi ambienti, abbiano beneficiato del lockdown".
 
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CRISI NELLE AREE PROTETTE E PIÙ BRACCONIERI
Un altro risvolto negativo del lockdown ha riguardato la gestione delle aree protette. Sono gli stessi autori dello studio che affermano come “la maggior parte dei parchi ha avuto difficoltà nell’effettuare le azioni di gestione della fauna che sarebbero state necessarie. Nel 44% dei parchi nazionali e regionali contattati è emerso un forte rischio di fallimento di azioni di gestione già intraprese, non solo per il contenimento delle specie invasive, ma anche direttamente per la protezione di specie minacciate".

Inoltre, "moltissimi animali si riproducono in primavera. La mancata realizzazione degli interventi di miglioramento ambientali programmati potrebbe avere causato problemi alla loro riproduzione". Non è tutto. Purtroppo la parziale assenza dei controllori delle aree e quindi la drastica diminuzione dei controlli delle aree naturali ha anche scatenato i bracconieri.
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PANDEMIA, UN ESPERIMENTO GLOBALE
I ricercatori provano a fare sintesi dello studio, immaginando anche uno scenario futuro. Secondo gli scienziati la pandemia scatenata dal coronavirus ha creato le condizioni per un esperimento sugli effetti che una riduzione della presenza dell’uomo e delle sue attività consuete possano avere sull’ambiente.
 
“Osservando la crisi ambientale che stiamo già attraversando, si tratta quindi di un fenomeno che merita di essere studiato anche da questo punto di vista – affermano - e una visione più ampia la si potrà avere man mano che studi simili emergeranno a livello globale anche in altre numerose nazioni che stanno affrontando la pandemia”.