Tutto è fuori scala a Minsk. Ogni palazzo, ogni piazza, ogni parco, ogni via: tutto sembra – ed in effetti lo è – enorme, esagerato, titanico nelle sue dimensioni. Dicono che sia così perché Stalin, cui si deve la ricostruzione dopo la Seconda Guerra mondiale, quando venne completamente rasa al suolo dai nazisti, voleva che fosse la città del sole: spaziosa e ariosa. E quel che voleva Stalin ai tempi era legge. Così oggi Minsk vista dall’alto più che una città compatta è un ritaglio di foreste dense e spazi verdi, alternati come le tessere di un ciclopico puzzle a quartieri di palazzi altrettanto densi e maestosi. Si trovano ovviamente i soliti isolati di case residenziali di cemento prefabbricato, con mosaici ad abbellire le facciate e aiuole piantate a betulle e fiori, a segnare gli spazi e i confini con le strade. Tutto sempre in scala, come è giusto che sia in una capitale da 2 milioni di abitanti che da sola raccoglie il 20% dei 10 milioni di abitanti della Bielorussia.
Ma quel che immediatamente colpisce di Minsk, oltre alla grandezza, è la cura: palazzi tinteggiati di fresco, strade asfaltate, una passata di colori vivi anche sulle palazzine di periferia, giardini ben tenuti e poi una pulizia da ospedale, zero cartacce, zero mozziconi per terra, zero disordine. Una cura dai tratti maniacali che, siamo sinceri, non ci si aspetterebbe dall’ultimo (o il penultimo) ridotto del socialismo sovietico. Adesso è da vedere se si tratta del maquillage legato alla seconda edizione dei Giochi Europei che la capitale Bielorussa si appresta a ospitare in questi primi giorni d’estate (dal 21-30 giugno), o se invece è la norma. Se chiedi in giro, tutti ti dicono che è la norma: e subito raccontano di come la città sia orgogliosa del suo titolo – assegnato chissà da chi – di capitale più pulita del pianeta. Una particolarità che manda in brodo di giuggiole una coppia di svizzeri che proprio non crede ai propri occhi, questo non glielo aveva raccontato nessuno.
Del resto son pochi quelli che sono andati in Bielorussia. Ex repubblica sovietica, quella che qualcuno ancora chiama – sbagliando – Russia Bianca è stata per anni la più chiusa e misteriosa di tutte le 15 ex repubbliche. Colpa, anche, del costoso visto, che obbligava a inviare i passaporti all’ambasciata di Roma e pagare ben 80 euro. Adesso se si vola a Minsk non serve un visto per soggiorni di massimo 5 giorni (purchè si riparta da Minsk), ma soprattutto per tutto il periodo dei Giochi Europei se si dimostra di aver un biglietto della manifestazione si entra liberamente, anche via terra, potendosi fermare fino a un mese.
Così si può volentieri sfruttare l’occasione dei Giochi per visitare questo angolo di Europa dell’Est così poco frequentato e a suo modo anacronistico. Perché la Bielorussia è l’unico Paese in Europa a mantenere uno stretto legame, negli uomini e nelle cose, con il passato sovietico. Perché se ci fosse un ponte, uno serio, a Minsk, sventolerebbe ancora la bandiera rossa con falce e martello dell’Unione Sovietica.
Ma ponti nel verso senso della parola non ce ne sono – in centro scorre un canale artificiale, c’è anche un piccolo laghetto solcato dai pedalò –, e la bandiera rossa non sventola quasi più, in compenso falce e martello e gli altri simboli del passato sovietico sono onnipresenti, esibiti senza vergogna, quasi con orgoglio. Per esempio in Bielorussia il Kgb si chiama ancora Kgb e la sede è in un palazzo giallo pallido dove stava ai tempi dell’Urss. E non solo, davanti al palazzo c’è il busto di Felix Dzerzhinsky, fondatore del Kgb, di sicuro l’unico rimasto in tutto il mondo.
Come ha ormai pochi eguali la grande statua di un Lenin per una volta non con il braccio alzato a segnare la via per il futuro che si trova nella gigantesca piazza Indipendenza, davanti a un asettico palazzo di uffici. Segni di un passato ancora vivo che si comprendono bene quando si visita il nuovo museo di storia dedicato alla Grande Guerra Patriottica, che è come nel mondo russo viene chiamata la Seconda guerra mondiale. Un moderno palazzo di vetro e cemento al cui interno si racconta con tono alquanto epico la vittoria dell’Armata Rossa sui nazisti, e la liberazione di Minsk in un tripudio di carri armati, ritratti patriottici e medaglie al merito. Un museo di vera propaganda che fa pensare ad altre epoche e altre latitudini.
Anche perché il presidente Aleksandr Lukašenko con i suoi baffi all’antica a differenza di altri leader ex sovietici ha capito (non da molto, va detto) che il culto della personalità non giova al suo potere e che nessun Presidente che si è messo troppo in mostra dura per sempre. Per cui è oggettivamente assente dal profilo della città. Dunque per strada non si vedono né sue statue, né sue immagini, le vie non sono tappezzate di poster con le sue frasi motivazionali, e il suo nome è taciuto, chi lo nomina – come più volte certe guide assai governative che ti accompagnano a fare il giro turistico della città – dicono semplicemente: il nostro Presidente. «Questa biblioteca è un dono del nostro Presidente» dice la guida mentre ci si avvicina a un palazzo moderno a forma di dado coperto di vetri che sormonta un altro palazzo altrettanto moderno che fa da ingresso: è la nuova biblioteca nazionale. È un altro tassello del processo – di cui fanno parte anche i grandi eventi sportivi – che punta a rafforzare invece il nazionalismo e l’orgoglio bielorusso. Che politicamente è forse un modo per tener un piede qua, verso la Russia, e uno di là, verso l’Europa cui aspirano le nuove generazioni. E così facendo provare a barcamenarsi per non fare la fine dell’Ucraina e rischiare di venir invasi. Per il resto si fanno affari lo stesso con tutti, con i cinesi in testa, che si trovano ovunque in città, e nei pressi dell’aeroporto internazionale (che dista 30 chilometri dal centro) stanno costruendo un’area economica speciale con tanto di bandierine a segnare la zona.
Nel lento processo di emancipazione da Mosca da qualche anno è tornata in auge anche la lingua bielorussa, e con questo tutto quanto fa Nazione: per cui anche legami storici assai stretti con Lituania (Vilnius dista due ore e mezza di treno) e Polonia, di cui per secoli queste terre sono state dipendenze, prima di finir sotto gli zar. Solo il passato ebraicoqui prima dell’invasione nazista erano il 40% della popolazione, ora meno dell’1% – viene taciuto. E dire che questa era la patria di Chagall, il cuore della nazione yiddish con i suoi sheztel nella foresta. Non se ne trova notizia neanche girovagando tra le belle sale del ricco Museo Nazionale, che espone una collezione di quadri e statue da fine Settecento all’epoca sovietica, con un gran dispiegarsi sia di realismo ottocentesco che di opere, spesso assai interessanti, del periodo dell’Urss. Il tutto in grandi sale vigilate da signore con capelli vaporosi e sguardo duro, vero reperto vivente dell’apparato di un tempo.
Ma l’aria, almeno architettonica del passato si respira soprattutto lungo l’arteria principale della città: viale Indipendenza, dove uno dopo l’altro si allineano tutti i palazzi del potere (tra cui la residenza dove sta lui, il Presidente che chi lo appoggia lo chiama il Nostro Presidente, e chi lo osteggia non chiama), della cultura – teatri, le tante Università, ovviamente il palazzo del Circo – e le statue che commemorano la vittoria e i partigiani della Grande Guerra patriottica. La via – che andrebbe verso Mosca – è lunga 15 chilometri o 25 chilometri, dipende da quanto è nazionalista chi te lo dice. Di certo è larga almeno 75 metri, e i palazzi che si affacciano, residenziali o ufficiali, sono alti circa 40 metri, perché quando è stata pensata si è deciso che fosse rispettata una proporzione di 1 a 2. Quanto è stata progettata, negli anni Quaranta, si sono apertamente ispirati alla prospettiva Nievsky di San Pieotroburgo: aspira alla stessa grandiosità senza riuscire però ad averla. Sarà che non ci sono quei colori pastello che fanno tanto Italia, e nemmeno l’acqua in cui si specchiano. Però, ecco la monumentalità quella non manca, ma è tutta staliniana. Perché Minsk a ben vedere è forse l’esempio meglio riuscito, di sicuro meglio conservato di quello che nei Paesi sovietici va sotto il nome di “stile imperiale stalianano” che, specie se confrontato con quello che è stato partorito dopo dall’architettura sovietica è uno stile abbastanza piacevole all’occhio.
Anche se certo non riesci ad ammirarlo appieno quando te lo raccontano le guide turistiche ufficiali di questo Paese, queste Natalia o Masha, che parlano per ore ed ore senza curarsi che qualcuno le stia a sentire raccontando tutto a macchinetta, ogni capitolo dell’abcedario che devono aver studiato quando hanno fatto esame da guida dopo aver studiato a Istituto Statale di lingue. Perché più che raccontarti le storie interessanti di un palazzo o dell’altro, preferiscono dilungarsi spiegando la storia del Paese come un bigino biondo che sa tutto ma davvero tutto sulla produzione delle principali aziende del Paese, sul grande trattore Belarus che sta sulle banconote vietnamite ed è l’orgoglio dell’industria nazionale, industria che oggi produce camion per le miniere, la terza nel mondo che è capace di costruire un camion di 450 tonnellate con gomme di 4 metri. E poi via, mentre dal finestrino scorrono i palazzi e i grandi parchi, avanti a elencare l’animale nazionale, il fiore nazionale, l’albero e il colore e tutto quanto è nazionale: tutte le nozioni inutili del sussidiario di geografia delle elementari. E se gli chiedi di altro fa la vaga.
Ma meno male che anche la Bielorussia sta cambiando. Te ne accorgi il sabato sera, quando nella zona intorno al canale, a un passo dalla Cattedrale dello Spirito Santo, tra le vie stranamente strette di quel che resta dell’antica Minsk la vita si anima come in qualsiasi città d’Europa. Con frotte di giovani che entrano ed escono dai locali, si siedo sul prato a bere, ballano, chiacchierano, fumano pipe ad acqua che sembra cadono molto di moda, ascoltano concerti improvvisati e pensano a un futuro diverso. Futuro che passa anche da eventi come i Giochi Europei che hanno il merito di aprire il Paese al mondo, grazie alla sempiterna diplomazia dello sport. Anche un Paese come la Bielorussia, dove il passato non è ancora del tutto passato.
INFO PRATICHE.
Dall'Italia per Minsk non ci sono voli low cost, ma voli diretti – da Milano Malpensa e Roma Fiumicino – con la compagni di bandiera bielorussa, Belavia.
Le formalità all'ingresso che prima erano abbastanza laboriose sono state alleggerite proprio in occasione dei Giochi Europei. Per cui chi dimostra di avere un biglietto per l'evento può entrare nel Paese sia via aerea che via terra senza dover richiedere visto, basta il semplice passaporto e fermarsi fino a 30 giorni. Altrimenti in altri periodi chi vola su Minsk (ma non è in arrivo da un aeroporto della Russia) non necessita del visto e ci si può fermare fino a 30 giorni, anche se per periodi superiori ai 5 giorni è necessaria la registrazione presso le autorità di polizia. Se al contrario si entra (ed esce) via terra è necessario richiedere il visto all'ambasciata di Roma. Tutte le informazioni comunque si trovano sul sito del Ministero bielorusso.
Da più parti viene scritto che per entrare in Bielorussia è necessario dimostrare di avere contanti sufficienti per il soggiorno in ragione di almeno 10 euro al giorno, ma all'ingresso in aeroporto non viene più chiesto. Del resto nel Paese si può pagare quasi ovunque con le carte di credito e i Bancomat per ritirare i Rubli bielorussi (1 rublo = 0,46 euro) sono assai diffusi.
È invece assolutamente necessario dimostrare di avere una assicurazione sanitaria valida: bastano le più importanti assicurazioni di viaggio, purchè si porti un certificato in inglese che attesti la copertura (di norma viene fornito all'atto della sottoscrizione). In caso per pochi euro al giorno si possono sottoscrivere assicurazioni sanitarie anche nei vari posti di frontiera.
Minsk è una città assai sicura che si gira facilmente. Viste le distanze enormi ci si muove anche sfruttando anche la fitta rete di mezzi pubblichi che comprende due linee metropolitane, infiniti bus e tram. Il biglietto costa 65 copechi (circa 30 cents) e si può acquistare direttamente sui mezzi. L'inglese è diffuso soprattutto tra i giovani, altrimenti qualche parola di russo può aiutare.
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