Le prima volte che uno arriva a Lisbona storce il naso. Ma non perché la città sia deludente, anzi. Lo storce perché, specie da aprile in avanti, in giro si sente un certo insistente e onnipresente odor di pesce grigliato. Un volatile sentore di carbone che si mischia con quello delle grasse sardine grigliate. L’antica abitudine di molte piccole tascas – l’equivalente lusitano delle trattorie con le tovaglie a quadretti, che qui sono sostituite da tavagliette di carta, sottili e bianche – di grigliare per strada, davanti al locale, su piccole griglie a carbone che la sera vedi lasciate accanto all’ingresso, fortunatamente non è tramontata. E così verso ora di pranzo e sul far della sera c’è tutto un fumo ben odoroso che si diffonde tra le colline della città, alimentato da signori di una certà età che, sventolando un pezzo di cartone, tengono viva la fiammella del carbone e della tradizione culinaria.
Ma se si parla di tradizione culinaria portoghese bisogna per forza di cose parlar di “bacalhau”, il baccalà: che sta al Portogallo come la pizza, o gli spaghetti – a scelta – stanno all’Italia. La vulgata, mai verificata, ma sempre tramandata vuole che ci siano 365 differenti modi di cucinare il bacalhau, che mai manca dalle tavole portoghesi. Un’altra dice che di modi di cucinarlo ce ne sono 1001. Ovviamente sono leggende, anche se è vero che i portoghesi sono ancor oggi i più grandi consumatori di merluzzo del pianeta, come si apprende visitando un museo che non è un vero museo, ma più un luogo dove ti spiegano con profusione di istallazioni assai contemporanee il legame tra il baccalà e il Portogallo: il Centro Interpretativo da História do Bacalhau. Un centro che trova in quello spazio aperto al mondo che è Praça do Comercio: il rettangolo di palazzi settecenteschi che si affacciano sul Tejo, quel fiume dai colori cangianti che molti scambiano per il mare, ma che rimane un fiume ancorché qui davanti assai ampio, quasi 30 chilometri.
IL PIATTO NAZIONALE
Il museo, aperto nel 2020 all’interno del Torriao Ponente del Terriero do Paço
, racconta la storia del gadus morhua, il merluzzo nordico, e di come, nelle sue versioni, sia diventato il piatto nazionale portoghese, o quanto meno quello più identitario. Anche se, quando si parla di cibo, è bene ricordare che nessun piatto, per quando venga raccontato come quanto di più autenticamente “nazionale” ci sia, affonda le sue radici esclusivamente nel proprio luogo, in questo caso nel proprio mare. I piatti sono sono sempre il risultato di incontri più o meno casuali, incroci meticci che costruiscono una storia che porta in territori amplissimi. Per cui se devo andare a cercare le origini di un piatto o di una abitudine alimentare finisco sempre per andare a pescarle in altre culture. Che è appunto quello che si apprende nelle sale scure del Centro: il bacalhau – che altro non è che merluzzo salato – non si pesca nelle acque portoghesi. Neanche la parola bacalhau è di origine portoghese, ma deriva dall’olandese kabeljauw, che a sua volta viene dal francese cabaillaud.
Il gadus morhua infatti si pesca nelle acque fredde del Nord Atlantico, tra il Canada, la Groenlandia e l’Islanda, fino alle coste della Norvegia e alle isole Far Oer. Non è un caso dunque che le prime testimonianze del baccalà risalgano al IX secolo, con i vichinghi che – essiccato al vento e al sole, ovvero “stoccafisso” – lo caricavano a bordo delle loro imbarcazioni come fondamentale scorta alimentare per i loro viaggi. I Vichinghi entrarono in contatto con un altro popolo di grandi marinai, i baschi, che ne esportarono la moda in tutta la penisola iberica. Ma la grande stagione del bacalhau doveva ancora venire.

STORIE DI CANADA E DI NORVEGIA
I portoghesi iniziarono a usarlo come provvista per i loro viaggi di scoperta del globo durante il XIV secolo, fino a quando non si spinsero fino alle acque prospicienti il Canada della baia di Terranova, la più grande riserva di merluzzi del pianeta. Un posto dove era così facile pescarlo che quasi si poteva fare con le mani. Solo che le condizioni climatiche erano differenti, clima più umido, meno freddo, e l’essiccazione al vento non funzionava. Da un paio di millenni però i portoghesi sono maestri nell’arte di conservare il pesce. Perché già all’epoca dell’Impero Romano, quando quella portoghese ha costituito una delle province più remote da queste parti – a Peniche che oggi è famosa per il surf, alle foci del Sado e in tutta l’area intorno al fiume Tejo – si essiccava e salava il pesce – sardine, sgombri, tonni – per poi esportarlo. Così i portoghesi a Terranova non fecero altro che usare la loro antica tecnica: tagliare a pezzi, salare e mettere in barile il pesce che da quel momento divenne “il pesce portoghese”.

Che poi, quando uno vede un tonno, o un pesce spada, pensa che bel pesce, lo pensa proprio a livello estetico: imponente, slanciato, argenteo, letterario quasi come una balena in cerca del suo Melville. Invece il merluzzo non è bello a vedersi, anzi. Come racconta l'americano Mark Kurlansky nel suo bel libro Merluzzo. Storia del pesce che ha cambiato il mondo (pubblicato da poco da Nutrimenti) nelle sue oltre 200 varietà commestibili è costruito per resistere al freddo, nuova con la bocca aperta mangia qualsiasi cosa gli capiti, per questo è relativamente facile da pescare. Si muove in acque non troppo profonde e si avvicina alle acque basse della riva per deporre le uova.

Brutto o meno, il merluzzo è presto divetato il “fiel amigo” dei portoghesi. Nutriente, facile da trasportare, conservabile per anni e in definitiva economico, il baccalà è presto diventato la carne dei poveri per il popolo portoghese. Nei secoli la pesca del pesce nelle acque di Terranova venne contesa tra inglesi e francesi, scatenando addirittura una guerra che fece alzare i prezzi del baccalà, che per diversi decenni in Portogallo divenne un cibo per i ricchi. Almeno fino a quando, nel 1835, non venne fondata la Companhia de Pescarias Lisbonense che, impiegando navi d’altura e piccole imbarcazioni di legno, a remi (dory) per la pesca costiera, costituì una prima flotta del baccalà, ma il Paese era ancora largamente dipendente dalle importazioni.

La vera rivoluzione avvenne sotto la dittatura di Oliviera Salazar, che nel 1934 lanciò la “campagna del Bacalhau” per emancipare il Paese dall’estero. È un’epoca controversa, a suo modo eroica: in cui le imbarcazioni lusitane partivano per mesi alla volta del Canada, della Groenlandia o della Norvegia, ritornando con il loro carico di storie e di pesce, che poi veniva salata ed essiccato nelle industrie nate dall’altro lato del Tejo. Un’epopea alimentata dalla retorica nazionalista del regime di Salazar che ovunque – dal calcio alla musica – cercava elementi per costruire un’identità nazionale forte, e il baccalà, il cui prezzo era calmierato per non creare tumulti di popolo – era tra questi. Ma per farlo i pescatori che passano giornate solitarie in piccole imbarcazioni da diporto pescando fino a 900 chili di pesce in balia di onde, vento e gelo, venivano sfruttati e sottopagati. Un’epopea durata fino al 1974, quando la pesca e l’industria di trasformazione declinarono. Oggi la maggioranza del baccalà che si consuma in Portogallo arriva dalla Norvegia. Con 35 chili pro capite all’anno, il Portogallo è di gran lunga il maggior consumatore di baccalà del globo, circa il 20% del totale. Non male per un Paese di dieci milioni di abitanti.

RISTORANTI E TASCAS
Una storia che si apprende al Centro, ma che si consumo fuori, per strada. Non solo nei ristoranti e nelle tascas, dove il baccalà (nonostante nell'ultimo anno sia decisamente aumentato di prezzo), è comunque presente nelle versioni più tradizionali, ovvero à bras (con uovo e patate), a lagaeiro (grigliato con olio e aglio), com nata (al forno con besciamella), o semplicemente grelhado, grigliato. Ma anche curiosando nei (pochi) negozi di alimentari che si trovano nelle vie della Baixa, come quelli in Rua do Arsenal, il Rei do Bacalhau e A perola do Arsenal.

Sono alcune delle bacalhoarias superstiti (assieme alla Mantegaria Silva, al Rossio): qui si banchi di marmo si trovano cataste di bacalhau, divisi per provenienza, tipologia e pezzatura: dalle “poste” che pesano qualche chilo, ai pezzettini di risulta, buoni per fare i Pastéis dé bacalhau, le crocchette di baccalà che non mancano in un bar lusitano degno di questo nome. O ancor meglio le Pataniscas, frittelle di baccalà in pastella, che faranno storcere il naso ai salutisti, ma pazienza. Anche perché, come dice lo scrittore Antonio Lobo Antunes, “saper fare i pasteis de bacalhau è importante come aver letto i Lusiadi, una forma di cultura”.
INFORMAZIONI
- Centro interpretativo historia di Bacalhau, praça do Comercio, Lisbona. Aperto tutti i giorni, dalle 10 alle 19; historiabacalhau.pt.
- Turismo Lisbona: visitlisboa.com
- Il Centro interpretativo è una delle attrazioni che si posso visitare quando si visita Lisbona per qualche giorno sfruttando il programma Portugal Stopover di Tap, la compagnia di bandiera portoghese che effettua oltre 100 voli settimanali tra l’Italia e il Portogallo, con partenze da Milano Malpensa, Roma Fiumicino, Napoli, Bologna, Firenze e Venezia. Con Portugal stopover si può aggiungere una sosta gratuita da 1 fino a 10 giorni a Lisbona o a Porto. La sosta può essere effettuata durante il viaggio di andata o di ritorno. Oltre ad avere l'opportunità di visitare Lisbona (o Porto) si possono anche acquistare voli interni con il 25% di sconto, compresi i voli per Madeira e le Azzorre. Maggiori info su: www.flytap.com