La sconfitta navigava a fianco di Ferdinando Magellano da più di un anno. Non era un uomo solo al comando, ma diversi uomini del suo equipaggio non ripoevano più fiducia in lui e cominciavano a rumoreggiare. La spedizione era composta da cinque navi, quattro avevano un comandante spagnolo. Lui era portoghese. Uno dei comandanti voleva invertir le vele e tornare in Europa, un altro voleva tentar ventura per altre rotte. Basso, claudicante e poco appariscente, il comandante Magellano aveva preso il mare da Sanlúcar de Barrameda, in Spagna, il 20 settembre 1519: un anno dopo non aveva trovato ancora nulla.

Immaginate la mappa geografica dell’America Latina dell’epoca come uno di quei giochi da Settimana Enigmistica. Quei labirinti di carta di cui conosci l’entrata e devi trovare l’uscita, ammesso che ci sia un’uscita. Per cui provi a seguire una via ed è sbarrata. Torni indietro e provi dal lato opposto. Nulla. Da un altro, niente. Provi ancora e ancora, e non vai da nessuna parte. Un bel rompicapo.

Ecco, cinque secoli fa il comandante portoghese Fernão de Magalhães si trovava di fronte a un labirinto simile. Era certo, certissimo che ci fosse una soluzione, anche se nessuno prima di lui l’aveva trovata. Eppure Magellano diceva di essere in possesso di una bozza di una carta nautica realizzata da tal Martino di Boemia secondo cui, da qualche parte sotto il Rio de La Plata – che ai tempi era il Capo di Santa Maria –, doveva esserci un passaggio verso le acque di quell’oceano, il Grande golfo veniva chiamato allora, che poi lui stesso battezzò Pacifico. Forse aveva addirittura visto uno dei primi Erdapfel, una “mela-terra”, tra i primi esempi di globo terreste realizzati da un europeo. Ma sono ipotesi, non è dato saperlo con certezza. Non ci sono prove che lui volesse circumnavigare il globo. La sua era una spedizione commerciale: doveva arrivare alle Molucche, aggirando il controllo portoghese della rotta verso le isole delle Spezie. Se non avesse trovato quel pertugio nelle terre emerse dell’America meridionale avrebbe fatto vela verso Est, seguendo la rotta frequentata dai portoghesi.
Era un’idea folle all’apparenza, che necessitava di un sovrano folle che potesse crederci e finanziare l’impresa. Anche lui come Colombo lo trovò in Spagna, alla corte di Carlo I – il futuro Carlo V sul cui impero non tramontava mai il sole –, che lo incaricò di trovare una nuova rotta, più conveniente e rapida, verso le isole Molucche. Salpò alla guida di cinque navi, con 239 uomini di equipaggio: anche lui, come Cristoforo Colombo, andava cercando l’Oriente per l’Occidente. Al comando della Trinidad, sventò un assalto di navi portoghesi decisi a non fargli tentare l’impresa e attraversò l’Atlantico potendo contare su una cambusa con 7240 chili di pane biscottato, 194 di carne essiccata, 163 di olio, 381 di formaggio, 200 barili di sarde salate e 2.856 pesci essiccati. Dati precisi che si trovano nei portolani conservati all’Archivio Das Indias di Siviglia. Aveva passato l’inverno australe sulle coste argentine, a San Giuliano, 49°3′ di latitudine Sud. Ci era rimasto cinque mesi, soffrendo il freddo, gli stenti e domando con violenza il malumore degli equipaggi divenuto aperta rivolta: i marinai spagnoli e i loro comandanti mal tolleravano questo portoghese visionario e la sua banda di cartografi lusitani - tutti un tempo erano stati al servizio del Re del Portogallo.
Ripresero il mare prima ancora dell'inizio della primavera australe, persero una nave, affrontarono una tempesta enorme che li obbligò a fermarsi per altri due mesi nella baia di Santa Cruz per sistemar vele e chiglie. Dopo continuarono a navigare, dubitando che il comandante davvero sapesse dove fosse quel che andava cercando. Del resto Magellano non aveva vere mappe come le conosceva adesso, ma procedeva per stime. Da mesi procedeva in una minuta e dettagliata esplorazione di ogni gola, ogni estuario, ogni anfratto. In oltre un anno aveva subito due ammutinamenti, sepolto una manciata di morti, sperato innumerevoli volte e innumerevoli volte era stato disilluso.


Mappa del viaggio di Magellano

Poi, era il 1 novembre 1520, trovò il passaggio che univa Atlantico e Pacifico. Lo cercava da una vita e 38 giorni. Tanti quanti ne erano passati quando con le navi della sua spedizione si era infilato in quell’ennesimo stretto di mare in cerca del Pacifico. Aveva combattuto venti polari e maree enormi, ogni volta aveva sperato che dietro una delle 43mila isole e scogli del canale lungo oltre 200 chilometri ci fosse il Pacifico. Quando lo trovò, pianse. «El capitano generale lagrimò per l’allegrezza, e nominò quel Capo Deseado, perché l’avevamo già gran tempo deseato» scrive il vicentino Antonio Pigafetta nel “Il primo viaggio intorno al globo”, il diario di quella spedizione. Pigafetta era riuscito a farsi imbarcare come “criado” (ovvero come addetto alla persona) sulla Trinidad, la stessa nave del comandante di cui divenne qualcosa come un segretario particolare.

È grazie a lui se sappiamo i dettagli di quell’impresa. Se sappiamo, per esempio, che una ventina di giorni prima Magellano pensava di aver trovato lo spiraglio giusto. «Essendo entrati in questo stretto, trovassemo due bocche, una al scirocco, l’alta al garbino. Il capitano generale mandò la nave Santo Antonio insieme alla concezione per vedere se quella bocca che era verso scirocco aveva esito nel mare Pacifico». Oppure che «quando éramo in quello stretto, le notte erano solamente tre ore (…). E la terra di questo stretto a man manca era voltata al scirocco e era bassa. Chiamassemo a questo stretto, el stretto patagonico».


Replica della nave con cui Magellano attraverso lo Stretto

Poiché le navi vi entrarono il 1º novembre, Magellano lo battezzò Estrecho de Todos los Santos. Lungo 200 chilometri e largo nel suo punto più “stretto” solo 2 chilometri, venne dedicato all’esploratore portoghese nel 1525. Non è l’unico passaggio tra Atlantico e Pacifico, ovvio. Certo, ci sono i due canali di Panama, ma sono artificiali e non è il caso di contarli. C’è il canale di Beagle, quello dove poi passò Darwin, tutto interno al mare di isole e isolette che costituiscono la Terra del Fuoco. E poi c’è il tremendo, periglioso canale di Drake, il tratto di mare agitato che separa Capo Horn dall’Antartide. Ma è quello che per primo e per sempre ha cambiato la nostra visione del mondo. «Magellano ha segnato una rivoluzione concettuale – spiega Jose Manuel Marques, capo delle celebrazioni portoghesi – ci ha dato per la prima volta una visione completa del mondo, che ci ha mostrato che c’è un solo oceano e che il mare è un legame tra le persone». Certo, Magellano non colse nessun frutto della sua scoperta. Morì sull’isola di Mactan, nelle Filippine il 27 aprile 1521. Si era alleato con il capo sbagliato in uno scontro tra tribù e venne ucciso.

Il pilota basco Sebastiano del Cano, uno che mesi si prima si era ammutinato, prese il comando della nave Victoria e, dopo quasi un ulteriore anno di navigazione la fece tornare a Siviglia – l’8 settembre 1522 – attraverso l’Oceano Indiano, il capo di Buona Speranza e l’Atlantico. Dei 329 marinai partiti ne erano sopravvissuti 18, tra cui Pigafetta. Sebastiano del Cano come prima cosa scrisse a Carlo V e annunciò: «Abbiamo scoperto e fatto un percorso intorno a tutta la rotondità del mondo – andando a occidente siamo tornati a oriente». L'apparente sconfitta di Magellano, era diventata una vittoria. Rivoluzionaria.