Il Dpcm del 24 ottobre scorso, l’ultimo in ordine di tempo che ha introdotto ulteriori restrizioni per cercare di contenere i contagi da coronavirus, inciderà di nuovo pesantemente sul settore turistico. La “ripresina” estiva, infatti, non è stata sufficiente a modificare una tendenza negativa che, arrivati a questo punto, non sembra realistico invertire nel breve termine.
Le nuove misure hanno bloccato per l’uso amatoriale gli impianti sciistici fino al 24 novembre, non disponendo ancora nulla sul periodo successivo ma introducendo una pesante ipoteca sulla stagione turistica invernale alla quale operatori e destinazioni si stavano preparando. È pur vero che è stata prevista la possibilità di una riapertura anticipata qualora la Conferenza delle Regioni riesca a individuare delle linee guida validate dal Comitato tecnico scientifico che rendano sicuro lo svolgimento delle attività, ma chiaramente con l’attuale andamento dei contagi – che ci sta facendo perdere rapidamente il “vantaggio” che ancora avevamo rispetto agli altri Paesi europei – sembra un’eventualità remota.

Altro comparto su cui sono intervenute restrizioni è quello fieristico: dopo lo stop a eventi e congressi in presenza delle settimane scorse, ora si fermano anche le manifestazioni di carattere nazionale e internazionale. Ciò segna una battuta d’arresto per i flussi business che, soprattutto nelle stagioni di spalla, contribuivano ad alimentare la domanda turistica ma anche per tanto turismo leisure, di prossimità e non solo, generato dalle numerose fiere e sagre legate ai prodotti enogastronomici autunnali, per non parlare della macchina dei mercatini di Natale che tradizionalmente entrava in funzione dalla fine di novembre.

Per le città d’arte, infine, la sospensione di molte occasioni di fruizione culturale (dai cinema ai teatri, ai concerti ai festival, mentre restano per ora aperti mostre e musei), la limitazione oraria di bar e ristoranti che si aggiunge al coprifuoco serale costituiscono un disincentivo al turismo urbano che tra l’altro non trova nemmeno più il suo naturale pubblico di riferimento per la totale assenza di ospiti stranieri, alle prese con situazioni anche peggiori della nostra. Se infatti, i flussi domestici hanno tradizionalmente una componente stagionale molto elevata – il 51% delle presenze si concentra tra giugno e agosto – quelli incoming dipendono in misura inferiore dall’estate (44%) e presentano una stagionalità più lunga che inizia a maggio e si protrae fino a ottobre, complice la forte attrazione esercitata appunto dalle nostre città d’arte (Fig. 1).

Fig. 1 Stagionalità delle presenze domestiche e incoming – 2019 (distribuzione %)
Fonte: elaborazione Centro Studi Tci su dati Istat
Da qui a fine 2020, stando ai trend consolidatisi negli ultimi anni, è a rischio il 14% delle presenze totali, pari a oltre 61 milioni, di cui circa la metà straniere. Un danno notevole che si aggiunge alle perdite dei mesi scorsi se si considera che, per alcuni mercati in particolare, il nostro Paese è un’importante destinazione anche nel periodo autunnale (Fig. 2). Tra i primi dieci bacini incoming dell’Italia, infatti, quattro presentano una concentrazione di presenze nell’ultimo trimestre dell’anno superiore al dato medio: si tratta degli Stati Uniti (19%, pari a 3 milioni di presenze), Cina (21%, quasi 1,2 milioni presenze), Spagna (18%, un milione) e Russia (15%, circa 900mila).

Fig. 2 Stagionalità di alcuni Paesi inseriti nella top 10 incoming – 2019 (distribuzione % presenze)
Fonte: elaborazione Centro Studi Tci su dati Istat
 
Ciò ha chiaramente ripercussioni differenti a livello di territoriale. Come evidente dalla Tab. 1, che riporta le prime 20 province più rilevanti per presenze straniere su base annua, in ben nove casi l’incidenza dei flussi nell’ultimo trimestre dell’anno è superiore al valore medio. La situazione più eclatante è quella di Milano e della sua area metropolitana dove nel periodo ottobre-dicembre si concentra ben il 24% delle presenze straniere annuali, contro un dato nazionale che si ferma al 14%. Una differenza di dieci punti percentuali che si spiega con gli eventi e le manifestazioni fieristiche che nei mesi autunnali attraggono nel capoluogo lombardo un elevato numero di turisti business. Per l’area milanese dunque rinunciare ai flussi dell’ultimo trimestre dell’anno potrebbe tradursi in quasi 2,3 milioni di presenze in meno. Analogo discorso può valere per Bologna e Torino dove si potrebbe sommare alle perdite degli scorsi mesi (fino a) un ulteriore -20% delle presenze straniere annue, con valori assoluti superiori a 400mila pernottamenti in entrambi i casi.

Critico lo scenario anche per le città d’arte simbolo dell’Italia nel mondo: Roma (21%) metterebbe a rischio da qui a fine anno quasi 5 milioni di presenze, Firenze (19%) quasi 2,2 milioni e Napoli (16%) potrebbe dover rinunciare a 1,3 milioni di notti, in un contesto regionale in cui l’emergenza coronavirus è pressante da diverse settimane, situazione che ha determinato l’adozione di misure più stringenti rispetto a quelle di altre aree (qui vige per esempio il divieto di spostamento tra province e le scuole sono state chiuse immediatamente dopo il peggioramento dei dati di contagio). Discorso differente per la Provincia autonoma di Bolzano dove i quasi 3,7 milioni di presenze a rischio sono in gran parte legati alla montagna e agli sport invernali, ora bloccati almeno fino al 24 novembre con le disposizioni previste dall’ultimo Dpcm.

Tab. 1 Top 20 province italiane per presenze straniere – 2019
Fonte: elaborazione Centro Studi Tci su dati Istat
 
La criticità della situazione per l’industria dei viaggi e delle vacanze è dovuta dunque a due differenti fattori: da una parte, il crescente numero di contagi nel nostro Paese che lo sta facendo tornare nuovamente poco sicuro come destinazione; dall’altra, il fatto che i nostri principali bacini turistici incoming stanno vivendo situazioni non certo migliori della nostra, per cui con molta difficoltà potranno ricominciare a viaggiare nelle prossime settimane. Ciò è evidente se si guarda la Tab. 2: la colorazione in grigio scuro della quasi totalità dei nostri Top mercati di origine corrisponde a un’incidenza di casi Covid-19 su 100.000 abitanti (cumulativa sui 14 giorni precedenti il 25 ottobre) superiore a 120. Non esiste a oggi, a parte il caso della Cina che ha un dato inferiore a 20, un Paese europeo o extraeuropeo rilevante per il nostro turismo che presenti un qualche segnale incoraggiante da questo punto di vista.

Tab. 2 Top 20 province italiane per presenze straniere (primi tre mercati di riferimento) – 2019
Fonte: elaborazione Centro Studi Tci su dati Istat ed European Centre for Disease Prevention and Control
 
Non appare dunque realistico, provando a ipotizzare una stima di chiusura del turismo incoming a fine anno, che l’andamento sin qui consolidato dai dati ufficiali (-62% per spesa e -59% per il numero di viaggiatori stranieri nel periodo gennaio-luglio 2020 rispetto all’anno precedente) sia migliorabile: anzi, se le misure di contenimento non dovessero essere sufficienti a rallentare il contagio e fosse necessario un nuovo lockdown generalizzato, è probabile che si possa arrivare per fine anno a una riduzione degli indicatori più vicina al 70%: ciò significherebbe una perdita di oltre 40 milioni di viaggiatori e di 30 miliardi di euro per la spesa turistica nel 2020.

Per quanto riguarda infine i flussi domestici – quelli su cui si è sostanzialmente basata la timida ripresa estiva –, è probabile che, se dovesse bloccarsi la macchina del turismo invernale, l’andamento di fine anno sarebbe ugualmente drammatico. I dati provvisori gennaio-giugno segnalano già un calo delle presenze degli italiani in Italia del 58% e la chiusura 2020 potrebbe essere in linea: ciò significherebbe una perdita complessiva di 125 milioni di presenze cui parallelamente potrebbe corrispondere un calo della spesa domestica stimata in circa 40 miliardi di euro rispetto al 2019.