Per tutto maggio 2021, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 104 (Torino, 8 maggio - Milano, 30 maggio). A raccontarci i luoghi del Giro d'Italia 2021 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui i recenti Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.
 
Oggi la tappa più lunga. 231 km, da Rovereto a Stradella, dalla Vallagarina all’Oltrepò Pavese. Dalle terre del Marzemino, che finisce nel Don Giovanni di Mozart («Versa il vino, eccellente Marzemino!» dice don Giovanni a Leporello: ma più che di Amadeus è tutto merito di Lorenzo Da Ponte, il suo librettista italiano), a quelle del Buttafuoco, che invece pare debba il suo nome a un apprezzamento di Carlo Porta, poeta milanese, che all’assaggio esclamò: «Buta m’el foeug!», esaltandone la calorosa potenza. Da Fortunato Depero (1892-1960), pittore, designer e gran trasformista del futurismo, ad Agostino Depretis (1813-1887), pluriministro del Regno d’Italia e creatore del trasformismo, invenzione che nella storia della politica italiana avrà un grande futuro (e un fortunato presente). Dai cupi rintocchi della Campana dei caduti al dolce suono della fisarmonica di Stradella
Cantina Buttafuoco - foto Garavana/Fondazione Sviluppo Oltrepò
 
È proprio la fisarmonica il filo rosso storico che lega il Trentino all’Oltrepò. Se Stradella è considerata la capitale della fisarmonica moderna – e non solo da Paolo Conte che in una sua celebre canzone, di ritorno da sabati sera danzanti degli anni ’50-60, guidava nella notte e nella nebbia padana mentre la sua morosa puntualmente si addormentava sul sedile a fianco – il merito è di Mariano Dallapè, nato nel 1846 a Brusino di Cavedine, ora in provincia di Trento, ma all’epoca nell'Impero austro-ungarico, e che arrivò a Stradella nel 1865 con un Accordion austriaco. Il suo prototipo di fisarmonica a cassetta, datato 1871, giustifica da solo la visita al Museo che la città gli ha intitolato. Si tratta di uno strumento realizzato con materiali di fortuna: la tela del mantice è tratta da una vecchia camicia, i bottoni da pomellini di mobili. La produzione in serie della ditta Dallapè ebbe inizio nel 1876. A partire dal 1890, con la fisarmonica cromatica, fu possibile interpretare anche la grande musica. Negli anni ’20, l'età dell'oro della produzione stradellina, il numero dei dipendenti di Dallapè sfiorava i trecento. Ma non era l’unica fabbrica: altre 44 ditte producevano fisarmoniche. Giovanni Tesio, Ercole Maga, premiato con medaglia d'oro all'Esposizione Internazionale di Londra del 1902, Enrico Massoni, Paolo Rogledi, Carlo Pasquini, fondatore della Salas (Società Artigiana Lavorazione Armoniche Stradella) e la Cooperativa L'Armonica, soprannominata la rossa durante il fascismo per la sua non nascosta fede socialista. Purtroppo di quella lunga e produttiva tradizione artigianale ora resta solamente il ricordo. 
Museo della Fisarmonica a Stradella - foto Garavana/Fondazione Sviluppo Oltrepò
 
Fino a poco prima che Mariano Dallapè arrivasse a Stradella, l’Oltrepò pavese fu per secoli una terra di confine, e di contrasti. In particolar modo la sua area orientale, quella che oggi accoglie la 18a tappa del Giro, tra la Val Versa e la Valle Scuropasso, l’entroterra collinare di Stradella e di Broni, le città affacciate sulla pianura, era una zona di tensione tra il ducato di Parma e Piacenza a est, il sabaudo regno di Sardegna a ovest e, appena oltre la linea del Po, il regno austro-ungarico. Un mosaico di storie e di culture che, nonostante la ricomposizione postunitaria, continua a conservare le sue peculiarità e le sue differenze. Che sono al tempo stesso una risorsa e un limite. 

Del resto, l’eterogeneità culturale, ma anche geomorfologica e naturalistica, è la caratteristica di tutto l’Oltrepò Pavese. A osservarlo dalla pianura, l’Oltrepò pavese appare come una dolce ondulazione di colline disegnate dalle geometriche pettinature dei filari. Qua e là, il verde dei vigneti e dei coltivi è interrotto da qualche costone calvo di argille o di calcari. Ma se si sale un poco più a monte, è già Appennino, cuneo conficcato al di sotto della linea del Po, radice montana di Lombardia. E allora sono macchie di querce, di castagni, di faggi appoggiate su scoscesi pendii, e spiazzi di ocre gialle. Lungo gli spogli sentieri di crinale degli ultimi contrafforti, si sente ormai aria di Liguria: in alcuni punti, quando il cielo è stirato dal vento, si vede il mare. 

Vigne dell'Oltrepò - foto Garavana/Fondazione Sviluppo Oltrepò
 
Delle potenzialità (e dei limiti) di questa complessità geografica ci parla Giorgio Boatti, scrittore e giornalista, autore di importanti saggi di storia del nostro Novecento – solo per citarne due: Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta (prima edizione 1993, e poi più volte aggiornato in nuove edizioni), ricostruzione delle intricate trame politiche ed eversive dietro all’attentato che avviò la strategia della tensione e Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini (2010), le biografie dei dodici accademiche che espressero il loro dissenso alle leggi razziali fasciste – e di numerosi reportage culturali in giro per l’Italia. Boatti, negli ultimi anni, è stato responsabile della comunicazione del progetto Oltrepò Biodiverso, all’interno di ATTIV·AREE, un programma intersettoriale di Fondazione Cariplo dedicato alla valorizzazione delle aree interne.  
 
«Per l’Oltrepò Pavese è ormai arrivato il tempo di scegliere una sua vocazione territoriale. Il fatto di essere collocato geograficamente al centro delle grandi aree metropolitane del Nord (a meno di un’ora da Milano, a poco più da Torino e da Genova) è stata la causa, negli ultimi decenni, del suo spopolamento, ma soprattutto della sua mutazione antropologica. L’Oltrepò cento anni fa era una terra di eccellenza per la produzione vitivinicola. Le grandi regioni produttrici di vino in Italia, dalle Langhe alla Franciacorta, hanno tradizioni molto più giovani, e non possono vantare radici come quelle che un tempo paragonavano l’Oltrepò alle più illustri aree vitivinicole francesi. Il Pinot, ad esempio, trova qui, nelle colline oltrepadane, una sua perfetta collocazione e le prime sperimentazioni di spumantizzazione. E qui si sono avviate le prime forme consociative di cooperative sociali, a base cattolica e socialista. Poi, proprio la vicinanza dei grandi centri urbani ha condizionato la storia produttiva e la stessa vocazione vitivinicola. A partire dagli anni del boom economico, intorno agli anni Sessanta, ha preso il sopravvento una filosofia più industriale di produzione, attratta dalla quantità più che dalla qualità, più dal profitto facile e immediato che dalla tradizionale attenzione al lavoro in vigna e in cantina. In altre parole, la “filosofia dell’imbottigliatore” ha avuto per molto tempo la meglio su quella del vignaiolo. Alcuni e purtroppo ripetuti casi di malversazione amministrativa (in qualche caso simili a veri e propri scandali di adulterazione) hanno inferto al territorio una “ferita reputazionale” a cui con grande fatica, oggi, si cerca di rimediare. Per fortuna, esistono sempre di più case produttrici che hanno capito che la loro credibilità e il loro successo passa da un rinsaldamento dei loro legami col territorio. Sono spesso le aziende che hanno una tradizione famigliare. Si potrebbe tracciare un albo storico delle famiglie che da più generazioni fanno vino in Oltrepò e costituiscono la nobiltà del vino oltre padano, che non si sono piegate al fine esclusivamente commerciale della loro secolare attività. Hanno capito quanto è importante raccontare la loro storia e la loro passione a chi è in cerca di una più autentica e diretta esperienza di turismo curioso e intelligente. Le nuove generazioni di queste famiglie, e tutti quelli che si accosteranno a questa filosofia del vino abbinata alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, saranno il futuro del territorio oltrepadano».
Vigne dell'Oltrepò - foto Garavana/Fondazione Sviluppo Oltrepò
L’esperienza del progetto Oltrepò Biodiverso è stata intensa e ha portato buoni risultati per aver saputo raccontare un territorio all’esterno, ma anche agli stessi suoi abitanti. «Resta però ancora molto da fare. L’area oltrepadana continua a essere un zona fragile, assediata verso la pianura dalle sempre più vaste installazioni della logistica, che hanno quasi completamente cancellato il paesaggio della millenaria centuriazione romana. E ancora minacciata da proposte che vanno in netto contrasto con la pratica del turismo lento e responsabile, e rispettoso dell’ambiente. Come quella che vorrebbe ospitare la Sei giorni internazionale di enduro proprio nelle settimane della vendemmia, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, tra le strade e i sentieri di collina che dovrebbero essere preservati dal rumore e dall’invasione aggressiva e motorizzata».
 
Ho chiesto a Boatti di invitare il viandante che passa al seguito del Giro a conoscere qualche luogo particolare dell’Oltrepò, per coglierne, anche se fugacemente l’essenza, il genius loci, attraverso il paesaggio naturale e umano. «Io lo inviterei ad accostarsi un attimo lungo lo stesso percorso che toccherà la tappa del Giro. Ad esempio, al castello di Cigognola, che è un fantastico balcone sulla pianura padana e da dove, nelle giornate luminose e terse, si può ammirare l’intero arco alpino, dal Monviso alla Presolana. Poi prenderei una strada di crinale, una delle tante strade di crinale che in Oltrepò sono meravigliosi cinemascope sul paesaggio, da cui scorgere i segni dell’antico incastellamento del territorio. Prenderei la strada di crinale verso Pietra de’ Giorgi, che si affaccia alla sua sinistra sulla Valle Scuropasso, fitta di boschi: mi fermerei alla pieve, che in questo periodo è inondata dai colori e dai profumi delle fioriture. Ma siccome la qualità del paesaggio è data anche dalle cose concrete, inviterei a fare attenzione all’ex asilo, ristrutturato proprio grazie al progetto Oltrepò Biodiverso, che oggi ospita l’Associazione Agar, che si occupa di accogliere i bambini leucemici che sono in cura al Policlinico San Matteo di Pavia, e le loro famiglie. Da Pietra de’ Giorgi punterei verso Montalto Pavese: alle porte del borgo seguirei per l’indicazione di Costa del Vento, un nome evocativo che però corrisponde a una reale situazione di correnti. È forse il cuore dell’Oltrepò e dal suo crinale si può provare a decifrare l’orografia complessa, quasi labirintica del territorio. Dai suoi calanchi, verso sera, al tramonto, si arriva ad ammirare il Monte Rosa. Su Montalto svetta la mole massiccia e rosseggiante del castello, che nel Settecento era sede dell’Accademia degli Affidati, che raccoglieva i grandi studiosi naturalisti dell’Università di Pavia. Ecco, questo breve giro può dare un’idea, un assaggio di quale siano le potenzialità dell’Oltrepò, e delle sue felici relazioni tra natura e civiltà, tra memoria e paesaggio».

Cantina di Pietra de' Giorgi - foto Garavana/Fondazione Sviluppo Oltrepò

Pietra de' Giorgi - foto Garavana/Fondazione Sviluppo Oltrepò

Nel video sotto, il nostro inviato Gino Cervi ci parla dell'Oltrepò e del ciclismo in Oltrepò

 

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa. 

I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.