Per tutto maggio 2021, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 104 (Torino, 8 maggio - Milano, 30 maggio). A raccontarci i luoghi del Giro d'Italia 2021 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui i recenti Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.
Cito dal dizionario Treccani, alla voce “tappa”: «Accr. (di origine scherz.) tappóne m., tappa particolarm. lunga e impegnativa, spec. nelle corse ciclistiche: il tappone dolomitico, nel Giro d’Italia». Oggi, 24 maggio, è il giorno del “tappone dolomitico”, la Sacile-Cortina d’Ampezzo, 212 km. Purtroppo, causa maltempo, dei quattro Gran premi della montagna (La Crosetta, Passo Fedaia, Passo Pordoi e Passo Giau) ne rimarranno solo due da scalare, La Crosetta e il Passo Giau, che sostituirà il Pordoi come “cima Coppi”, ovvero la vetta più alta toccata dal Giro di quest’anno. Altro che “origine scherzosa”, come recita il Treccani. Ci sarà poco da scherzare, visto che il meteo di è inclemente.
La tappa parte da Sacile e, a Sacile, c’era un conte. Chi fosse il “Conte di Sacile” me l’ha raccontato Giacinto Bevilacqua, giornalista trevigiano, che nel 2012 ha scritto un libro Giovanni Micheletto. Il Conte di Sacile. Giovanni, detto “Nane”, Micheletto è stato uno di quei corridori ciclisti che hanno scritto le pagine dell’epopea del ciclismo pioniere, nei primi decenni del secolo scorso. Nato a Sacile nel 1889, Micheletto vinse il Giro d’Italia, nel 1912, l’unica edizione in cui la vittoria veniva assegnata alla squadra, l’Atala, nella quale correva insieme a Luigi Ganna, Carlo Galetti ed Eberardo Pavesi. Furono ribattezzati “i Moschettieri” e, in effetti, rimasero davvero in tre, per il ritiro dopo qualche tappa di Ganna. Micheletto vinse due tappe, la prima – la Milano-Padova – e l’ottava, la Torino-Milano. Che fosse forte l’aveva dimostrato già nel 1910, vincendo il Giro di Lombardia. Ma dopo il successo con la Atala venne ingaggiato per correre, nel 1913, il Tour de France.
Sacile, uno scorcio sul Livenza / foto Getty Images
Micheletto però non era, come molti suoi compagni di corsa che avevano scelto le fatiche disumane della bicicletta per farne un mestiere che assicurasse loro una vita migliore. Veniva da una buona famiglia borghese, che gestiva un’avviata attività di commercio nel campo dei vini e dei liquori. Alto e allampanato – era 1 metro e 80, notevole per quell’epoca – , con un gran nasone e dai modi gentili era una mosca bianca nel gruppo di quei “forzati della strada”. Il suo soprannome nasce proprio da qui, dai suoi modi gentili. Quando i compagni di corsa lo videro soffiarsi il naso in un fazzoletto, e non “a mano libera”, come era in voga – e, a onor del vero, è tuttora in voga – nel gruppo, lo ribattezzarono, con una certa ironia, “il Conte di Sacile”. Micheletto si ritirò presto dalle corse: fece giusto in tempo a vincere una tappa al Tour del 1913, ma non finì nemmeno quello. Poi scoppiò la Grande Guerra e ci fu altro a cui pensare.
Nel dopoguerra Micheletto si dedicò con successo all’attività commerciale della sua ditta. Ma la vita di Nane Micheletto, dopo le imprese sulle strade di Giro e Tour, ha ancora un capitolo avventuroso, come ha ricostruito attraverso testimonianze dirette di parenti, amici e conoscenti Giacinto Bevilacqua. Nel corso della Seconda guerra mondiale, il “Conte di Sacile” ebbe un ruolo importante nell’ambito della Resistenza tra la pianura veneto-friulana e l’altipiano del Cansiglio, dove si operavano le brigate partigiane della divisione garibaldina “Nino Nannetti”. Micheletto fece parte del Comitato di Liberazione Nazionale cittadino.
La figlia di Nane, Sandra, ha raccontato a Bevilacqua un’avventurosa fuga notturna in bicicletta fino a Venezia per sfuggire alla rappresaglia nazifascista che ormai lo aveva messo nel mirino. Erano passati decenni da quando vinceva sulle strade del Giro e del Tour, ma quella notte le sue buone gambe da ciclista gli tornarono molto utili per mettere in salvo la famiglia. A Giovanni Micheletto, morto nel 1958, oggi sono dedicati il palazzo dello sport di Sacile e, a Portobuffolè, un Museo della bicicletta. Dalla storia del “Conte di Sacile” (e dal libro di Bevilacqua) è stato tratto un monologo teatrale.
Il Giro ha celebrato Giovanni Micheletto nella sua Sacile 
Da Sacile, attraverso il Cansiglio, si arriva a Belluno, dove ad attenderci c’è un’altra bella storia di biciclette e montagne. L’appuntamento è a Villa Buzzati, alle porte di Belluno, sulla strada per Visome, riva sinistra del Piave, dove ci aspetta Valentina Morassutti, pronipote di Dino Buzzati. Dino Buzzati nacque in questa villa, il 16 ottobre 1906. Grande giornalista e reporter del “Corriere della Sera”, romanziere di successo tradotto in moltissime lingue, ma anche poeta e pittore, Buzzati, milanese d’adozione, trascorreva solitamente il mese di settembre nella casa natale, condividendola prima coi genitori e poi con i due fratelli, Augusto e Adriano, e la sorella Nina. 
«Nina era mia nonna – dice Valentina Morassutti - . Da lei, attraverso mia madre, e ovviamente anche dallo zio Dino, ho preso la passione della montagna, che da sempre per tutti noi in famiglia è stato un argomento sempre presente nelle nostre vite, anche quando non vivevamo qui. Un richiamo fortissimo. È stato così anche per me, che sono cresciuta a Milano, ma che ha diciott’anni ho deciso di lasciare. Le Dolomiti sono state la mia casa: prima a San Martino di Castrozza e, da circa vent’anni, proprio qui, a Villa Buzzati. I Buzzati, bellunesi ma di lontane origini ungheresi, acquistarono questa casa a inizio Ottocento». 
Valentina Morassutti sulla marmolada
La villa è un’affascinante dimora d’impianto cinquecentesco, nei tempi a seguire più volte rimaneggiata. C’è un grande granaio, un vasto giardino all’italiana e, all’ingresso del complesso, di un piccolo oratorio intitolato a San Pellegrino che risale al 1535. Dal bellissimo giardino, si gode una singolare prospettiva sul profilo della Schiara, che era la vetta più amata da Buzzati, più volte disegnata nelle sue opere. «Sì, è un luogo pieno di fascino – continua Valentina – . Un tempo mi incuteva un po’ di timore, apparteneva alla storia, al passato della mia famiglia. E forse per una bambina era una memoria troppo grande per poter essere capita appieno e apprezzata. Ma da quando ho deciso di tornarci a vivere, facendone la sede di un’associazione culturale, insieme a mia sorella Antonella, e aprendo un Bed & Breakfast di poche stanze, ho cercato di trasformarlo non solo in un luogo della memoria. In questi spazi, tra il giardino e il grande granaio, organizziamo appuntamenti che tracciano come un sottile filo rosso nel mondo letterario e artistico di Dino Buzzati».
L’Associazione Culturale Villa Buzzati San Pellegrino organizza visite guidate al luogo  organizza mostre, spettacoli musicali, reading teatrali, presentazioni di libri. La montagna, e in particolare le Dolomiti del Bellunese, sono ben presenti. Per questo ho chiesto a Valentina, da anni grande esperta e praticante di sci-alpinismo, trekking e anche di mountain-bike, di indicarci lungo il percorso della tappa di oggi i luoghi che possano essere il punto di osservazione ideale di questo scorcio di Dolomiti.
Villa Buzzati, a Belluno
«Da Agordo fino alla Marmolada e poi oltre il Pordoi e il Giau attraverserete il cuore delle Dolomiti. Se potessi distrarvi per qualche ora dalla corsa vi porterei a piedi o in mountain bike dal passo Fedaia al rifugio Padon, dove ci si apre di fronte tutta la bellezza della Marmolada. Oppure, quando arriverete al passo Pordoi, il sentiero Viel del Pan che conduce a Porta Vescovo è un’altra spettacolare passeggiata in vista del ghiacciaio della Marmolada. Ma se devo scegliere il luogo che preferisco, di tutti i passi dolomitici, è il Giau. Anche perché è tra i meno frequentati dalle auto e dai pullman. Se le nuvole ve lo consentono, li tra bellissimi prati avrete la vista più bella sulle vette dolomitiche: dai Lastoi de Formin a la Croda de Lago e le Tofane sopra Cortina».
Ho chiesto a Valentina che ricordo ha di Dino Buzzati: «Sono ricordi di me bambina e poi ragazza. E molti di essi sono mediati da quello che so da mia madre, con la quale Dino ha camminato moltissimo per queste montagne. Era una figura singolare. Aveva un aplomb molto compassato, quasi austero, in apparenza. Ma nell’ambiente familiare era molto spiritoso, con un humour molto inglese che nop bambini spesso non capivamo. Mi ricordo una sera che sulla villa si stava scatenando un terribile temporale estivo. Io ero piccola ed ero terrorizzata dai fulmini. Temevo che una saetta incenerisse tutta la nostra casa. Buzzati capì la mia paura e mi prese con se: a suo modo cercò di farmela passare spiegandomi che, a ben vedere, era molto più rischioso per la mia piccola vita di bambina il fatto che io – come facevo all’epoca – mi succhiassi il pollice piuttosto che essere colpita da un fulmine. Rimasi un po’ così, e poi chiesi alla mamma se era vero quello che aveva detto lo zio… ».
 
«C’era però un momento in cui Buzzati si trasfigurava, letteralmente, e abbandonava completamente le sue ombre caratteriali, quel fondo di malinconia che sembrava accompagnarlo. Ed era quando prendeva i sentieri di montagna. Come diceva la mia mamma, in quei momenti il suo essere si appagava completamente e i suoi umori si scioglievano come neve al sole».  Ai cultori della materia ciclistica, Dino Buzzati è noto soprattutto per aver scritto un memorabile reportage sul Giro d’Italia del 1949, quello che vide trionfare Fausto Coppi nella mitologica fuga della Cuneo-Pinerolo, una tappa “divoratrici di uomini”.
Verso il passo del Giau / foto Getty Images
Scriveva Buzzati in quell’occasione: «Questa tappa divoratrice di uomini – mai vista una corsa ciclistica così tremenda, dicevano stasera i tecnici più sperimentati – cominciò in una tetra valle, con pioggia, nuvoloni, nebbia bassa, disagio, depressione. Accartocciati nelle loro giacche impermeabili, i corridori quasi per ripararsi dal tempo nemico, si tenevano stretti uno all’altro, trascinandosi su […] come svogliati lumaconi. Misteriosamente era giunto l’autunno, la strada era deserta, forse non avremmo incontrato più né paesi né creature umane, la carovana si sarebbe trovata a tarda sera senza più forze, in un deserto di rupi e ghiacci e non avrebbe più sentito la diletta voce dei suoi cari. Tale lo stato d’animo. Solo di quando in quando i tendaggi di nebbia si aprivano, lasciando intravvedere remote cime nerastre. Ma bianche luci, filtrando di sotto ai nuvoloni, ci ricordavano che in qualche parte della terra forse splendeva anche il sole». Speriamo che oggi all’arrivo a Cortina, come in qualche parte della terra, ci sia un po’ di sole anche per noi, ma soprattutto per i corridori. 
 
- Si ringraziano per la collaborazione Hotel Ai Dogi di Palmanova e Friuli Venezia Giulia Turismo.
Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa. 

I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.