Per tutto maggio 2021, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 104 (Torino, 8 maggio - Milano, 30 maggio). A raccontarci i luoghi del Giro d'Italia 2021 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui i recenti Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.

 

LE CANZONI DI GIORGIO CONTE
«Mi troverete al bordo della strada, con il collo allungato per vedere la prima motocicletta che avverte che sta per passare il Giro». Non so se oggi lo troveremo dalle parti della sua Asti, sul tracciato del percorso della terza tappa del Giro d’Italia che da Biella porta a Canale, facendo un largo ricciolo tra Canavese, Monferrato, Langhe e Roero, ma quel che è certo è che Giorgio Conte lo abbiamo trovato assai preparato in materia. Insomma, uno che “ci tiene” al Giro d’Italia.

«Se chiudo gli occhi mi sembra di rivedermi al circolo tennis dove giocavo da ragazzo e che aveva una specie di bastione affacciato sulla strada da cui era solita passare la corsa quando transitava per le vie di Asti. E la prima cosa che mi ricordo è che ho riconosciuto Adone Carapezzi che spuntava dalla cabriolet. E mi è venuto di gridare “A Carapezzi!” e lui mi ha risposto con un ampio gesto della mano». 

Ma non finiscono certo qui i ricordi di Giorgio Conte, cantautore astigiano, classe 1941, che ha da poco tagliato in souplesse il traguardo delle ottanta primavere: «Mi ricordo un pomeriggio al bar Lupi, il bar in cui ci capitava di entrare da ragazzini. C’era un silenzio, dentro e fuori del bar, particolare: si sentiva solo la voce della radio che stava trasmettendo la cronaca di una tappa memorabile. Avevo otto anni ed ero lì incantato ad ascoltare quella famosa di Mario Ferretti che poi divenne famosa, quasi come una sigla: “Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”. Ero un bambino ma lo ricordo bene quel giorno. Avrei forse preferito che l’uomo solo al comando fosse il corridore che stava alle spalle di Coppi, perché noi in famiglia eravamo bartaliani. Ma quella cavalcata epica ascoltata per radio me la sono proprio goduta…».

«Mi è sempre piaciuto il linguaggio del ciclismo post-bellico: il plotone, la muta degli inseguitori… Era qualcosa di eroico, ed effettivamente lo era eroico, quel ciclismo. I tubolari messi a tracolla, le facce piene di polvere  o di fango, le grandi imprese solitarie, i distacchi di decine di minuti, non come i distacchino piccoli piccoli di oggi. Anche se il Giro ha conservato il suo fascino anche in seguito. A me ad esempio piaceva sentire alla TV gli ordini di arrivi scanditi con piglio notarile dalla voce di Adriano De Zan, dove immancabilmente a un certo punto compariva Van Vlierberghe. Mai saputo bene chi fosse, però c’era sempre…».

Ho chiesto a Giorgio Conte se anche fuori dal contesto epico-sportivo del ciclismo, di un tempo e contemporaneo, la bicicletta sia stata un oggetto quotidiano, familiare. «Certamente. Nei miei ricordi d’infanzia c’è una bicicletta nera che si era fatta costruire apposta mio fratello Paolo, nera con gli intarsi gialli e le manopole del manubrio in bachelite color ambra. E poi c’era quella bellissima di mia mamma, con una sella Aquila, durissima. Ad Asti c’era un artigiano ciclista, Sarachet, che le biciclette le costruiva, le assemblava assecondando i tuoi desideri…». 

Quando ho domandato a Giorgio Conte se la bicicletta gli abbia mai ispirato qualche canzone mi ha confessato, con sorniona malizia, che ancora oggi in concerto suona un pezzo che s’intitola È arrivato amore e che racconta dello sbocciare di una liaison complice una bicicletta. «Per noi ragazzi del dopoguerra la bicicletta è stata un veicolo importante per la nostra formazione “sentimentale”: sulla bicicletta ci caricavi la ragazza. L’amica si appollaiava sulla canna e c’erano dei contatti particolari, che non avevano bisogno di parole. Insomma, senza parlare, uno portando in bicicletta una ragazza un ragazzo riusciva a dire quello che avrebbe voluto fare con lei…».

IL RISO ROSA DI ENRICO CRIPPA
Ad Alba invece abbiamo incontrato uno chef stellato che con la bicicletta ha un rapporto speciale. È Enrico Crippa, tre stelle Michelin del ristorante Piazza Duomo. Per Enrico la bicicletta è un incontro quotidiano, una parentesi rigenerante nella scansione quotidiana del lavoro in cucina. Ogni pomeriggio Enrico monta sulla sua bici da corsa e fa chilometri e chilometri, a seconda del tempo a disposizione, prendendo le strade solitarie e impegnative dall’Alta Langa. È un bisogno fisiologico e mentale, dice, per isolarsi, staccare la spina dall’impegno gestionale e creativo del ristorante che in questi quindici anni di storia gli ha dato molte soddisfazioni ma che richiede anche un intenso investimento intellettivo ed emotivo. La bicicletta è il suo yoga, un modo quotidiano per ricaricare le energie, facendolo all’aria aperta e in un territorio che non è il suo di origine, ma che ormai gli è entrato nel sangue. 

Gli ho chiesto se ci sono delle similitudini tra il suo lavoro in cucina e il mestiere del ciclista: «Innanzitutto la fatica, sicuramente. Sono fatiche diverse ma comparabili. Soprattutto creare in cucina è un’esperienza individuale ma che non può prescindere dalla collaborazione di un’intera squadra, la brigata. C’è il capitano che detta le strategie di corsa ma ci sono altre figure fondamentali per il buon successo dell’impresa, i sous-chef che possono essere paragonati ai “luogotenenti”, a cui il chef-capitano si affida in molti momenti della corsa; e poi l’insieme di chi contribuisce, magari dietro le quinte, senza apparire, a far sì che si ottengano i risultati al traguardo». Come tutti i capitani, anche Enrico Crippa sa che essere leader di un gruppo significa saper stimolare, pungolare, essere continuamente esigenti per cercare sempre di migliorarsi ed essere pronti alla sfida, ma nello stesso tempo anche saper gratificare chi, magari, un domani, aspira a sua volta a diventare lui stesso un capitano-chef, a capo di una squadra-brigata tutta sua.


Alba - foto Getty Images
Enrico Crippa è un langarolo d’adozione. La sua terra d’origine è la Brianza, dove il ciclismo è di casa e dove ha imparato a innamorarsene fin da ragazzo seguendo le orme e la passione del papà, grande tifoso di Eddy Merckx e poi di Francesco Moser. «Io invece sono cresciuto seguendo ed entusiasmandomi alle imprese di Marco Pantani. In quegli anni lavoravo in Francia ed era per me un enorme motivo di orgoglio vivere i successi al Giro e soprattutto al Tour da tifoso italiano. E orgoglioso di essere italiano lo sono ancora di più in queste settimane di Giro, quando proprio grazie alla corsa rosa il mondo ha l’occasione di conoscere le bellezze del nostro Paese. Il ciclismo come viene oggi comunicato dai grandi media è uno straordinario strumento di conoscenza e valorizzazione del territorio. Io che del territorio, e del mio territorio, ho fatto una ragione del mio mestiere di chef non posso che essere fiero che si racconti, intorno alla corsa, dove nascono le eccellenze, culturali, artistiche, materiali che fanno dell’Italia un paese unico al mondo. Quindi per me l’occasione di tornare a parlare dello straordinario patrimonio enogastromonico che contraddistingue Alba e la Langa e il Roero, nell’occasione del passaggio del Giro è un enorme soddisfazione, oltre che un orgoglioso riconoscimento del lavoro fatto in questi anni. Qui, tra due prodotti vessillo come il Barolo e il tartufo, in mezzo trovi nel raggio di pochi chilometri quadrati un mondo infinito e variegato di tipicità. E dietro a questi prodotti ci sono sempre delle storie umane da raccontare e spesso da portare ad esempio di determinazione e passione per la propria terra».

Enrico ha inventato qualche anno fa un piatto che è una sorta di omaggio al Giro d’Italia e al suo colore simbolo, il rosa. «Il riso rosa è un piatto che inseriamo in menu a Piazza Duomo a partire dalla fine di maggio, quando possiamo disporre di due ingredienti fondamentali per la sua realizzazione. È un piatto inventato insieme a Francesco Bellocchio, vignaiolo e nipote di Fausto Coppi, titolare dell’azienda Vigne Marina Coppi, sui Colli tortonesi. Si tratta di un risotto mantecato con un burro aromatizzato ai petali di rose e di cosmos, dalla fragranza gentile che ricorda l’acqua di rose che un tempo usavano come profumo le nostre nonne; e poi arricchito da gamberi di Sanremo dalla spiccata tonalità rosa e da una spolverata di pepe rosa».


Enrico Crippa e Bruno Ceretto - da Instagram @piazzaduomoalba

LE VIGNE DI BRUNO CERETTO
Nel nostro viaggio alla ricerca di voci che aspettano il Giro, sempre ad Alba, abbiamo incontrato Bruno Ceretto, dell’omonima e universalmente celebrata azienda vitivinicola. Classe 1937, il cavalier Bruno è un vulcanico signore che ha consolidato la fortuna dell’azienda fondata dal padre Riccardo, uno di quelle figure che ha innescato il cambiamento di una regione povera e dura, come le Langhe, in un distretto di eccellenze enogastronomiche che tutto il mondo ammira e un po’ ci invidia.

Parlare quindi con Bruno Ceretto dell’importanza della cornice culturale che accompagna lo svolgimento del Giro d’Italia è come andare a nozze: «Lo sport è un eccezionale veicolo pubblicitario. Ancora di più una corsa come il Giro che i territori li attraversa. Finalmente da qualche anno le Langhe sono diventate un appuntamento ricorrente nel percorso del Giro. Ma io personalmente vorrei che ogni anno si potesse svolgere la cronometro Barbaresco-Barolo sulle strade che sono l’emblema della nostra terra. So che fare accordi con Urbano Cairo è molto difficile, perché da bravo imprenditore parte sempre in vantaggio, ma credo che ritualizzare come appuntamento fisso del Giro la cronometro tra i nostri vigneti bandiera sarebbe un successo strepitoso, per le Langhe e anche per il Giro d’Italia». Parla l’imprenditore, ovviamente, che conosce l’importanza di mostrare comunicare le proprie eccellenze, ma parla anche l’appassionato di sport, e di ciclismo. Una passione che ha radici lontane: «Io ero un ragazzo quando mio padre mi portò nel 1949 all’arrivo a Pinerolo, e non me lo potrò mai dimenticare».


Vigneti nelle Langhe - foto Getty Images

Per Bruno Ceretto il mestiere e la cultura del vino ha più di un punto di contatto con il mondo della bicicletta: «Lavorare una vigna e pedalare è fatica. Noi abbiamo 180 ettari di vigne ma non abbiamo mai abbandonato la zappa, e l’acqua la diamo ancora con la pompa come si faceva una volta. Perché sappiamo che la qualità si fa solo a prezzo di sudore e sacrifici. E nel ciclismo quali sono le tappe più seguite? Sono le tappe di montagna, dove vedi in faccia la fatica di chi affronta la salita. E la fatica del primo è uguale a quela dell’ultimo. Io ho amato Pantani e la sua fatica. Ho una casa vicino a Castelmagno e ogni anno vado sempre a salutarlo al monumento che sta sul colle di Fauniera. Il mio eroe rimane però Coppi: Coppi è il Barolo. Coppi però l’ho conosciuto poco, purtroppo. Ho conosciuto di più Bartali e ho imparato ad averne un enorme rispetto. Dunque se Coppi è il Barolo, Bartali non può che essere il Barbaresco, e non è una diminuzione, perché entrambi derivano dalle stesse uve, inimitabili e potenti, del Nebbiolo».

Quindi bicicletta, vino, salite e colline. Ma come si fa a fare andare d’accordo tutte e tre le cose? Non tutti siamo Pantani: «Per me siamo prossimi a una grande rivoluzione. La bicicletta a pedalata assistita cambierà il modo di viaggiare, soprattutto dalle nostre parti. Non serve fare autostrade, per avvicinarci al mondo. Basta diffondere questo modo lento e accessibile di godere del paesaggio entrandoci dentro: questo sarà la nuova frontiera del nostro turismo agroalimentare». I Ceretto lo sanno da tempo come dare valore aggiunto al loro patrimonio: la dimostrazione è come hanno saputo “contaminare” storicità e tradizione con innovazione contemporanea. La cappella della Morra ristrutturata coi colori psichedelici da Sol Lewitt e David Tremlett ha la portata innovativa e rivoluzionaria delle maglie “à la Mondrian” de La Vie Claire di Bernard Tapie e Bernard Hinault nel ciclismo di metà anni Ottanta.


La cappella di LeWitt e Tremlett a La Morra - foto Getty Images

Quando ho chiesto a Bruno Ceretto dove porterebbe un amico a cui vuole trasmettere lo spirito più autentico delle Langhe, e del suo paesaggio, mi ha detto che lo porterebbe sulla collina di Cannubi, dove nasce il più famoso cru della denominazione Barolo: «È questo il posto del cuore: perché bisogna ritornare a dar retta al cuore, e non soltanto alla convenienza e al profitto».     

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa. 

I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.