Per tutto maggio 2021, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 104 (Torino, 8 maggio - Milano, 30 maggio). A raccontarci i luoghi del Giro d'Italia 2021 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui i recenti Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.

Oggi si corre la tappa più meridionale di questo Giro d’Italia, la Foggia-Guardia Sanframondi. Come già altre volte, il percorso entra ed esce da paesaggi storici e geografici diversi. Dalla Capitanata, la parte più settentrionale della Puglia, si passa per la valle del Fortore nel Molise, a Gambatesa. Giunti nel capoluogo, Campobasso, il percorso piega bruscamente verso sud, puntando verso i monti del Matese, e dopo Vinchiaturo e Guardiaregia supera il valico della Bocca di Selva. Aldilà del crinale, si apre un nuovo scenario di paesaggi e di storie, il Sannio. Abbiamo cambiato regione e provincia: siamo in Campania e nel Beneventano. 

Non è una geografia facile, proprio per la varietà di contesti morfologici che cambiano a ogni svolto di valle e di crinale. Ci vuole una guida, per capirne di più. Ho scelto allora di farmi accompagnare per un tratto di itinerario, quello dell’attraversamento dei monti del Matese, da Natalino Russo, fotoreporter, scrittore di guide e libri di viaggi (alcuni dei quali anche per il Touring Club Italiano) e anche speleologo. «Sono nato a Caiazzo, all’estremità orientale della provincia di Caserta. Fin da bambino i miei genitori mi portavano in montagna, nel Matese. È qui che ho conosciuto per la prima volta la natura, l’ambiente selvatico dei monti. Per questo sono legato a questa montagna. Poi, a partire dagli anni Novanta, grazie al Gruppo speleologico del Matese che avevo iniziato a frequentare, ho iniziato a conoscerlo anche nella sua parte nascosta, quella sotterranea. Mi sono in quegli anni appassionato anche di fotografia, proprio anche per l’esigenza di documentare le mie prime esperienze di esplorazione sotterranea. E da lì, da quelle due passioni, è nato un lavoro. A cui si è aggiunto l’interesse e la curiosità per i viaggi. Ho girato e giro il mondo per lavoro, per fare servizi fotografici o per scrivere guide, o reportage di viaggio. Ma torno appena posso nel Matese, e ci torno da innamorato».


L'escursione al monte Mutria - foto Natalino Russo

Non tutti sanno perfettamente dove si trova e che cos’è il Matese: «Il Matese è una vertebra dell’Appennino. Un pezzo della lunga spina dorsale montuosa d’Italia. È molto poco conosciuto, è un posto che sta all’ombra delle più grandi e famose montagne dell’ombra dell’Abruzzo, stretto e quasi nascosto tra l’entroterra napoletano e il Molise, sempre che si possa essere nascosti da qualcosa come il Molise, che ironicamente si dice non esista. Il fatto di essere una montagna quasi totalmente sconosciuta è stata  paradossalmente la sua fortuna: l’isolamento geografico, e antropico, ne ha preservato caratteri naturali e culturali ancestrali, altrove andati dispersi. Ma la sua marginalità è stata usata per nascondere altre cose: ad esempio, nella sua parte sud-occidentale, sono stati impiantati generatori eolici in un modo che ne ha dissennatamente deturpato il profilo». 


Il lago del Matese - foto Natalino Russo

Natalino Russo cammina la montagna in superficie ma soprattutto nelle sue viscere. Quali sono le peculiarità di un’esperienza che porta non in cima, ma nella pancia delle montagne? «La profondità speleologica più che una profondità altimetrica è una profondità spaziale. Si tratta di inoltrarsi nella tridimensionalità della montagna. Nel Matese sono conosciuti e sono esplorati, o meglio sono ancora in via di esplorazione due grandi abissi intorno ai mille metri. Considerando che l’ingresso a questi abissi si trova a circa 1300 metri sul livello del mare, significa che si scende fino ai 300, che è una quota molto inferiore alle sorgenti idrografiche molisane, e questo aspetto, quasi misterioso, non è ancora stato bene spiegato dagli studiosi, non si conoscono bene quali siano le vie d’acqua che scorrono dentro la montagna». Quale è il rapporto di uno speleologo con l’acqua? «Le grotte carsiche si formano proprio per l’azione dell’acqua. L’acqua è una presenza. Soprattutto nel Matese. La fratellanza tra speleologo e l’acqua è molto stretta. Beviamo alle fonti, come i ciclisti di un tempo di abbeveravano alle fontane. Portiamo con noi delle borracce che riempiamo con l’acqua delle sorgenti che troviamo dentro le montagne». 

Se dovessi sintetizzare in poche parole mi diresti quale è la fascinazione che porta un uomo a scendere sottoterra per scoprire vie e luoghi che non si vedono? «Il bello di esplorare le grotte è il fatto che ci si trova di fronte a una dimensione totalmente sconosciuta. Faccio un esempio. Spesso la speleologia è definita alpinismo all’ingiù, ma a pensarci bene l’alpinista sa quasi sempre già dove è diretto, quale è la sua meta. La cima di una montagna, anche se magari non ancora conquistata, è stata fotografata dai satelliti e rappresentata in cartografia. Lo speleologo va verso l’ignoto e la sua frontiera esplorativa è un fondo che viene spostato più in là, ogni volta che viene raggiunto, fotografato, cartografato... Questo ha un grande fascino. Dentro le montagne noi percorriamo luoghi mai raggiunti prima, diamo loro i nomi per la prima volta. Aggiungiamo pezzi di mondo alla geografia conosciuta».


L'ingresso all'abisso Cul di bove - foto Natalino Russo

Insomma, gli speleologi coltivano le loro Macondo sotterranee anche per l’ineffabile piacere di dare un nome a posti che ancora non lo hanno. «Be’, è abbastanza vero. Anche nelle montagne del Matese questo è ancora possibile. Come dicevo ci sono i due grandi abissi in gran parte ancora da esplorare. Si trovano proprio tra Bocca della Selva, dove transiterà il Giro, e Campitello Matese. L’abisso di Pozzo della neve, profondo 1050 metri, e l’abisso Cul di bove, profondo 906 metri. Sono grotte eccezionalmente belle, anche se difficili da percorrere. L’esplorazione richiede giorni e giorni di permanenza sotterranea. Ma si può arrivare agli accessi e affacciarsi agli ingressi di questi “mondi inferi” dopo una bella passeggiata, a piedi o in mountain bike, seguendo la sterrata che parte dalla Sella del Perrone. Soprattutto l’ingresso del Pozzo della neve è spettacolare. È un’enorme voragine che si apre nella faggeta, un posto che sembra trasportarvi nel bel mezzo di una saga nordica, tra la foschia, i muschi, la presenza di numerosi rapaci che vivono dentro la grotta».


Cusano Mutri - foto Natalino Russo


Il lago del Matese - foto Natalino Russo

A proposito di Giro, c’è qualcosa che ti lega alla corsa? «Il Giro per me sono i ricordi di quando lo guardavo da ragazzo in TV e restavo incantato davanti alle riprese aeree, mi regalavano il fascino del paesaggio attraversato dallo sciame colorato dei ciclisti. Ho imparato ad apprezzare la bellezza tridimensionale del paesaggio guardando il Giro in TV. Se si parla più in generale di bicicletta, ho un rapporto molto stretto e concreto col mezzo. Che ha anche a che fare col mio lavoro. Quasi trent’anni fa ho fatto un viaggio sull’isola di Creta in bicicletta, e quello fu il mio primo reportage che venne pubblicato su una rivista e sancì l’inizio della mia decisione di trasformare quella mia passione di fotografo e viaggiatore in un lavoro. Ho girato in Italia e in Europa, sono andato a Santiago di Compostela in bicicletta. Oltre al normale mezzo di locomozione in città, che sarà per forza il futuro della mobilità urbana».

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa. 

I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.