Per tutto maggio 2021, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 104 (Torino, 8 maggio - Milano, 30 maggio). A raccontarci i luoghi del Giro d'Italia 2021 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui i recenti Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.
Penultima puntata del romanzo rosa del Giro. Si riparte da Verbania, sponda occidentale del lago Maggiore. Lo si risale sconfinando in Svizzera, entrando in Canton Ticino. Dopo due passi alpini, il San Bernardino e lo Spluga, si rientra in territorio italiano in alta val Chiavenna, a Madesimo, e si affronta l’ultima salita di giornata, l’Alpe Motta, che è anche l’ultima salita di questo Giro. Chissà se oggi pomeriggio, là in cima, si potrà dire il nome del vincitore di questa centoquattresima edizione della corsa. O se, come l’anno scorso, si dovranno attendere gli ultimi metri e aspettare che tutto avvenga domani, a Milano, in piazza Duomo, all’ombra della Madonnina.
Per chi va in caccia di storie come me, questo angolo di lago è una riserva speciale. Ho dormito stanotte a Stresa, dirimpetto alle Isole Borromee, coi suoi monumentali Grand Hotel. Al Grand Hotel des Iles Borromées ci passò Ernest Hemingway, prima nella trasfigurazione del tenente Frederic Henry, protagonista di Addio alle armi, con il suo amore, la crocerossina Catherine Barkley: al bar del Grand Hotel Ernest-Frederic, seduto su un alto sgabello, mangiò mandorle salate e patatine e constatò che «il Martini era fresco e pulito». Ci sarebbe tornato anni dopo, nell’ottobre del 1948, come cliente, firmandosi proprio così sul Libro d’oro del Grand Hotel: “An old client”. Erano gli anni in cui a Stresa si ospitava il concorso di bellezza di Miss Italia. Nella ritrovata mondanità da rotocalco dei primi anni del dopoguerra divennero celebrità popolari Lucia Bosé e Silvana Pampanini, Fulvia Franco e Gina Lollobrigida. 
Non credo partecipasse ai concorsi di bellezza, ma non ho dubbi che esercitasse anche lei un fascino irresistibile la Giuditta che viene evocata in un racconto di Piero Chiara, narratore dirimpettaio dell’altra sponda del lago. Amedeo Brovelli, «un ex commerciante ritirato dagli affari con poca rendita, nelle giornate di tramontana stava fermo per ore intere sul molo, coi capelli grigi arruffati dal vento che lo prendeva di spalle...». Il Brovelli era un radar che sentiva gli odori. Quella singolare dote gli consentiva di intercettare anche il minimo effluvio o sentore a distanza di chilometri e chilometri, anche se proveniva dall’altra sponda. Cercò di iniziare a questo suo talento un suo giovane amico. Gli insegnava a riconoscere l’afrore delle mucche al pascolo, l’aroma delle stalle e delle loro benefiche deiezioni, oppure il pane fresco appena sfornato dal panettiere di Canobbio. «Socchiudeva gli occhi estasiato e mormorava: “Le vacche, i boasc, i boasc”. Riapriva gli occhi e dopo un po’: “Il pane, il pane, a Cannobio! Il pane fresco. Non lo senti?”. Cannobio era sull’altra sponda del lago a otto chilometri. Capii di colpo che il Brovelli sentiva l’odore del pane, nel vento. Del pane che usciva in quel momento da un forno a Cannobio; e subito mi parve di sentire anch’io quell’odore. “Lo sento”, dissi, “lo sento. Micchette, micchette di semola!”».
Solo dopo molto esercizio anche il giovane apprendista ottenne i suoi primi incoraggianti risultati: «D’un tratto, e non poteva venire che da Brissago sulla sponda svizzera, sentimmo insieme l’odore del tabacco che usciva dalla fabbrica dei sigari. Gridai per primo: “I toscani! I toscani di Brissago!”. E fu la prova che prima non avevo ammesso di sentire il pane e le capre solo per compiacerlo. “Il tabacco”, disse, “si sente raramente. Ma oggi arriva che è un piacere. Toscanelli, toscanelli di Brissago!”».
Stresa, il Grand Hotel des Iles Borromees / foto Getty Images
Un giorno però il Brovelli chiese di non essere disturbato: «Rimase un po’ assorto poi, spalancando gli occhi, cominciò a tremare leggermente come se il vento gli penetrasse sotto i panni. “È qui”, disse in un soffio; e chiusi gli occhi, si appoggiò al molo infiacchendosi tutto, quasi fosse sul punto di venir meno. Cercai di cogliere il nuovo odore. Un odore c’era, ma non riuscivo a distinguerlo. Guardavo il Brovelli; e lui mi faceva segno di no con la mano, che non poteva dirmi di che odore si trattasse. Poi, più energicamente, sempre con la mano mi fece segno di allontanarmi.
Gli passai davanti in punta di piedi e sentii che parlava sottovoce. Distinsi solo qualche mezza parola: “Ti sento… Ah, che roba! Giuditta… Giuditta…”. Strizzava gli occhi ed era tutto concentrato nel naso.
Dopo qualche minuto mi raggiunse sotto le piante e prendendomi per un braccio mi disse severamente: “Tu non puoi aver sentito. Sei ancora un ragazzo. Comunque, silenzio! Hai capito? Silenzio! E silenzio anche sugli altri odori. È un segreto. Se la voce si sparge, non sentiremo più niente. Di odore ce n’è poco: per un naso o due. Capisci?”.
Verbania / foto Getty Images
Mi sono fatto l’idea che il lago, e forse ancor più lo scorcio di questo lago, sia una gran macchina di costruzione di storie. Da una sponda Piero Chiara, appunto; ma anche Vittorio SereniDario Fo e, se vogliamo, nelle sue stralunate invenzioni, Renato Pozzetto da Laveno. Dall’altra, allargando un poco il compasso, Gianni Rodari sul lago d’Orta, e Marco Baliani, nato a Verbania nel 1950.
Ho provato a confrontarmi su questo argomento proprio con lui, attore, autore e regista di teatro, con almeno trent’anni di fortunata e apprezzata carriera. Nel 1989 rimasi folgorato dalla sua interpretazione di Kohlhaas, il monologo tratto da una novella di Heinrich von Kleist, forse una delle pietre miliari del teatro di narrazione italiana. Baliani da allora ha attraversato le scene teatrali sperimentando le più diverse scelte drammaturgiche, scrivendo testi originali e di grande impatto civile, oltre che teatrale, o reinterpretando con un incremento espressivo mai scontato numerosi classici, da Boccaccio ad Ariosto a Pinocchio. Ma il suo istinto di raccontatore di storie io l’ho scoperto vedendolo a cavalcioni di una cassetta che disegna una storia, e un mondo – quello del commerciante di cavalli brandeburghese Michael Kohlhaas vittima di un’ingiustizia – solo con le parole.
Marco Baliani
Da Marco Baliani mi sono fatto raccontare che cosa rappresenta per lui questo posto: «Questo è il posto della famiglia di mia madre. Ci sono nato ma i miei ricordi sono legati soprattutto alle lunghe vacanze estive che passavo da bambino, con mio fratello e mia cugina a casa di mia nonna. Per la precisione il mio paese è Suna, uno dei borghi, quello più piccolo e più contadino, che compongono dal 1939 Verbania. Gli altri, Intra e Pallanza, erano già cittadine ricche e ben abitate. Io passavo le mie lunghissime giornate estive, dalla mattina alla sera, in totale libertà. Vivevo praticamente sul lago. Era il mio orizzonte da esplorare. Gli scivoli dell’imbarcadero di Suna erano il banco di prova del nostro diventare grandi: un luogo liminare, tra terra e acqua, molto scivoloso e quindi un po’ pericoloso. A me piaceva molto pescare ed ero diventato anche molto bravo: da riva pescavo lucci, persici, cavedani, luccioperca, scardole. Mi ero fatto una reputazione anche presso i pescatori del posto, che ogni tanto mi portavano con loro in barca per la pesca con le reti al traino. In quegli anni, tra la fine degli anni Cinquanta e la metà del decennio successivo, il lago Maggiore era pescosissimoPoi la presenza di grandi industrie sul lago cambiò tutto. Nel giro di pochi anni l’inquinamento ha tolto ossigeno alle acque e i pesci sono scomparsi. Ricordo che anche solo a riva se ne vedevano a centinaia. Ora le cose sono un po’ migliorate, ma quel lago pescoso non esiste più. Ma nel frattempo anche a me, che crescevo, era passata la smania del pescare e incominciavo a dedicarmi ad altre passioni, le femmine, il basket… Era arrivata l’età degli ormoni, insomma».
Passo Spluga / foto Getty Images
C’è però una passione che nasce proprio da queste parti e che segna la storia di uomo e di attore di Marco Baliani. «Mia nonna materna, nonna Edi, era una grande raccontatrice di storie orali. Aveva un modo di raccontare molto fisico. Usava anche una specie di grammelot, come lo avrebbe chiamato Dario Fo, che è nato giustappunto sull’altra sponda. Ma lei non lo sapeva: le sue storie erano un miscuglio di dialetti e di facce. Qui nonostante siamo in Piemonte si parla un dialetto lombardo, molto rustico, montanaro, con tonalità un po’ gutturali. Nonna Edi era bravissima. Le sue storie erano tutte ambientate sul lago. Questo lo scoperto solo dopo, ma i veri narratori fanno così: usano tutto quello che hanno intorno per costruire le loro storie. La nonna, magari senza saperlo, attingeva al repertorio della tradizione popolare – ad esempio le storie di Giovannin senza paura, che ritrovi più o meno uguali in tutte le regioni d’Italia, dalla Toscana alla Puglia -. Ma lei ci metteva dentro il suo mondo. Cominciava a raccontare in cucina, al tramonto, quando scendeva il buio. Ed erano storie che facevano una gran paura, per noi bambini erano terrificanti, altro che Stephen King. Ma quando descriveva la cucina del castello degli orrori, in realtà descriveva la nostra cucina, dove stavamo noi in quel momento. E nella storia ci finivano sempre personaggi che ci erano familiari, e forse era anche questo che ci faceva ancor più paura: la vecchina vicina di casa, il fornaio li trasformava e li faceva diventare personaggi da fiaba. Era quel miscuglio di realtà e fantasia che ci spiazzava molto. Questo amore per le storie da raccontare la nonna l’ha trasmessa a mia madre, che faceva la maestra, ed era più che altro una grande lettrice. Ci leggeva tantissime fiabe e favole.  Credo che dai 6 ai 9 anni io ho immagazzinato, grazie a mia nonna e a mia mamma, tutto il mio immaginario fiabesco che ancora oggi mi aiuta molto».
Ho chiesto a Baliani se quindi questo pezzo di lago è un posto particolare in cui far nascere storie: «Non lo so, ma so che in effetti il lago ha una caratteristica particolare. A me, ad esempio, piace moltissimo il mare. Vivo parecchio tempo in Puglia e il mare è il luogo del mito, dell’epopea. Il mare si fa attraversare, è qualcosa di aperto, anche nella sua profondità che spesso si vede tutta fino al fondo. Il lago è diverso. Secondo me il lago è il mistero, l’acqua ferma, immobile, che nasconde qualcosa che non riesci a vedere, le sue parti più paludose, stagnanti. I gorghi. Il lago è un contenitore di mistero e di malinconiaForse da qui nascono le sue storie. Questa parte di Verbano è poi una terra di confine, tra l’acqua e la montagna. Proprio qui ho ambientato il mio ultimo romanzo, che esce tra qualche giorno. S’intitola La pietra oscura. Ho cominciato a scrivere questa storia trent’anni fa, dopo una gita fatta con mio fratello al Alpe Devero. Erano solo appunti. Per trent’anni sono rimasti lì. Poi grazie al lockdown ci ho rimesso mano ed è diventata una storia, un romanzo per ragazzi. Una mescolanza di storie di lago e di montagnamomenti di misteroche attingono alla fisica quantisticagli universi possibili, i buchi neri. Il lago in questa storia è stato per me una potente macchina narrativa.
Madesimo / foto Getty Images
Marco Baliani ha qualche memoria intorno al Giro: «I miei ricordi ciclistici sono legati a mio padre. Passavamo i pomeriggi a guardare il Giro alla TV. Mio padre conosceva tutti i nomi dei ciclisti. Del Giro mi ha sempre affascinato la fatica. Uno sport dove la fatica la si vede tutta, a differenza di altri sport che sanno mascherarla bene. Nel ciclismo vedi quello che butta l’anima. Un giorno con mio padre incontrammo Felice Gimondi che pedalava, credo in allenamento, sul lungolago. Si fermò a un bar per una pausa e mio padre lo riconobbe. Lo avvicinammo e io che ero un ragazzino vidi questo contadinone, con delle mani enormi, sudatissimo. Faceva un gran caldo. Mi sembrava sopraffatto dalla fatica e io non capivo come avesse quella disciplina per rimettersi in sella e ricominciare a pedalare, per di più per un allenamento. E rimettersi a fare ancora chilometri e chilometri».
Ma solo in un caso la bicicletta è entrata nell’immaginario narrativo di Baliani: «Io vivo a Parma e la bicicletta è un mezzo familiare, qui si spostano tutti in bici. Però solo una volta ho scritto un racconto orale sulla bicicletta. È quello di un ragazzino che scappa in bicicletta per sfuggire da una strega. Ma inforca una bicicletta di un bambino più piccolo e mentre pedala gli arrivano le ginocchia in bocca. E allora ho provato a raccontare la fatica di non avere la bici giusta, e la fatica di pedalare e avere le ginocchia in bocca. Ma la bicicletta per me è un mezzo con cui scappare da qualcosae per il quale ci si affida unicamente alle gambe, alla forza, alla resistenza alla fatica».
  
 

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, storico partner di mobilità dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi un'auto ibrida per seguire le tappe della Corsa Rosa. 

I volumi Touring sul Giro d'Italia scritti da Gino Cervi: Il Giro dei Giri e Ho fatto un Giro.