"Nell'Erzegovina trovi le cose vere". Dice così Luca Biddau. Italiano, di mestiere fa il cooperante e di quest'affermazione è assolutamente convinto. E come lui ne sono convinti in tanti nelle montagne intorno a Mostar. Una convinzione profonda e ingenua, basata sull'esperienza.

Il cibo diventa cultura quanto entra in rapporto con uno spazio, diceva Vasquez Montalban. E qui in Erzegovina il rapporto è simbiotico e obbligato. "La globalizzazione alimentare è arrivata relativamente da poco. Siamo cresciuti mangiando quello che producevano queste terre e mangiandolo nel tempo giusto in cui veniva prodotto", racconta Maia Huseic. Una tradizione normale in ogni parte del mondo prima che il cibo diventasse industria e la stagionalità un concetto desueto. Ma da questi parti, vuoi per colpa - o forse meglio dire merito - del socialismo umano del maresciallo Tito, vuoi perché negli anni Novanta la guerra ha messo sottosopra tutto quel che poteva, pare che quella tradizione si sia ancora mantenuta. Così basta far parlare qualche ristoratore invitandolo al discorso con una immancabile rakja di pere (quella di prugne, la slivovica compare più verso nord, nelle terre abitate dai serbi) che ne si sentono parole che uno si aspetterebbe all'università del gusto di Slow Food.

E invece vengono da ristoratori di buonsenso e profonde radici, come il gestore del ristorante Tre vedove, un posto in cui ci si imbatte giusto se si percorre la strada che dalla vallata della Neretva sale verso il grande pianoro in cui si trova Medjugorie. Qui cucina carne alla brace o alla griglia da quando la guerra, la Seconda guerra mondiale, era appena finita e due giovani donne si trovarono vedove e con la necessità di sfamare tre figli a testa. Il modo migliore che trovarono fu aprire una locanda. "In Bosnia siamo ancora a un livello preindustriale per molte cose che riguardano l'alimentazione. Qualcosa sta cambiando, certo. Ma non avrebbe alcun senso se ci mettessimo a copiare quello che fanno in Occidente", dice. "La nostra ricchezza sta nelle campagne e nei nostri contadini che producono il cibo dell'Erzegovina come si faceva una volta. Perderli per passare ad altri prodotti non avrebbe senso alcuno. Lo Stato dovrebbe pensare a tutelare queste persone, mettendole in condizione di vivere meglio e avere maggiori certezze".

Laddove lo Stato - che pare avere altro cui pensare - non arriva, o non riesce ad arrivare, in qualche modo supplisce Oxfam Italia. Grazie a contributi europei e donors istituzionali italiani, Oxfam questi discorsi li porta avanti da anni. Lo fa cercando di mettere in piedi una rete di produttori sparsi su tutto il territorio che rispettando la tradizione delle diverse produzioni, continui a perpetuare quell'eccellenza spontanea che contraddistingue i contadini di queste terre. Per questo mira a mettere in piedi un circuito turistico che coinvolga produttori, ristoratori e albergatori per offrire ai turisti i sapori dell'Erzegovina facendoli gustare direttamente "a casa" di chi da anni li realizza. "Quando siamo partiti, nel 2006, non si sapeva neanche quali fossero i prodotti tipici di quest'area. Questo tipo di cultura del cibo semplicemente non faceva parte della mentalità" racconta Sorinel Ghetau.

Dopo anni di ricerca e di lavoro ora sono riusciti a individuare prodotti e produttori di eccellenza. Il passo successivo è metterli in rete e farli conoscere ai turisti - ancora non molti - che vanno oltre il pregiudizio e risalgono la Neretva per scoprire le ricchezze della Bosnia e dell'Erzegovina. Nel frattempo hanno realizzato una guida, "Viaggio in Erzegovina. Storie di cibo e contadini", scritta da Andrea Semplici e illustrata dalla fotografie di Mario Boccia. Basta spiluccarla un po', come si fa con un buon prosciutto leggermente affumicato come si usa da queste parti, e vien voglia di partire. Per capire di persona quanto sia vero quel che dice Luca: "Nell'Erzegovina trovi ancora le cose vere".