C'è l'Art Brut, l'arte degli artisti inconsapevoli e istintivi, con le loro opere figlie della solitudine e di un impulso creativo totalmente gratuito: Jean Dubuffet fu il primo a entusiasmarsene, e i lavori da lui raccolti costituiscono oggi il nucleo fondamentale della Collection de l'Art Brut, importante museo di Losanna. Ma c'è anche una certa arte, prodotta da artisti consapevoli, e che tuttavia l'Art Brut può ricordare. Con qualche differenza. Spesso, per esempio, gli artisti dell'Art Brut imitano gli artisti veri senza saperlo. Invece, quando un artista “di mestiere”, diciamo così, prova a risalire alle sorgenti della spontaneità creativa, non può evitare di farlo inseguendo un mito primigenio, un po' fingendo di spogliarsi della propria consapevolezza. E se non vale accomunare i primi ai secondi sottolineando una loro sempre possibile marginalità, psichica o sociale, se non conta il loro frequente iscriversi al partito dei ribelli, quale filo li unisce? Che cosa associa le opere realizzate da carcerati, pazienti psichiatrici, senzatetto o semplici misantropi (tutti comunque - quasi sempre - privi di qualsivoglia formazione artistica) alle visionarie opere di geni acclamati nei musei di tutto il mondo? 

A Reggio Emilia quel fil rouge hanno provato ad annodarlo stringendolo attorno a un aggettivo: inquieto. “L'arte inquieta. L'urgenza della creazione” si chiama infatti la ricca mostra allestita dal 18 novembre 2022 al 12 marzo 2023 nel cinquecentesco Palazzo Magnani (alla riapertura dopo due anni, è sede della meritoria Fondazione Palazzo Magnani, che ha da tempo individuato la propria vocazione culturale nella convinzione che “l’arte debba avere un ruolo fondamentale nel percorso di affiancamento, recupero o trasformazione della salute, del disagio e della fragilità”). Accostando 140 opere di artisti sia famosi sia ignoti, la mostra ruota attorno al tema, perenne e quanto mai attuale, dell'identità, il cui perimetro è variamente tracciato da chi ha nel suo essere “inquieto” la spinta propulsiva e la ragione ultima della propria opera creativa. Notevole e inedito lo spunto di partenza: l'esistenza in loco di una delle più estese collezioni di art brut in Europa, l'Archivio dell'ex Ospedale psichiatrico San Lazzaro, l'ex manicomio dove negli anni ’30-'40 fu ricoverato tre volte anche il pittore Antonio Ligabue.


L'arte inquieta, Palazzo Magnani, Reggio Emilia © Matteo Losurdo-Kublaiklan

ARTISTI INQUIETI DA GIACOMETTI A KLEE
Tale Archivio, ora conservato nel Museo di Storia della Psichiatria di Reggio Emilia, conserva infatti ben 20mila opere (fra disegni, tele e terrecotte) prodotte da fine '800 agli anni Settanta dagli ex ricoverati del San Lazzaro. Si tratta di “una collezione senza collezionista”, come l'ha definita Giorgio Bedoni, psichiatra e docente all'Accademia milanese di Brera, che è uno dei tre curatori della mostra reggiana assieme a Johan Feilacher e Claudio Spadoni. Proprio per valorizzare questo patrimonio sconosciuto è nata l'idea di far dialogare alcune di quelle opere (esposte per la prima volta in pubblico) con altre di affermati artisti “inquieti” degli ultimi cent'anni: nomi come Alberto Giacometti (che a piano terra mette subito i visitatori sull'attenti con l'affilato totem della “Grand Femme debout I”, enigmatico bronzo del 1960 alto 270 centimetri), e poi Emil Nolde, Paul Klee, Max Ernst, Jean Dubuffet, Yves Tanguy, Hans Hartung, Mark Tobey, Graham Vivian Sutherland, Keith Haring, Anselm Kiefer, e ancora gli italiani Antonio Ligabue, Pietro Ghizzardi, Lorenzo Viani, Cesare Zavattini, Maria Lai, Alighiero Boetti, Emilio Isgrò, Carla Accardi.


Alberto Giacometti, Grande Femme debout I (1960) - L'arte inquieta, Palazzo Magnani, Reggio Emilia © Matteo Losurdo-Kublaiklan
 
Percorrendo le sale, divise in tre sezioni tematiche (“Volto metamorfico”, “Serialità, ossessioni, monologhi interiori”, “Cartografie, mappe e mondi visionari”), si è tentati di valutare di volta in volta il grado di “inquietudine” di ognuno dei 57 autori presenti e delle loro opere, magari tenendo presenti le definizioni della Treccani, secondo cui “inquieto” è chi si trova in uno stato di agitazione per turbamento dell’equilibrio fisico o psichico, ma lo è anche chi è travagliato da problemi morali, religiosi, scontenta e insoddisfatta di sé, incapace di trovare pace e serenità; lo è tanto chi è preoccupato, in ansia, per persona o cosa che gli sta a cuore, per l’incertezza e l’attesa degli eventi, quanto chi è risentito, crucciato, irritato verso qualcuno. Distinzioni che, nelle sale di Palazzo Magnani, si fanno ricerca individuale, dove la “diversità” non è mai sinonimo di uniformità, ma implica sempre il procedere in bilico su un esile filo, proprio come il sorprendente “Funambolo” (1923) che Paul Klee fa muovere cautamente su una corda tesa sopra un abisso di linee geometriche.


Funambolo, Paul Klee, 1923 - litografia a colori - 432 x 268 mm - 300 esemplari Kornfeld n. 95 Collezione privata

IL NOSTRO INVITO: LASCIARSI SORPRENDERE
E proprio quello della sorpresa, lasciati da parte i rimandi un po' schematici e incasellanti ad avanguardie, espressionismo, surrealismo, primitivismo, arte naif, financo l'arte aborigena di Australia e Nuova Guinea (di cui sono in mostra alcuni spiazzanti esemplari), può essere un criterio con cui attraversare la mostra, lasciandosi stupire o conquistare da una singola opera evitando di leggerne subito il cartellino. Per così tentare, magari, il gioco di intuire a prima vista se l'opera esposta sia da ascrivere a un artista fatto e finito, o viceversa a un irregolare autodidatta. Per questo non vi segnaleremo qui quale opera eccella in mostra, quale sia “da non perdere”. 


Harold Theodore Gordon - Senza Titolo I,II,III e IV, 2007 - Acrilico e penna a sfera su carta - Collezione privata Casa dell'Art Brut

“L'arte inquieta. L'urgenza della creazione” è una mostra da prendere in toto. Magari tenendo presente il suo titolo in inglese, Restless Art. Che aggiunge una sfumatura diversa, con quel restless che fa pensare alla restless legs syndrome, la sindrome delle gambe senza riposo, la necessità di muovere in continuazione gli arti inferiori, notte e giorno. L'arte inquieta è dunque un'arte sempre in movimento, in continua e mai soddisfatta ricerca. E, alla fine, ci si convince che “inquieta” debba essere tutta la vera arte, non solo quella incasellata in caselle sociali, morali o psichiatriche, oppure in vicende personali o collettive. Forse che Michelangelo, Caravaggio, Van Gogh non erano spiriti inquieti? “Inquietum est cor nostrum, Domine, donec requiescat in te” (inquieto è il nostro cuore, Signore, fino a quando non riposa in te), scriveva sant'Agostino nelle “Confessioni”. E se la bellezza dell'inquietudine, nonché la forza dell'artista inquieto, stanno nel non accontentarsi mai, perché la realtà è limitata, finita, imperfetta, allora c'è sempre spazio e modo per affondarvi il coltello (il pennello, lo scalpello), per andare più a fondo, per inseguire un'impossibile perfezione. Lo diceva Dubuffet stesso: “L'arte non viene a dormire nei letti che le sono stati fatti; scappa appena viene pronunciato il suo nome. Quello che le piace è l'incognito, i suoi momenti migliori sono quando dimentica come si chiama”.


Anselm Kiefer, Ho in mano tutta l'India (1995) - L'arte inquieta, Palazzo Magnani, Reggio Emilia © Matteo Losurdo-Kublaiklan

INFORMAZIONI
“L’ARTE INQUIETA. L’urgenza della creazione. Paesaggi interiori, mappe, volti: 140 opere da Paul Klee ad Anselm Kiefer”. Dal 18 novembre 2022 al 12 marzo 2023 
Palazzo Magnani, C.so G. Garibaldi, 29 - Reggio Emilia  
Mostra a cura di Giorgio Bedoni, Johann Feilacher e Claudio Spadoni 
Orari: mercoledì e giovedì: 10-13 e 15-18; venerdì, sabato, domenica e festivi: 10-19 
Biglietti acquistabili sul sito www.palazzomagnani.it o presso la biglietteria di Palazzo Magnani (prezzo intero 12 euro)


Antonio Ligabue, Autoritratto con torre, 1948, Olio su faesite, 52 x 36 cm, Collezione privata