Che una tregedia possa diventare un’opportunità non è sempre detto. Cinque anni fa, più o meno in questi giorni Katrina spazzava New Orleans. Il 29 agosto l’uragano si abbatteva sul Quartiere francese, increspava le acque del Mississippi e piegava gli alberi di Algiers. Sembrava l’inferno, ma ancora non era niente. Passato l’uragano le dighe che contornano la città cedettero: quello che non era stato sconquassato dai venti veniva sommerso dalle acque. Seguirono giorni di abbandono, la città era stata lasciata a sé stessa.

Si diede la colpa del disastro alle mancanze del governo Bush che tardò a intervenire (vero); si parlò di castigo divino per una città peccaminosa (assurdo); si vide in quell’evento l’occasione per ripulire una città violenta (possibile); si pianse - molto - per quella che si pensava potesse essere la parola fine su una città stupenda e disperata (sbagliato). Katrina per New Orleans, o Nola come la chiamano i locali, è stata una disgrazia, certo. Ma ben presto si è trasformata in una scommessa, in parte vinta.

Qualche mese dopo, sarà stato dicembre, la città iniziò a essere coperta di cartelli come quello nella foto qui sopra. “I am coming home! I will rebuild! I am New Orleans!”. Torno a casa, ricostruirò, perché io sono New Orleans. Visto dall’Europa sembrava uno di quei proclami da comandante in capo che piacciono tanto agli americani. Retorica a basso prezzo, messaggi motivazionali da supermercato. Invece l’America è l’America; e ha funzionato. Da allora un impressionante gruppo di persone, uomini d’affari, organizzazioni governative e non, si sono date da fare lavorando sodo per ricostruire, ristrutturare, reinventare una città come non ce ne sono altre. Persone che hanno avuto la possibilità, e la libertà, di lavorare a una New Orleans che doveva rinascere e l’hanno fatto con tenacia, dedizione e molta fantasia.

Ne sono nate decine di progetti che hanno cercato di cambiare il volto alla città e di risollevarla. Così tre anni fa è stata inaugurata la prima biennale di arte contemporanea, si chiama Prospect New Orleans e ha portato in città decine di artisti da tutta America, molti ne hanno approfittato per fermarsi. Mentre nomi famosi si sono spesi per finanziare progetti e iniziative. Così Brad Pitt si è mosso con la fondazione Make it Right per recuperare e trasformare le case del Lower Ninth Ward; mentre la Music Rising Foundation di The Edge, il chitarrista degli U2, ha donato migliaia di strumenti ai musicisti della città (che sono migliaia e sono una delle anime di Nola) per continuare a comporre e suonare. La Sweet Home New Orleans invece ha ricevuto donazioni da artisti di mezza America per mantenere vive le tradizioni musicali della città e dare una casa a chi l’aveva persa. Azioni mirati con effetti concreti.

E il contributo degli artisti non è stato solo economico. Molti si sono dati da fare per non far calare l’attenzione su quel che era successo. Così Dave Eggers ha scritto un libro, Zeitoun, dedicato alla città. Racconta la storia di Abdulrahman Zeitoun, un americano di origini siriane, benestante e padre di quattro figli, decise di sfidare la tempesta e di restare, per proteggere la propria casa e l’attività lavorativa, ma poche giorni scomparve, fermato perché sospettato di terrorismo per via della sue origini. I proventi del libro (in Italia edito da Mondadori) sono stati destinati alla Fondazione Zeitoun per ricostruire la città.

Certo, non è tutto oro quello che accade a New Orleans. Un anno dopo l’urgano la popolazione della città era diminuta del 52%, oggi il numero degli abitanti è salito a quasi l’80%  del pre-Katrina, ma è cambiata (e molto) la sua composizione sociale. Almeno un quinto degli abitanti (in genere le classe più povere che abitavano nei quartieri più poveri a ridosso delle dighe) sono stati deliberatamente allontanati dalla città con la scusa di trovargli una sistemazione sicura e difficilmente torneranno. In compenso sono arrivati centinaia di nuovi neworleaners con un profilo decisamente diverso: istruiti, giovani, con mezzi e risorse economiche. A loro si sono aggiunti tanti stranieri, anche loro fanno parte della scommessa. Detto questo, interi quartieri sono ancora da ricostruire, decine di imprese hanno chiuso per sempre. Però, assieme a tante cose che non vanno c’è un forte senso di speranza nella gente che continua a rianimare New Orleans.

Quando questa primavera la marea nera che ha invaso il golfo del Messico ha investito la città e azzerato tutte le sue attività marinare si è pensato al colpo finale. Ma forse ha ragione il mensile americano Good, neanche questo fermerà New Orleans. “Perché se gli ultimi anni hanno detto qualcosa, hanno detto che qualunque cosa succeda New Orleans si rialzerà ogni volta, ad ogni colpo”.