È appena uscita la nuova edizione della nuova Guida Verde Touring "Sicilia", arricchita dei percorsi d'autore di Nadia Terranova, scrittrice messinese (1978) che racconta la sua terra dalla parte delle donne, con lirismo e impegno civile. Tra le sue opere di narrativa, i romanzi “Gli anni al contrario” (2015, vincitore di numerosi premi tra cui il Bagutta Opera Prima, il Brancati e l’americano The Bridge Book Award) e “Addio fantasmi” (2018, finalista al Premio Strega), e la raccolta di racconti "Come una storia d’amore" (2020). Ha scritto anche diversi libri per ragazzi, tra cui “Omero è stato qui” (2019, selezionato nella dozzina del Premio Strega Ragazzi) e "Il segreto" (2021, illustrato da Mara Cerri), e il racconto “La frontiera raccontata ai ragazzi che sognano un mondo senza frontiere” (2021), ispirato a un reportage di Alessandro Leogrande.
Nadia Terranova / foto nadiaterranova.net
«Le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle». Così tante che l’isola «soffre di un eccesso di identità». Ne era certo Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano di Comiso, che assieme a Nunzio Zago, professore di letteratura di Catania, raccolse in una antologia contributi d’autore per comporre un ritratto letterario della Sicilia. Tra queste testimonianze non c’era Nadia Terranova, scrittrice messinese. Ma non c’era solo per una ragione anagrafica, il libro è del 1993 e allora Terranova era ragazzina.
Altrimenti alcune sue riflessioni sull’essere siciliani, come certi suggerimenti per vedere da un’altra prospettiva luoghi noti della Sicilia, avrebbero ben trovato posto nelle Cento Sicilie di Bufalino. I testi di Nadia Terranova corredano –assieme ad alcuni di Massimo Onofri –la nuova edizione della Guida Verde Sicilia, e partono da una riflessione che poi è una domanda che ogni scrittore nato sull’isola una volta nella vita si fa: «Come si può essere siciliani?».  
Ragusa, Ibla / foto Getty Images
«Storicamente ci sono stati due modi: non allontanarsi mai dall’isola, o guardarla da lontano. E entrambi hanno i loro limiti» spiega la scrittrice. «Essere nel genius loci significa essere imbevuti di sicilianitudine e di Sicilia e dunque spesso non saper guardare alle asperità che pur ci sono, e che anzi spesso chi non ha mai lasciato l’isola arriva quasi a negare. Mentre essere lontani porta invariabilmente a idealizzare la Sicilia, spesso il proprio spicchio di Sicilia. E allora la cosa migliore è forse fare entrambe le cose e vivere nell’andirivieni. Allontanarsi ma tornare, e forse in questo andirivieni si trova la giusta misura, o quella che ho trovato io, cui mi sono abituata». Anche se certo, vicini o lontani che si sia, non è facile guardare alle proprie origini siciliane senza scadere nel conservatorismo o nei luoghi comuni. 
«Non è facile, ma nel Novecento tanti sono stati bravi a farlo, e di questi di certo Sciascia è stato il più bravo. Perché non bisogna solo difendere o esaltare, come tanti hanno fatto, ma mettere in dubbio il proprio senso di appartenenza, essere in grado di mettere in luce i chiaroscuri che si vivono e sono ben visibili. Solo questo permette di andare oltre i luoghi comuni e costruire qualcosa che vada oltre la folklorizzazione». E allora bisogna imparare a vedere luoghi noti con altri occhi, inseguendo prospettive diverse da quelle che vanno per la maggiore. «Bisogna introdurre nuove visioni di posti noti: una Agrigento senza la valle dei Templi, o una Messina che non sia solo città di passaggio. Perché non esistono luoghi che non meritano di essere visti, ma solo occhi che non sanno vedere». 
Messina / foto Getty Images
Per esempio la sua Messina. «Bisogna iniziare a considerarla nella sua estensione orizzontale, per come è costruita, allungata e distesa sullo Stretto. E imparare a considerarla come dirimpettaia di Reggio Calabria, con cui costituisce un unico territorio in relazione. E non come le cassette della Posta che c’erano sotto casa mia, dove c’era la buca Sicilia e la buca Continente» aggiunge. Ma alla fine, quante Sicilie esistono? «Tante, almeno cento, come scriveva Bufalino. Ma forse sono molte di più e si moltiplicano anche in uno stesso luogo. Perché ogni singolo luogo si può  guardare in maniera molto diversa, anche perché la Sicilia con tutte le dominazioni che ha avuto è un’isola prismatica che, nello scindere e nel riassemblare gli elementi, ha costruito una sua chimica particolare».
Di questa chimica isolana ognuno ha i suoi luoghi preferiti, specie chi ci torna nell’andirivieni, come Terranova. «Quando torno a Messina faccio sempre una lunga passeggiata sul mare. Da casa mia fino alla stazione Marittima, al porto. E da qui verso il centro, e il Duomo. E un’altra lungo la litoranea, per quel che si riesce. Comunque quel che mi piace è camminare, camminare sempre, per riprendersi un pezzo di mare. E poi vado alla zona Falcata, oltre la stazione Marittima, dietro al porto, che se non si è stati lì non si è visto lo Stretto. Quella era la zona dei militari, non ci si potrebbe andare, ma ci vado lo stesso, per riprendermi un pezzo di città». E oltre a Messina? 
«Mi piace molto Comiso e tutta la Sicilia orientale, come Vittoria, Scicli. Perché mi piace il Barocco, e il mare di quella zona: che è proprio africano, visto che siamo più a Sud delle coste africane. E questo si vede, si percepisce dai colori, dalla conformazione delle spiagge, dalla linea dell’orizzonte che è blu, come se fosse disegnata. E poi le agavi sulla spiaggia, quel colore della sabbia, quell’aria…». L’aria di una terra che «dicono gli atlanti è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore».
Donnalucata (Scicli) / foto Getty Images
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In quest'altro articolo trovate uno dei suoi percorsi d'autore, insieme a una presentazione generale della guida.