L'autobiografia, si sa, è un genere letterario: come si fa a dedicarle una mostra d'arte? Si può, si può: basta incrociarla con un altro genere letterario, quello dell'intervista. Miracoli che accadono in quello scrigno di tesori che è la Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca, a Mamiano di Traversetolo presso Parma. Dove sino al 3 luglio - se non ci si fa troppo distrarre dalla munifica collezione di Goya, Van Dick, Rubens, Tiziano, Tiepolo, Lippi, Dürer, Monet, Renoir, Cézanne ecc. ecc. - si può ascoltare, vedere, incontrare Lucio Fontana, l'artista celebre soprattutto per i “Buchi” e i “Tagli”, attraverso una sorta di suo autoritratto. Accade incrociando la voce registrata del maestro dello Spazialismo con una cinquantina di sue opere nonché con le foto che gli scattò un grande fotografo (Ugo Mulas) nel mitico studio milanese di corso Monforte: il risultato è una mostra pensata quasi come un'unica installazione, e il cui titolo è infatti “Lucio Fontana. Autoritratto. Opere 1931-1967”


"Lucio Fontana - Autoritratto" alla Fondazione Magnani-Rocca. Foto Tommaso Crepaldi - Kreativehouse


"Lucio Fontana - Autoritratto" alla Fondazione Magnani-Rocca. Foto Tommaso Crepaldi - Kreativehouse

Filo conduttore dell'avventura creativa dell'artista nato in Argentina nel 1899 è una lunga intervista che nel 1967, un anno prima di morire, egli rilasciò a Carla Lonzi, critica d'arte allieva di Roberto Longhi. La si può ascoltare integralmente all'ingresso della villa, mentre sullo schermo scorrono foto dell'artista e delle sue opere, e risulta fondamentale, quasi essenziale, per comprendere l'uno e le altre. Un documento sonoro fra l'altro spesso anche divertente, per via delle molte considerazioni ironiche e spesso caustiche, determinate dall'orgoglio di essere un precursore spesso copiato, o non riconosciuto come tale, e di ritenere lo Spazialismo più importante della Pop Art. Così, le opere degli artisti di un certo movimento degli anni 50 sono “polenta con uccelli, polenta con stracchino, polenta col latte, sempre polenta, insomma”; Emilio Vedova è sarcasticamente definito “il primo elettricista d'Italia”; Rauschenberg è un “cattivo derivato di Duchamp”;  addirittura, “Pollock è un macaco tale che l'abbiamo inventato noi europei, perché Pollock è un pasticcione che non ha fatto nient'altro che del Post-impressionismo”. Insomma, bei tempi quando gli artisti non se le mandavano a dire...


"Lucio Fontana - Autoritratto" alla Fondazione Magnani-Rocca. Foto Tommaso Crepaldi - Kreativehouse


"Lucio Fontana - Autoritratto" alla Fondazione Magnani-Rocca. Foto Tommaso Crepaldi - Kreativehouse

Netto anche il giudizio negativo di Fontana su chi afferma che “l'arte è fatta per il popolo”. Notevoli poi la convinzione che “l'arte è una scienza” e le numerose citazioni che Fontana fa di Einstein, a testimoniare il forte interesse che l'artista nutriva per le scoperte scientifiche e per l'esplorazione dello spazio. Ne danno la prova tante opere “spaziali” esposte in mostra e anche frasi autoironiche come questa: “La scoperta del cosmo è una dimensione nuova, è l’infinito, allora buco questa tela, che era alla base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita, un’x che, per me, è la base di tutta l’arte contemporanea. Sennò continua a dire che l’è un büs, e ciao”.


"Lucio Fontana - Autoritratto" alla Fondazione Magnani-Rocca. Foto Tommaso Crepaldi - Kreativehouse

Molte delle opere citate nel dialogo fra Fontana e la Lonzi si ritrovano dunque in mostra, inanellando così un percorso antologico esaustivo della sua vis di sperimentatore totale, dalle sculture ancora figurative degli anni Trenta allo sfavillante pannello di rame lacerato “New York 10” (1963), passando ovviamente per tanti “Concetti spaziali” (come Fontana chiamava i “Buchi e i “Tagli”) e per un'affascinante “Trasfigurazione” del 1949 in una lucente terracotta ceramicata. A sottolineare ulteriormente la dimensione autobiografica-autoritrattistica della mostra, l'ultima sala espone opere dalla collezione personale di Fontana: a firmarle erano giovani artisti a lui cari, come Baj, Burri, Castellani, Fabri, Manzoni, Paolini, Scheggi. A dominare il tutto c'è però lo stupefacente ovale tutto squarci, buchi e graffiti titolato “La fine di Dio”, opera centrale nella produzione di Fontana, che infatti su di essa si dilunga parecchio nell'intervista, testimoniando la profondità della sua ricerca religiosa di fronte al brivido dell'infinito e alle sfide della modernità.

               

Lucio Fontana, Concetto spaziale, La fine di Dio, 1963, olio, squarci, buchi, graffiti e lustrini su tela, 178 x 123 cm. Milano, Fondazione Lucio Fontana. © Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2022
 
INFORMAZIONI                                                                                                       
“Lucio Fontana. Autoritratto”
Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano di Traversetolo (Parma).
Fino al 3 luglio 2022. Orario: dal martedì al venerdì 10-18, sabato, domenica e festivi 10-19. Ingresso: € 12 valido anche per le raccolte permanenti. www.magnanirocca.it 
Il catalogo (Silvana Editoriale) è curato, come la mostra, da Walter Guadagnini, Gaspare Luigi Marcone e Stefano Roffi.


"Lucio Fontana - Autoritratto" alla Fondazione Magnani-Rocca. Foto Tommaso Crepaldi - Kreativehouse