Tra i primi titoli di "Geografie", la nuova collana del Touring Club Italiano dedicata alla narrativa di viaggio, c'è anche "Il Pianeta che cambia": un volume sul cambiamento climatico, che mostra, attraverso le analisi di studiosi del clima e le spiegazioni di divulgatori scientifici della materia, come il rapporto tra uomo e natura sia giunto a un punto di svolta (lo si può acquistare sul nostro store digitale e nei Punti Touring). Il revisore scientifico dell'edizione, Gabriele Salari, giornalista ambientale e scrittore, ci introduce al volume facendoci riflettere sul senso di emergenza relativo al problema.
 
 
Le cronache di questi mesi ci hanno mostrato come il Covid19 abbia toccato davvero tutti. Sono stati contagiati i principi Carlo d’Inghilterra e Alberto di Monaco, come gli abitanti dell’Isola di Pasqua e della Birmania. Non importa la classe sociale o la latitudine, nessuno è rimasto immune. Si è subito parlato di “emergenza” e tutti hanno immediatamente capito l’urgenza del problema, per la velocità spaventosa con cui il virus si è diffuso. Saremo capaci, terminata questa battaglia, di rivolgere le stesse energie e lo stesso impegno collettivo per combattere i cambiamenti climatici?
Il senso di comunità e cooperazione con cui abbiamo affrontato l'emergenza potrebbe essere infatti la base per ricostruire il sistema economico e sociale su un nuovo paradigma. I cambiamenti climatici, purtroppo, essendo un fenomeno apparentemente ma solo apparentemente lento, non vengono percepiti nella loro drammaticità. Eppure l’inquinamento atmosferico uccide più dei virus: solo in Italia causa 56 mila morti premature all'anno, 4,5 milioni nel mondo. Da questa base scientifica e dalla consapevolezza, acquisita con la pandemia, di appartenere tutti allo stesso mondo malato, sarà necessario ripartire.
 
Ormai è sempre più accettata dagli scienziati la teoria che non viviamo più nell’Olocene, ma nell’Antropocene, una nuova era geologica segnata dalle profonde trasformazioni arrecate all’ambiente dall’uomo. Se qualcuno studiasse la storia della Terra tra diecimila anni, analizzando l’aria fossile intrappolata nel ghiaccio antartico (ammesso esista ancora!), scoprirebbe che nell’Antropocene la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata vertiginosamente, raggiungendo in pochi decenni valori che il pianeta non conosceva da tre milioni di anni.
 
Pensiamo al dato dell’aumento della temperatura del Pianeta: solo nel 2016 era 0,8 gradi rispetto all’epoca preindustriale; adesso è già 1,1 gradi. Come dire che la febbre del pianeta ci ha messo 270 anni circa ad aumentare di 8 decimi e solo 3 anni ad aumentare di 3 decimi. Forse anche per questo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel 2018 sottolineava che oggi abbiamo l’opportunità, ancora e per poco, di modificare la china pericolosa su cui abbiamo posto il mondo come lo conosciamo. Il rapporto dimostrava che mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C è necessario perché l’aumento della temperatura globale a 2 °C al di sopra dei livelli preindustriali porterebbe a conseguenze devastanti. All’indomani dell’Accordo di Parigi del 2015 sembrava che 2°C fosse ancora un obiettivo ancora accettabile. Ogni mezzo grado, invece, fa la differenza per le persone e la natura: questa è la realtà del riscaldamento globale. Dobbiamo scegliere un’azione climatica più forte e accelerare la transizione verso un’economia a zero carbonio in tutti i settori: quello energetico, dei trasporti e alimentare.
I recenti avvenimenti sono noti. L’urgenza di intervenire che segnalava la scienza non è stata subito colta dalla politica e così una ragazza svedese di 15 anni ha iniziato a “scioperare” per il clima davanti al Parlamento, inizialmente ignorata, poi conosciuta a livello locale e, infine, portata alla ribalta internazionale. Greta Thumberg ha fatto il suo primo intervento alle Nazioni Unite in occasione della Cop 24, la conferenza internazionale sul clima di Katowice, a dicembre 2018. “La nostra casa è in fiamme, ascoltate l’allarme degli scienziati. Bisogna agire ora prima che sia troppo tardi”. Il 2019 è stato l’anno che ha visto migliaia di giovani in tutto il mondo scendere in piazza il venerdì aderendo all’appello di Greta: i “Fridays for Future”. Purtroppo però alla successiva conferenza internazionale, la Cop25 di Madrid, i governi hanno rallentato la loro tabella di marcia. Vero che a Madrid non erano chiamati a nuovi annunci sulle loro ambizioni, in programma invece per la Cop26 di Glasgow (9-20 novembre 2020). L’obiettivo principale era terminare il più possibile le regole di alcuni elementi dell’Accordo di Parigi e rilanciare l’impegno collettivo ad aumentare l’ambizione di riduzione delle emissioni nel 2020. Sul primo punto non ci sono stati grandi progressi mentre sul secondo è stata trovata una intesa di principio che fa sperare.
 
Spetta ora alla Gran Bretagna, che ospita la Cop26, e all’Italia, dove si svolge la conferenza preparatoria, fare il possibile e tentare l’impossibile perché con le politiche attuali siamo in rotta per raggiungere 3 gradi e oltre di aumento globale medio della temperatura entro fine secolo: ciò minerebbe le basi della convivenza umana come la conosciamo oggi. Gli Stati sono chiamati a presentare entro la Cop26 di Glasgow piani che riflettano “la più alta ambizione possibile” in riconoscimento dell’urgenza del problema come indicato dalla comunità scientifica.
La speranza è che l’esperienza della pandemia che stiamo vivendo ci aiuti a considerare con la dovuta attenzione l’emergenza climatica, che non ci chiede di chiuderci in casa ma impone cambiamenti significativi al nostro sistema produttivo.

PER SAPERNE DI PIÙ
Il pianeta che cambia. Il futuro è già qui - Collana Geografie
Lo potete acquistare sul nostro store digitale e nei Punti Touring.