Se ne è andato che era terça-feira a Lisbona, mentre qui da noi era martedì soltanto. E chissà oggi come staranno danzando le zingare del deserto, se saranno accesi quei candelabri in testa, se le balinesi danzano ancora come nei giorni di festa e i dervisci rotanti non si saranno stancati di girare intorno alle loro spine dorsali. Probabilmente radio Tirana ha smesso da un pezzo di trasmettere musica balcanica e i danzatori bulgari non danzano più a piedi nudi sui bracieri ardenti, quel che è certo è che nelle balere della bassa padana le coppie di anziani non apprezzano più gli antichi walzer viennesi. (cit. Voglio vederti danzare)
Sarà un sentimento di tristezza popolare internazionale la notizia della morte di Franco Battiato. Triste perché è vita è come le stagioni dell’amore, viene e va, ed ora è andata. Internazionale perché con le canzoni di Battiato abbiamo oggettivamente viaggiato nel mondo. Abbiamo viaggiato usandolo come colonna sonora negli spostamenti in macchina, tirando fuori la cassettina quando il nastro ero strumento di libertà per chi andando sperava di trovare il suo centro di gravità, che se non sarà mai permanente, almeno cerca di essere temporaneo. Ma abbiamo viaggiato anche nei rimandi dei suoi testi, immaginando quei luoghi che citava di sfuggita, immergendoci come cittadini attoniti nell’esotismo dei suoi versi, in quella tela tessuta tra il misticismo del Medio Oriente e le influenze delle filosofie indiane, gli appelli di Radio Varsavia, la prospettiva Nevski e le biciclette di Shanghai.
Perché è stato un lungo viaggio quello di Battiato: nella musica certo, nella cultura popolare, senza dubbio, ma anche nella geografia. In queste ore di ricordi qualcuno ha detto che è stato “un lungo viaggio salgariano, dove tutto si muove per sentieri immaginari che però partono da radici piantate nel profondo del sottosuolo siciliano”. Un viaggio immaginario, che ti prende per mano e solletica la fantasia come un antico portolano dei navigatori lusitani che volevano scoprire il mondo e facendolo ti porta a Tozeur, per cercare quei treni lenti che attraversano le strade deserte nei villaggi di frontiera.
Ma è stato anche un viaggio vero, quello di Battiato Franco da Ionia, Catania, un viaggio che ha superato le correnti gravitazionali e si è aperto al mondo, andando a suonare con un orchestra a Baghdad ai tempi delle bombe americane, frequentando spesso i caffè parigini e i palchi di mezzo mondo. Ha mappato un mondo con le sue canzoni, Battiato.

Alessio Arnese, laureato in Conservazione dei Beni Culturali, l’ha anche messo su una mappa, il Mappiato, una mappa libera che cataloga come punti geografici una settantina di luoghi toccati dal cantautore siciliano nelle sue canzoni. Che è un buon punto di partenza per pianificare una prossima partenza. E per scoprire che Battiato ha nominato luoghi in tutti e cinque i continenti: dalla Georgia Australe (Shakleton) ad Alessandria d'Egitto (Odore di polvere da sparo), da New York (Clamori) a Pechino (Centro di gravità permanente) fino a Damasco (L'era del cinghiale bianco).

Del resto a chi ha voluto farsi contagiare ha instillato il morbo del vagabondaggio, impastando tradizioni musicali differenti, incrociando lingue vive e morte, arrangiando la musica d’orchestra con il sintetizzatore, sporcando la canzone pop con la filosofia, elevando la riflessione profondo con un ritornello orecchiabile. Suoni che discendono da molto lontano, che stimolano la curiosità, che insegnano che l’unica purezza è bastarda, perché è quella che si genera dall’incontro tra genti, razze, sapori, odori, culture. Quell’incontro che nei secoli ha fatto della Sicilia la Sicilia, e che forse ha permesso a Battiato di vivere la sua vita a un’altra velocità.
Ora lo immaginiamo in una vecchia miniera, come un vecchio bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso che si prepara a viaggi interstellari, intento a capire come sia arrivato a vagare nei campi del Tennessee, sicuro che la vita non finisce, è come il sonno. E anche noi, che siamo solo di passaggio, finché saremo liberi torneremo ancora, e ancora a vagare per i campi del Tennessee, nei sogni attraverseremo il mare e percorreremo ancora, assieme alle sue parole, le vie che portano all’essenza.