“Il mare siamo noi e dal mare dipende la nostra vita, tutta la nostra vita”. Parlare con Franco Borgogno è quasi rassicurante. E sappiamo quanto abbiamo bisogno di essere rassicurati per raccogliere le energie necessarie a nuovi progetti ed azioni virtuose. Al centro della sua vita c’è il mare, da difendere soprattutto dalle plastiche che lo stanno sempre più soffocando.
 
Dopo un passato da cronista, Borgogno ha iniziato un percorso da naturalista e ricercatore, che lo ha portato nel 2016 a partecipare a una spedizione dell’European Research Institute fino al mitico passaggio a Nord Ovest. Il viaggio aveva il fine di approfondire gli studi sulla presenza di microplastiche e nanoplastiche nell’Artico e da quella esperienza è nato il libro "Un mare di Plastica". 
 
Da qualche settimana è invece in libreria “Plastica, la soluzione siamo noi”, un nuovo volume in cui Borgogno, che ora presiede Ocean Literacy Italia, associazione di scienziati divulgatori e appassionati di mare per l'alfabetizzazione all'oceano, racconta storie straordinarie di persone normali, che con la loro creatività hanno mosso intere comunità a tutelare l’ambiente.
 
Foto Franco Borgogno / tutti i diritti riservati
Guardandolo con la tua esperienza di giornalista e ricercatore: come sta il Mediterraneo?
"Il mare ha una sua fisica complessa, che tocca tutta la nostra vita. Quando ci occupiamo di salute del mare ci occupiamo di un insieme di condizioni, dalle più semplici alle più articolate. Difficile fare una sola fotografia perché il mare è un unico organismo con ricadute diverse nelle varie aree del mondo.  
 
Il Mediterraneo ovviamente soffre la condizione di essere un mare semichiuso e circondato da millenni da civiltà popolose e via via sempre più industrializzate. Un indicatore per comprendere lo stato di salute del Mediterraneo è la presenza di plastica galleggiante in superficie.
 
Nel Mediterraneo si trovano concentrazioni più elevate rispetto al resto di mari e oceani. Ovviamente in termini di quantità assolute nel Pacifico del Nord e del Sud si conta più plastica, ma se ci concentriamo sulla densità, nel Mediterrano contiamo qualche chilo (dipende dalle aree considerate) di microplastiche per chilometro quadrato. Negli oceani arriviamo invece a pesarne solo quasi un chilo nelle zone di mare aperto più inquinate. E i dati mondiali sono purtroppo in continuo peggioramento, nonostante ci sia una generale consapevolezza del problema, anche da parte delle istituzioni".
 
Foto Franco Borgogno / tutti i diritti riservati
Davanti a questa onda di plastica e di altri inquinanti, c’è speranza che la situazione migliori?
"La salute del mare è davvero precaria oggi, ma il mare è più forte di quanto noi possiamo immaginare. La sua capacità di resilienza è altissima, anche se lo stiamo minacciando da punti diversi.
 
Il primo è l’aumento delle temperature: il 93% delle emissioni di calore generate da attività si ripercuotono sbilanciando le condizioni biologiche, provocando l’innalzamento delle acque e non solo per lo scioglimento dei ghiacci, ma anche perché l’acqua più calda occupa un volume maggiore di quella fredda.
 
Il secondo è l’acidificazione delle acque. Valori di acidità maggiori nei mari e negli oceani non solo impediscono la formazione di conchiglie e barriere coralline, ma minacciano fortemente la biodiversità, con conseguenze per interi ecosistemi.
 
Ci sono poi minacce più evidenti, come l’eccesso di pesca o l’inquinamento da sversamenti. Tutto questo ci fa dire che il mare e in particolare il nostro mare, il Mediterraneo, è fortemente minacciato.
 
Dobbiamo stare molto attenti, perché la nostra vita dipende completamente dal mare. Uso spesso questa immagine per spiegare il perché. Pensiamo simbolicamente ai colori. Se mischiamo il giallo e il blu cosa appare? Il verde. Lo sappiamo fin da piccoli e dovremmo ricordarcene sempre. Il giallo è il sole e il blu il mare. E il verde è la vita. Anche se purtroppo troppo spesso il verde colora solo il packaging dei prodotti e i discorsi fintamente green”.
 
Foto Getty Images 
 
Spesso siamo di fronte a una dicotomia che mette di fronte ambiente ed economia. Anche in Italia. Come si scioglie questo nodo?
"Non si può sciogliere. La nostra vita è in ogni momento legata al mare. Per tutte le sue funzioni fondamentali. Non c’è lavoro senza benessere e non c’è benessere senza la salute del mare. Dobbiamo prenderci cura del mare per noi stessi e per chi sta peggio di noi. Perché chi è povero viene durissimamente colpito dai cambiamenti climatici e dagli inquinamenti".
 
La pandemia cosa ci sta dicendo?
"La pandemia è la sintesi e il paradigma perfetto di tutto quello che abbiamo premesso. Un rapporto fuorimisura nella gestione dell’ambiente e nell’impatto sul mondo animale ci espone a fenomeni pandemici: basti sapere che il 75% delle nuove malattie infettive sono zoonotiche, ovvero trasmesse all’uomo da animali. In più, in un anno di pandemia si è rilevato che i casi di Covid aumentano in aree con alto inquinamento da particolati. Questi sono sintomi evidenti di un rapporto disequilibrato tra noi e la natura. Dobbiamo riequilibrarlo per beneficiarne tutti, soprattutto i più poveri".
 
Foto Getty Images
Come possiamo uscire da questo angolo?
Le chiavi per non rimanere paralizzati davanti alle dimensioni planetarie del problema sono considerare che quello che stiamo vivendo è già capitato. E pensando al futuro prendere coscienza che il cambiamento inizia quando sappiamo che il più piccolo dei nostri comportamenti virtuosi ha in potenza una forza ispiratrice per gli altri. E se il singolo influenza la sua piccola comunità, una comunità può spingere alle azioni di chi ha responsabilità di governo, a tutti i livelli.
 
Così però forse non basta per capire. Il tuo ultimo libro si intitola “Plastica, la soluzione siamo noi. Storie di donne, uomini e bambini che fanno la cosa giusta”… quali sono le “cose giuste” a cui possiamo ispirarci?
Ho avuto la fortuna di conoscere moltissime storie di persone che hanno mobilitato al cambiamento altre persone intorno a loro. C’è la gallerista tedesca Nicole Loeser che con l’inziativa  “The Universal Sea” sta creando soluzioni partendo dalla creatività di giovanissimi e artisti a contatto con imprenditori. Oppure Chris Jordan che deviando dal suo progetto iniziale di fiction “horror ecologista” ha scosso il mondo con uno straordinario documentario sugli albatros minacciati dalla plastica.
Ma la storia per me esemplare è quella di Melati e Isabel Wijsen, due giovanissime sorelle indonesiane, due adolescenti che ispiratesi a qualche lezione scolastica su Gandhi e Nelson Mandela hanno intrapreso una battaglia contro le borse di plastica utilizzate sulla loro isola, Bali. In poco tempo sono riuscite a creare un’associazione che si chiama “Bye Bye Plastic Bags”, hanno ottenuto che Bali mettesse al bando le borse di plastica e ora continuano il loro lavoro di diffusione della loro associazione in tutto il mondo, ispirando ragazze e ragazzi della loro età a unirsi alla loro causa.  
 
Melati e Isabel ci insegnano la qualità intrinseca dei bambini e dei giovani: se una cosa ci importa, la dobbiamo fare, la dobbiamo fare per noi stessi, seguendo una urgenza intima e personale. Ed è in fondo questa la cosa giusta che possiamo fare. Ascoltarci, agire senza paura del fallimento. Perché fallire fa parte del cambiamento, invece l’inazione e la rinuncia ci privano del senso profondo della vita”.
Melati e Isabel Wijsen
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