Passione Italia. A fronte del forte momento di difficoltà che il Paese sta attraversando e per ricordarci tutti insieme che possiamo essere uniti anche a distanza, il Touring lancia Passione Italia, una campagna per promuovere il territorio italiano e le sue bellezze. Un invito a tutti a “viaggiare da casa”, per scoprire e riscoprire ciò che ha da offrire il nostro Paese, semplicemente dal computer o smartphone. Scoprite tutti i contenuti sulla sezione dedicata del sito e sui nostri canali social. E contribuite alla mappa della bellezza con #passioneitalia #mappadellabellezza.     

A prima vista, per chi ci guarda dal rifugio Torino, potremmo apparire una normale cordata di alpinisti, una delle tante che nelle giornate di bel tempo, quando il Dente del Gigante protende la sua zanna rocciosa contro un cielo blu cobalto, si inoltrano dai 3462 metri di Punta Helbronner verso il biancore accecante della Mer de Glace, nel cuore del massiccio del Monte Bianco. A ben guardarci, tuttavia, si nota qualcosa di strano. Perché uno di noi ha sulle spalle un'ingombrante pala da neve? E, visione ancora più surreale, perché un altro porta con sé un pesante trespolo metallico? Chi ci osserva da lontano faticherà a capire di cosa si tratti. A meno che stia usando un binocolo: in quel caso potrebbe credere, se solo non gli apparisse assurdo il solo pensarlo, che stiamo trascinando sul ghiacciaio una tappatrice a colonna, di quelle usate in cantina per mettere il sughero alle bottiglie di vino.


La cordata enologica nella Vallée Blanche - Foto Roberto Copello

Eppure non si tratta di allucinazioni dovute all'aria rarefatta e alla carenza di ossigeno: è proprio così! Cose strane accadono sulla montagna più alta d'Europa. Per esempio, che una serie di bottiglie sia stata nascosta nella neve a testa in giù. E che ora qualcuno le vada a cercare e a disseppellire, per compiere en plein air, nell'aria frizzante dei 3500 metri, il più indispensabile rito di passaggio cui devono sottoporsi tutte le bollicine metodo classico per diventare adulte e andare liberamente in giro per il mondo: il dégorgement à la volée (chiamarlo in italiano “sboccatura al volo” suona assai meno bene, specie qui dove passa il confine francese), ovvero la rapida eliminazione del sedimento di lieviti esausti concentrati nel collo della bottiglia a seguito del rémuage (e qui azzardare traduzioni è vietato). Bottiglia tenuta girata verso il basso, deciso movimento di polso con il cavatappi, tappo a corona che porta via con sé un fiotto di lieviti, bottiglia da puntare rapidamente verso il cielo, onde evitare di spargere troppe bollicine sul ghiacciaio...


Foto Roberto Copello


Dégorgement nella Vallée Blanche, davanti al Dente del Gigante - Foto Roberto Copello

UN VINO ESTREMO, UNA SCOMMESSA VINTA
In questo caso, protagonista di un'operazione sempre affascinante e da compiere con rapidità e destrezza, sono le bollicine assolutamente locali dello spumante più alto d'Europa: il Blanc du Blanc (non “de” ma proprio “du”, a sottolineare il legame con il Monte Bianco) prodotto dalla Cave Mont Blanc di Morgex e La Salle con le uve Prié Blanc di vitigni coltivati addirittura sino a 1200 metri di quota, sul versante dell'adret, la solatia sinistra orografica della Dora Baltea. Bottiglie alte, altissime, anche perché alcune di loro non vengono affinate nella cantina principale di Morgex, ma portate in quota per la spumantizzazione niente meno che a 2173 metri in alcuni locali all'interno del Pavillon du Mont Fréty, la stazione intermedia dell'ipertecnologica funivia rotante Skyway che dal 2015 fa su e giù con le sue cabine circolari, trasparenti e rotanti dai 1300 metri di Courmayeur ai 3466 di Punta Helbronner. Quella al Pavillon è una vera e propria cantina sperimentale, nata da una collaborazione tra la Cave Mont Blanc e la Società delle Guide di Courmayeur. Altitudine, pressione atmosferica e temperatura contribuiscono a produrre un vino davvero estremo, dalle caratteristiche uniche e dal perlage particolare: la Cuvée des Guides, un extra brut nato dopo almeno 15 mesi di tirage.


Nicola Del Negro, enologo della Cave Mont Blanc, nella cantina sperimentale al Pavillon - Foto Roberto Copello

Insomma, una scommessa che pareva azzardata ma che alla fine è stata vinta. E lo è soprattutto grazie alla capacità di resilienza del Prié Blanc, l'unico vitigno autoctono valdostano a bacca bianca e franco di piede. Luigi Veronelli fu il primo a scrivere del Blanc de Morgex, di cui apprezzava senza esitazioni “il bouquet ampio, diritto, di estrema eleganza, (…), il lieve sentore di mandorla amara e, più lontano, di mora (…), il color verde paglierino, trasparente e gioioso”. Si racconta che una volta, a chi gli domandava quale vino avrebbe salvato da una catastrofe cosmica, il grande critico enogastronomico rispose senza esitazione: il Blanc de Morgex dell'abbé Bougeat. A farglielo conoscere era stato proprio il leggendario parroco vignaiolo Alexandre Bougeat, il curato che salvò la produzione del vino di Morgex, minacciata dall'eccessiva parcellizzazione dei vigneti, convincendo 70 famiglie ad aggregarsi in quella che oggi è la Cave Mont Blanc: più una comunità che una cantina sociale, una famiglia più che una cooperativa, dove ogni nucleo familiare si occupa della sua vigna come di una figlia o un'amante. Si comprende perché, che si producano due quintali o 150, nessuno si limiti a portare le proprie uve alla cantina ma ci tenga a coinvolgersi direttamente, prestando corvée di un'ora di lavoro per ogni quintale d'uva conferita.

Uno spirito che discende proprio da quell'abbé Bougeat (Morgex gli ha dedicato una via) che nel 1969 contagiò con il suo entusiasmo anche Mario Soldati, giunto in paese per l'ultima tappa di quel viaggio alla scoperta dei vini italiani più genuini che avrebbe raccontato poi nell'ormai classico “Vino al Vino”. Lo scrittore trovò il Morgex “uno spumante secco naturale, migliore di qualunque champagne francese che ha bisogno di lunghe e complicatissime manipolazioni”. Quindi, girovagando fra le basse vigne, davanti al Monte Bianco che paragonò al Partenone per l'armonia della sua mole, Soldati notò che i sostegni erano “ritti di pietra grigia, lastre rettangolari e irregolari, simili a rustiche lapidi cimiteriali (…) Su una pietra che è alla testa della prima vigna sono incise rozzamente queste lettere e questa data: BJB 1889”.  

LA FORZA DEL FREDDO, SENZA ESAGERARE
Le “lose” in pietra (“éhaze” in patois), provenienti dalle cave attorno a Morgex e infisse profondamente nel terreno, oggi sopravvivono solo in qualche pergola storica, dove si può vedere la cura con cui venissero modellate in modo da presentare piccolo invito per l'appoggio di una trave. Ma per il resto tutto è come ai tempi dell'abbé Bougeat: terreno sassoso che immagazzina il calore, pergole molto basse, vegetazione che si espande in orizzontale, vitigni franchi di piede, che non hanno mai conosciuto la parola “innesto”. “La pergola”, spiega il giovane viticoltore Luca Blanchet, “è rialzata di lato per agevolare le operazioni, quando d'estate, proprio mentre fa più caldo, devi sdraiartici sotto o procedere in ginocchio per liberare i grappoli, defogliando. Qualcuno si è inventato un carrellino, ma in realtà non ci sono macchine che possono aiutarti: devi fare tutto a mano, questa è davvero viticoltura eroica”.


Vigneti a pergola a Morgex - Foto Roberto Copello

Eroico ed estremo: tale è il Prié Blanc. Che obbliga a qualche sforzo anche Nicola Del Negro, enfant du pays ed enologo della Cave Mont Blanc. Messa a terra, pardon, nella neve, la tappatrice che ha pesato per 45 minuti sulle sue spalle, così racconta il vitigno cui dedica tutte le sue giornate, cercando però di intervenire, come sottolinea lui stesso, solo lo stretto necessario: “Il Prié blanc è ritenuto il padre di tutte le altre varietà autoctone valdostane, di cui la regione è ricca. Si è incrociato con altre varietà e ha prodotto pure uve a bacca rossa. Ma l'unico vero vitigno autoctono è quello bianco di Morgex. Una volta lo si coltivava persino a Pont-Saint-Martin, all'inizio della valle, dove dava uva da tavola: si metteva una pergola davanti a casa, ad agosto era già dolce e lo si poteva mangiare, ma non raggiungeva mai la maturazione polifenolica necessaria per fare vino. Invece quassù si è adattato bene, mostrando di poter arrivare a maturazione avendo ancora la mineralità, la freschezza e l'acidità ideali per ottenere ottimi spumanti, mentre grazie alle escursioni termiche si evita che l'acido malico fermenti in acido lattico. È così che nasce un vino nel quale davvero ritrovi la varietà e il territorio, con tutti i suoi aromi di frutta e quella sua tipica sensazione di mela verde”.


La Cave Mont Blanc - Foto Roberto Copello

E dato che a fare gli eroi ci si prende gusto, accade che alcuni grappoli di Prié Blanc siano lasciati sulla pianta fino a dicembre, per essere vendemmiati di notte, a temperature fra i sei e i dieci gradi sotto zero, con la parte acquosa gelata mentre il saccarosio resta sciolto. All'alba gli acini ghiacciati vengono subito pressati, scartando il ghiaccio, ed è così che dodici mesi dopo ci si potrà concedere la più intensa delle “meditazioni” sorseggiando un bicchiere di “vin de glace” dal colore giallo dorato: è il Chaudelune, un passito alpino ad alta concentrazione zuccherina ma non stucchevole, ideale con formaggi erborinati come il Bleu d'Aoste.

Abbiamo capito, dunque, che al Prié Blanc il freddo piace, anche senza bisogno di salire in cima al Monte Bianco. Al freddo, però, c'è un limite. Se si esagera, persino un vino estremo come il Blanc de Morgex può rischiare di non venire al mondo. Così accadde nell'annus horribilis 2017, quando le peggiori gelate degli ultimi 130 anni ridussero del 98,8% la vendemmia. Le notti del 20 e 21 aprile la temperatura era scesa a 5 sotto zero, e i vitigni erano stati falcidiati. In vendemmia, così, si raccolse non più di un chilo d'uva a ettaro. Con i pochissimi grappoli sopravvissuti si ottennero solo 2400 bottiglie (contro le 130mila abituali), divenute però un simbolo di resistenza enologica. Quel vino, particolarissimo, è stato ironicamente chiamato Landeren, a parodiare il francoprovenzale “L'an de rèn”, ovvero “l'anno del niente”. Sì, il Prié Blanc è davvero un eroe. E gli eroi, si sa, sanno resistere a ogni avversità e non muoiono mai.

INFORMAZIONI
Cave Mont Blanc, www.cavemontblanc.com
Skyway Monte Bianco, www.montebianco.com
Centro Servizi Courmayeur, www.courmayeurmontblanc.it