Quanto è cambiato il Piemonte. Quanto è mutata, nell’immaginario comune, la percezione di una regione che oggi ci appare così variegata nei suoi ambienti naturali e ricca di beni culturali? Per capirlo, basterebbe scovare, in qualche cassetto, le vecchie cartoline delle villeggiature anni ’50 e ’60 che ripropongono più o meno costantemente gli stessi luoghi: la montagna pittoresca della val Vigezzo, le tranquille località lacustri con Stresa e le Isole Borromee in prima linea, magari le risaie o qualche casa walser della Valsesia. Il resto? Fabbriche e lavoro, tanto lavoro. 

Oggi è tutto diverso. Ce lo racconta la nuova edizione della Guida Verde Touring dedicata al Piemonte: molte di quelle fabbriche sono diventate spazi urbani deindustrializzati e riconvertiti in ecomusei, luoghi della memoria, location per eventi - un cambio di segno nell’offerta turistica regionale che ha il fiore all’occhiello nel complesso Olivetti di Ivrea, da pochi anni Patrimonio dell’Umanità Unesco. Anche le tante valli alpine hanno preso altre strade: la Guida Verde pone particolare attenzione a quelle che sposano biodiversità e cultura materiale – casi esemplari, la Val d’Ossola e la valle Maira – sotto l’egida di un turismo sostenibile.

Da Torino alle residenze sabaude sulla collina, da Cuneo a Vercelli e alla pianura del riso, dalle Langhe al Monferrato, natura e cultura si danno continuamente il cambio anche fra le pagine della Guida Verde, grazie agli spunti di un nutrito pool di autori impegnati sul campo. Proviamo a scovarne qualche percorso d'autore, qualche chicca imperdibile che accenda la fantasia, recuperi la memoria e ci spinga a scoprirlo con occhi diversi, il Piemonte. E ci facciamo accompagnare da Gino Cervi alla scoperta di Fra Dolcino, paladino dell'uguaglianza in cielo come in terra, ripercorrendone le avventurose fughe dal Clero tra le montagne della Valsesia.

Dolcino e la montagna dei Ribelli
di Gino Cervi 
«Il monte Rubello ha il nome in testa. Anzi, in vetta. ‘Rubello’ infatti in italiano arcaico è una variante della parola ‘ribelle’. All’inizio del Trecento, le pendici del monte Rubello accolsero fra Dolcino e i suoi seguaci in fuga dal Pian dei Gazzari, il breve pianoro in cima alla Parete Calva, sopra il villaggio di Rassa, in Alta Valsesia. Il vescovo di Vercelli, Raniero degli Avogadro, nel 1306 aveva bandito una crociata contro la setta dolciniana degli Apostoli che predicavano l’obbedienza alle Scritture e la pratica della povertà, e soprattutto l’ugua­glianza degli uomini non solo davanti a Dio, ma anche in questa terra. Seminarono scompiglio nella Chiesa di Roma, come molti dei movimenti pauperistici che ne avevano anticipato le teorie millenaristiche.
Secondo loro, il clero secolare era la causa di tutti i mali del mondo e dicevano alla povera gente che presto una «nuova era» avrebbe ristabilito l’ordine e la pace. Non potevano passarla liscia: il vescovo di Vercelli, col beneplacito del pontefice, Clemente V, radunò un esercito e lo fece marciare contro i dolciniani costringendoli alla fuga. Ridotti agli stenti da un inverno rigido, non erano ormai che qualche centinaia i dolciniani che, scesi dalla Parete Calva, risalirono la valle del Sorba, affluente del Sesia, e s’inoltrarono verso sud per gli alpeggi della Sorbella (m 1963) e della Peccia (m 1368), scendendo poi in Valsessera fino alla Piana del Ponte (m 1062) e da qui riguadagnando quota fino ad arrivare in vetta al monte Rubello (m 1414).
Per un anno si difesero in un’ultima strenua resistenza. Ma la Set­timana Santa del 1307 i pochi dolciniani superstiti capitolarono sotto i colpi dei balestrieri genovesi assoldati dal vescovo Raniero. Dolcino e la compagna Margherita furono tratti prigio­nieri e, dopo pubbliche torture, arsi vivi sulla piazza di Vercelli. Nel 1907, in occasione del 600' anniversario, per iniziativa di alcuni militanti socialisti venne eretto in vetta al Rubello un obelisco di sassi, abbattuto vent’anni dopo, nel 1927, da una spedizione fascista. La memoria di Dolcino come precursore del socialismo venne ripresa da Dario Fo e Franca Rame, che ne fecero un personaggio del loro Mistero buffo (1977) ma ancora prima dall’attività di ricerca e divulgazione fatta da Tavo Burat, fondatore del Centro Studi Dolciniani.
Così lo ricorda Enrico Camanni nel suo Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza e utopia (2016): «Burat non amava Dolcino per motivi teologici, ma perché era un simbolo di ribellione. Gli interessava ogni tipo di eresia contro ogni sorta di autorità, studiava e parlava le lingue delle minoranze, e percorreva le Alpi meno celebrate e più lontane dalle rotte turistiche perché dal suo punto di vista le montagne erano sempre state un rifugio, il luogo più amato dai disobbedienti e dai perseguitati; gente strana e testarda, che in ogni posto e in ogni tempo parlava una lingua incomprensibile al potere».
Oggi il tracciato della fuga di Dolcino e dei suoi compagni dalla Valsesia al monte Rubello è diventato un percorso di trekking. 
Le Guide Verdi del Touring Club Italiano possono essere considerate nuovamente pionieristiche, oltre mezzo secolo dopo la loro fondazione. Partendo dal rifiuto di ingabbiare il mondo in una lingua che lo descriva a priori, hanno aperto a un turismo a tutto campo (dall’enogastronomia stellata al cibo di strada, dal trekking al cicloturismo, dalle sagre di paese al grande cinema, alla musica, al teatro) e soprattutto allo storytelling, chiamando giornalisti e autori della narrativa contemporanea a smarcarsi dalle icone, raccontando storie, territori e città, mescolando geografia e immaginazione, autobiografia e fiction.
 
GUIDA VERDE PIEMONTE
Pagine: 360
Anno edizione: 2020