All’altezza del chilometro 4, quando intorno hai un cielo velato di nuvole cielo e sotto un mare che ribolle, un volontario dell’organizzazione saluta i ciclisti come uno si immagina che ti salutino sempre in Giappone: con estrema, scenica, deferenza. L’uomo si inchina di continuo con aria marziale. Le braccia aderenti al busto, il sorriso contenuto stampato sul volto, l’eterno “Konichiwaaaaaa” per ogni ciclista che passa, con quella “aaa” che si allunga all’infinito.
Sono le dieci e il grosso è già transitato dal Kurushima Bridge. Il grosso sono circa 7mila persone delle 7.500 che prendono parte alla manifestazione. Il che vuol dire che si sarà inchinato almeno 3mila volte dalle sei e mezza di questa mattina, quando tutto è iniziato. Ma nonostante questo sembra contento. Forse perché, vallo a sapere, sa che per i prossimi due anni non dovrà più farlo.
Perché è solo ogni due anni che Shimanami Kaido, l’autostrada con annessa ciclabile che attraversa con una serie di ponti il Seto, il mare interno del Giappone, viene chiusa al traffico e aperta ai ciclisti per una giornata di spettacolari pedalate, la Cycling Shimanami. Spettacolari, è il caso di dirlo, perché si pedala su ponti che sono un prodigio di architettura e ingegneria: uniscono sette isole per circa 70 chilometri di percorso che vanno da Imabari, nella prefettura di Ehime sull’isola di Shikoku, fino ad Onomichi, nella prefettura di Hiroshima, sull’isola di Honshu, la principale dell’arcipelago giapponese.
Settanta chilometri che si srotolano piacevoli in un susseguirsi di arditi ponti, tratti sulla terraferma, rampe elicoidali, salite e discese in cui ti sembra di pedalare in cielo, come E.T. sul finale del film. E perfino un piccolo traghetto che permette di percorrere in sicurezza l’ultimo tratto dall’isola di Mukaishima fino al centro di Onomichi in appena 4 minuti di traversata.
SHINAMANI CYCLING
Una volta ogni due anni tutta questa bellezza è fruibile senza intralci di auto, letteralmente da casello a casello, per la Cycling Shimanami, una gara che non è una gara organizzata con una serie di percorsi che vanno dai 35 chilometri per i pedalatori della domenica ai 210 per i ciclisti seri, quelli in tutina di lycra e biciclette da corsa italiane, che non mancano. Il giorno giusto per sperimentare l’organizzazione giapponese, strabiliante ma anche assurda, volendo vedere, specie quando tutti i partecipanti si mettono in fila indiana (come prescrive il codice della strada) per aspettare che un semaforo diventi verde. Con una quantità di volontari pari forse al numeri di partecipanti sparpagliati tra ponti e discese, pronti a segnalare il più piccolo intoppo sulla strada (per i giunti del ponte che appena si sentono sul manto stradale ce ne sono quattro), imperterriti nel salutare, decisi nell’invitare a rallentare in presenza di una curva, solerti nell’indicare la giusta direzione per ogni partecipante.
Organizzazione giapponese che raggiunge il massimo ai punti ristoro: dove oltre alle banane e ai biscotti al cioccolato ti danno pezzi di maiale stufato e frittelle di tofu infilzate in un bastoncino, una energetica delizia. Il tutto in un contesto di calma non apparente ma reale, in cui le file si fanno con ordine, il rancio si gusta in silenzio, le biciclette si parcheggiano laddove devono essere parcheggiate, e tutti insieme, seduti su di un prato, si ascolta un concerto di musica tradizionale tutta tamburi e urla.
PEDALARE OGNI GIORNO
Ma una giornata come quella dello Cycling Shimanami (l’ultima si è svolta a fine ottobre) è l’eccezionalità: si tiene una volta ogni due anni, ha un numero rigidamente chiuso e i posti vanno via in un attimo. Mentre ogni giorno dell’anno si può pedalare liberamente lungo la ciclabile altrettanto ardita che segue lo sviluppo dei ponti della Shimanami Kaido.
Un sistema assai ben organizzato che permette di fermarsi ad esplorare le isole grazie a 14 punti dove affittare (e in caso lasciare, visto che non è necessario riconsegnare la bici dove la si è presa) le biciclette, per vedere piantagioni di dolcissimi mandarini e silenziosi templi buddisti (come l’antico Kosanji Temple, del XIV secolo, sull’isola di Ikuchijima), piccoli porti pescherecci e addormentati paesini in riva al mare.

 
Il tutto in un contesto naturalistico assai affascinante, con un continuo alternarsi di isole verdissime e tratti di mare burrascoso, dove al cambiare delle maree si formano gorghi potentissimi. Come quelli che si possono vedere sotto il Kurushima Bridge, la cui struttura fatta di tre ponti in successione collegati dai sei pilastri ne fa il più lungo ponte sospeso del mondo: oltre 4 chilometri. Dall’alto si vede un paesaggio immenso: grandi spiagge bianche, qualche sparuto tempio, coltivazioni di agrumi e quell’ipnotico via vai di imbarcazioni che incrociano.
Perché il Seto, il mare interno giapponese, è uno specchio d’acqua punteggiato da oltre 3mila isole, solcato da un numero enorme di imbarcazioni da carico che ne fanno uno dei tratti di mare più trafficati del mondo. Chissà se quel volontario ogni volta che le vede si inchina.
INFORMAZIONI
Sito Japan Guide.