La prima legge dell’anno in Sardegna ha riguardato il discusso Piano casa che regolerà sull'isola la delicata materia urbanistica. Votata dalla maggioranza in Regione il 14 gennaio, con settimane di ritardo su quanto previsto e dopo un iter durato mesi, si tratta di una legge molto contestata dalle associazioni ambientaliste, tra cui il Touring Club Italiano. Le contestazioni dei mesi passati sono servite in parte a correggere il tiro della legge uscita dal "parlamentino" sardo, anche se le modifiche non cambiano nei fatti la sostanza delle obiezioni delle associazioni ambientaliste. È saltato il punto più controverso, che riguardava la possibilità di applicare la norma alle zone entro 300 metri dalla costa, che è stata eliminata. Ma rimangono le perplessità su una legge che così per come è stata scritta per esempio permette di ampliare del 50 per cento le volumetrie delle strutture che si trovano appena oltre i 300 metri dalla costa.
 
Quello del Piano Casa della Regione Sardegna è un tema che sta molto a cuore al Touring, soprattutto per quanto riguarda le conseguenze sul consumo di suolo e sullo sviluppo turistico. Per questo nei mesi scorsi l'associazione aveva organizzato un dibattito con Quirico Sanna, assessore regionale agli Enti locali, Finanze e Urbanistica della Regione Sardegna e promotore del Piano Casa. Nell’incontro, Sanna si era confrontato – oltre che con il presidente Franco Iseppi – con Mario Tozzi, geologo, divulgatore scientifico e consigliere del Touring. Una persona che non è sarda, ma ama la Sardegna: isola che negli anni lo ha ricambiato concedendogli la cittadinanza onoraria in ben due paesi dell’interno, Guspini e Seulo

Ma andiamo con ordine: vi raccontiamo come è andata. 


 

L'ANTEFATTO
Dunque, la vicenda parte con il disegno di legge 108/2020 “Disposizioni per il riuso, la riqualificazione e il recupero del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia di governo del territorio”, presentata dalla Giunta regionale sarda su proposta dell’assessore Sanna il 7 febbraio 2020. Una mini legge urbanistica della durata prevista di tre anni, quindi fino al dicembre 2023. Se approvata così come proposta, la legge avrebbe consentito tra le altre cose incrementi volumetrici del 30 per cento dell’esistente per le case poste oltre 300 metri dalla costa. Per quelle che si trovano entro tale fascia l’aumento sarebbe stato del 20 per cento, a patto che fossero state costruite prima del 1989. Per le strutture ricettive le percentuali lievitavano al 50 e al 30 per cento a seconda che si fosse all’interno o oltre i 300 metri dalla linea di costa. Aumenti erano previsti anche per le abitazioni nei centri storici sino al 25 per cento del volume, mentre si concedeva la possibilità di costruire nelle campagne dell’interno anche per chi possedeva almeno un ettaro di terreno agricolo purché sullo stesso terreno si piantassero alberi, ma senza alcuna necessità di essere imprenditori agricoli oppure coltivatori diretti.

Una proposta, quella della Giunta sarda, che secondo le associazioni ambientaliste era in netto contrasto con il Piano paesaggistico regionale del 2006 – che porta la firma dell’allora presidente della Regione Renato Soru – secondo cui entro 300 metri dalla costa l’inedificabilità è totale. Per andare oltre i vincoli del Piano, la Giunta sarda il 13 luglio 2020 ha approvato la legge 21 “Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale” con l’obiettivo di creare i presupposti tecnici per regolamentare da sola ambiti di solito di competenza statale, tra cui le costruzioni entro i 300 metri dalla costa. Una legge che le associazioni ambientaliste hanno prontamente ribattezzato “scempia coste” ed è stata impugnata dal Consiglio dei Ministri perché in contrasto con diversi articoli della Costituzione, tra cui l’articolo 9, quello secondo cui «la Repubblica tutela il paesaggio».
 


 
LA DISCUSSIONE
L’incontro organizzato dal Touring è servito per capire le differenti ragioni di chi quella legge l’aveva proposta, Sanna, e di chi era ed è decisamente contrario, come Tozzi e il Touring Club Italiano. «La legge non è il mostro che molti descrivono – ha spiegato Sanna –. Nessuno vuole cementificare le coste, perché sarebbe un attentato al nostro stesso territorio. Negli anni passati sulle nostre coste si è costruito tanto e male, progetti speculativi di basso livello, villaggi alveari e colate di cemento. Questa legge è l’occasione non per consumare altro suolo, piuttosto per intervenire sul costruito riqualificandolo secondo nuovi canoni. Utilizzando materiali locali come il marmo sardo e la lana di pecora, il legno e il mattone crudo sardo, tutti elementi che contribuiranno a restituire un senso identitario alle costruzioni, altrimenti chi arriverà penserà di essere in un posto qualsiasi in Italia. Mentre io vorrei una architettura che fosse subito riconoscibile come sarda», proseguiva l’assessore.

«Tutto questo è inteso anche a creare sviluppo e lavoro sull’isola e per chi ci vive, considerato che negli ultimi anni l’edilizia ha perso 37mila posti di lavoro. Dobbiamo anche migliorare le strutture ricettive esistenti per permettere loro di stare sul mercato, consentendo di aumentare il numero di camere fino a 60 e ampliarle, dotandosi di spa e altri servizi che attirino i turisti. La filosofia che ci guida è quella di uno sviluppo armonico nel rispetto del territorio, ma anche delle necessità dei sardi che altrimenti continueranno a emigrare come in questi anni». 
 

Diversa la visione di Mario Tozzi che, pur capendo le esigenze del comparto edilizio e riconoscendo le buone intenzioni dell’assessore Sanna nei confronti della sua terra, è stato però fermo nel ricordare che «il Piano paesistico sardo esiste, è bellissimo e non va toccato, perché tutela le coste che sono patrimonio di tutti gli italiani e non solo dei sardi, vietando qualsiasi tipo di costruzione. L’unico intervento possibile è costruzioni zero, non gli aumenti volumetrici». Anche perché, ha spiegato Tozzi, «l’identità e l’attrattività della Sardegna sta non solo nel costruito, ma soprattutto nel suo paesaggio. L’isola ha la fortuna unica in Italia di avere una gran parte delle coste ancora intatte e non si può permettere che aumentino costruzioni e consumo di suolo. Non possiamo pensare nel 2021 a uno sviluppo che ancora punta sul mattone come nel Dopoguerra. La gente sceglie la Sardegna perché è diversa, perché è bella, perché è naturale. L’isola va valorizzata per il suo paesaggio integro, non con costruzioni a buon mercato che già si trovano altrove, non servono altre Rimini o Tropea. Le strutture ricettive sarde hanno un tasso di occupazione del 54 per cento, a che cosa servono ulteriori stanze vuote per dieci mesi l’anno?».


 

E proprio il modello turistico è al centro dei ragionamenti del Tci. «Per noi che siamo osservatori del fenomeno turistico il problema della Sardegna non è avere più posti letto da vendere in estate, quando si concentra il 65 per cento delle presenze, ma un nuovo sviluppo che pensi al mercato di domani, a nuove domande turistiche destagionalizzate che valorizzino anche l’interno dell’isola». Così Massimiliano Vavassori, direttore del Centro Studi del Touring Club che ha partecipato all’incontro. Ma Sanna ne ha fatto una questione identitaria. «Continuiamo a subire una visione della Sardegna che viene da fuori. Che cosa sarà della Sardegna lo devono decidere i sardi, verso cui abbiamo il dovere di agire. Noi non abbiamo bisogno di ulteriori case, concordo, ma abbiamo necessità di migliorare l’esistente e creare sviluppo. L’edilizia non è l’unico volano ma è uno dei motori di una regione che ha un disperato bisogno di lavoro, una regione da cui la mia gente emigra perché non c’è futuro» prosegue. «Se l’edilizia fosse funzionale a un recupero dell’esistente, a un miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici potrei anche essere d’accordo – ha replicato Tozzi –. Ma la mia esperienza di direttore di Parchi nazionali mi dice che la questione delle migliorie delle costruzioni è sempre stata la scusa per nuovi abusi, perché il sistema dei controlli non funziona. E una volta costruito e consumato ulteriore suolo, indietro non si torna».

Sanna però è restato fermo nelle sue posizioni: «Non si tratta di nuove costruzioni, ma di riuso e riqualificazione come è scritto nella legge. I sardi devono poter investire sul proprio territorio per costruirsi un futuro, anche costruendo se servisse». Per Tozzi l’investimento sul futuro dei sardi è la tutela assoluta del loro territorio, che è la loro maggiore risorsa. Concetto su cui concorda Sanna, seppur con un grande “ma”. «Anche a noi piace vedere le vacche pascolare sulle spiagge selvagge: ma se sono costretto a scegliere preferisco non vedere le vacche, e vedere invece la gente che lavora», conclude. Una visione che preoccupa il Touring. La scelta di aumentare le volumetrie, ancorché abbellita da parole come “riuso” e “riqualificazione” come fa il disegno di legge 108, pur di creare lavoro, non sembra al Touring la via migliore per un corretto sviluppo dell’isola. Perché l’eccezione della Sardegna, quella che la rende più attrattiva agli occhi dei turisti sta nel fatto di essere poco costruita (solo il 3,28 per cento contro il 7,10 per cento del resto d’Italia).


 

LA CONCLUSIONE
Alcuni punti del disegno di legge illustrato dall’Assessore Sanna sono stati cambiati a gennaio. Tra questo quello più controverso che riguarda la possibilità di aumenti di volumetrie nelle costruzioni che si trovano entro i 300 metri di distanza dalla costa. Rimane però la possibilità di ristrutturare purché l'operazione sia a saldo zero: si demoliscono tot metri cubi, si ricostruiscono tot metri cubi. È stato introdotto un vincolo specifico per le aree umide nei trecento metri dal mare. Vicino agli stagni e lagune non si potrà costruire, al di là della zona urbanistica di appartenenza: dall'area del Poetto di Cagliari all'Oristanese fino, in Gallura, alcune lagune vicine a Olbia e San Teodoro. Ma appena un metro oltre il limite le strutture alberghiere potranno raddoppiare la loro superficie. Secondo i critici la legge allarga le maglie del sistema urbanistico, non tiene conto della specificità ambientale della Sardegna e, in buona sostanza, persegue un modello di sviluppo poco lungimirante, che non tiene conto del delicato equilibrio tra pressione antropica e territorio.