Dicono ci fosse particolarmente caldo quella sera. Era maggio, il 6 maggio 1976, ed era stranamente afoso, in Friuli. Anche alle 21 e dodici secondi. Prima ci fu un brusio. Poi un tremore. Poi un boato. Poi venne giù tutto. Ci furono urla, pianti, disperazione. Polvere, silenzio e buonanotte alle cose di quaggiù. Caddero campanili, crollarono case, palazzi medievali e capannoni costruiti da un anno.

Quel 6 maggio la scossa fu di magnitudo 6,4. Quattro mesi dopo, tra l’11 e il 15 settembre ce ne furono altre quattro, altrettanti devastanti. Alla fine morirono in 990, se prima o dopo conta poco. Ci furono 100mila sfollati, 15mila case distrutte, 45 Comuni rasi al suolo, 40 gravemente danneggiati. Fin qui la conta del terremoto del Friuli, 40 anni fa. Ma quello del Friuli non fu un terremoto come tanti altri. Il dopo terremoto fu un’altra cosa, qualcosa di unico in un Paese di terremoti.

Scrisse Gianni Rodari in un reportage per Paese Sera di quei giorni: «Non si vede più nessuno piangere il secondo giorno dopo il terremoto. La fine di quello che c'era è una cosa accaduta in un tempo già lontano. È cominciata un'altra cosa. Non si sa ancora che cosa sarà».

«COM’ERA, DOV’ERA»
Quell’altra cosa che era cominciata senza sapere che strada avrebbe preso era la ricostruzione. «Com’era, dov’era» divenne il motto. Lo dissero tutti, subito. Amministratori locali, preti, imprenditori, semplici cittadini decisero che lì, in Friuli, avrebbero fatto così. Teste dure, i friulani. È lo spirito del “fasìn di bessoi”, del provvedere da sé.

Non avrebbero aspettato e si sarebbero messi a ricostruire case, chiese e capannoni. Anzi, l’ordine è inverso. «Prima le fabbriche, poi le case e poi le chiese» disse l’allora Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Antonio Comelli. E così fecero, aiutati economicamente dallo Stato, agevolati da un sottosegretario, Zamberletti, che coordinò senza strafare, e da una Regione che si fece garante di tutto e per tutti.

IL MUSEO TIERE MOTUS
Per farsi un’idea di tutta questa storia ci sono due possibilità. O ci si documenta, leggendo, ascoltando, guardando. Oppure si parte e si va in Friuli. Gemona, Osoppo, Venzone erano città bellissime, diventarono torrenti di detriti. Oggi sono ancora città bellissime. E se ti fermi a Venzone, un paese ricostruito pietra per pietra, dov’era, com’era, vedi la rappresentazione migliore di quella filosofia.

Lo racconta un bel museo, Tiere Motus, che raccoglie le testimonianze del momento più tragico e allo stesso tempo più alto della storia del Friuli. Un’esposizione che attraverso testi e immagini aiuta a ripercorrere e a comprendere meglio la storia del terremoto del 1976 e la successiva opera di ricostruzione.

IL DUOMO DI VENZONE

Ma il simbolo della ricostruzione di Venzone è il Duomo, inaugurato il 2 agosto 1338 dal patriarca di Aquilea Betrando di San Genesio e crollato con la seconda serie di scosse, nel settembre 1976. Fu il teatro di uno scontro campale tra due filosofie. Da un lato architetti, storici dell’arte e ingegneri che volevano costruire un’altra chiesa, troppo danneggiata quella medievale. Dall’altro il prete, Giovan Battista Della Bianca, e gli abitanti del paese, che volevano il Duomo dov’era e com’era.

Ci fu un gran battibeccare. Arrivarono le ruspe e furono fermate. Si decise di fare una petizione: vogliamo ricostruire la chiesa. Firmarono in 630 su 650. Vinsero. In termini tecnici si chiama anastilosi: ricollocare le pietre allo stesso posto. In termini pratici fu un’impresa immane. I cittadini di Venzone recuperarono tutte le pietre, una ad una: 7.650. Le misero in un campo e aspettarono. Prima i capannoni, poi le case, poi le chiese: la ricostruzione iniziò nel 1988, finì nel 1995. Oggi il Duomo è un piccolo gioiello e un grande orgoglio.


 
LA LEZIONE DEL FRIULI
Che farò quando tutto brucia? Non è una domanda che si pongono in molti, neanche se vivi sul ciglio di un burrone e aspetti che da un momento all'altro arrivi l'Orcolat, il mostruoso essere che la tradizione popolare di queste zone indica come causa dei terremoti. Eppure in Friuli la domanda dovevano essersela posta, e qualche risposta l'hanno data. Perché andò così il post terremoto in Friuli?

Italo Calvino parlando della ricostruzione scrisse: «Tutti lavorarono unitariamente mettendo insieme quei tesori di impegno, di finezza, di pazienza e di moralità che occorrono per il successo di una battaglia politica perché questo era l'imperativo categorico dettato dalla loro coscienza». Una bella lezione, che vale anche oltre 40 anni dopo.

INFORMAZIONI
Museo Tiere Motus
Palazzo Orgnani Martina, via Mistruzzi n. 4/9 Venzone (Ud)