Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni...

Ecco la diciassettesima tappa.
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A metà degli anni Ottanta Gianni Celati viene reclutato dall’amico Luigi Ghirri per affiancare un gruppo di fotografi con l’idea di documentare il nuovo paesaggio italiano. Traduttore e insegnante universitario all’epoca – il libro esce nel 1989 per Feltrinelli – Celati era già uno scrittore con alle spalle alcuni romanzi riconosciuti, tra cui Narratori delle pianure, e con un modo peculiare di vedere il mondo e raccontarlo.
Celati decide di partecipare al progetto e viaggiare lungo il corso del Po, nel cuore ormai dimenticato dell’Italia interna. Il risultato sono quattro taccuini confluiti in Verso la foce. Quattro viaggi in cui alle volte accompagnando Ghirri nelle sue perlustrazioni fotografiche, alle volte andava da solo. Si muoveva con auto che si sono presto rotte, oppure in treno, in corriera e anche a piedi. Non aveva programmi in queste escursioni, non c’era un tabellone di incontri ufficiali, appuntamenti, cose da vedere per forza. Celati non doveva scrivere una guida turistica o dimostrare alcunché, doveva raccontare il paesaggio e chi lo popola.
Niente cartoline, solo il paesaggio con le sue tristezze e sue brutture, con la sua nuda verità appena nascosta dalla nebbia, il tessuto urbano slabbrato, rovinato come un abito che nessuno si è ricordato di portare in tintoria da decenni. Ma anche la bellezza brulla di un mattino d'inverno, certi spazi aperti del Delta, con i campi strappati alle acque salmastre, i casotti di pesca, la idrovere della bonifica, la gente in bicicletta nel freddo. Segnali di un paesaggio dove però, scrive Celati, si respira qualcosa di nuovo: «Ciò che sorprende è questo nuovo genere di campagne dove si respira un’aria di solitudine urbana».
Ne esce il registrodelle fasi finale di un cambiamento epocale delle campagne del Nord Italia, il passaggio finale dalla società rurale a una società urbana di cui certi paesi di pianura diventano i margini, come il Po diventa un frontiera interna, una striscia d’acqua da valicare veloce e stop. L’ambientazione passa dalla Bassa Lombardia agli spazi dell’Emilia, dalle zone della grande bonifica ferrarese alle foci del Po, al limite delle terre emerse, a un passo dal mare.
Verso la foce é un diario d’osservazione assai poetico. Un racconto della vita normale vista da dietro una finestra, un libro che sa di appunti presi a margine, di riflessioni passeggere raccolte come venivano, senza fronzoli e senza mediazioni. Uno di quei libri dove ti ritrovi a sottolineare frasi fugaci che ti rimangono in testa, e rimanendo provocano una riflessione, un pensiero ulteriore su quel che vediamo ma che spesso non osserviamo davvero. «Mi è venuto da voltarmi per vedere che tipi sono i lettori di quel giornale, ed era gente che sta quieta in un bar di campagna aspettando che il tempo passi».
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