Per festeggiare i cent'anni dalla nascita del Parco Nazionale del Gran Paradiso, il primo d'Italia insieme a quello d'Abruzzo, Lazio e Molise, abbiamo preparato tre articoli per scoprirlo al meglio.
- Nel primo (qui sotto), il Presidente del parco, Italo Cerise, fa il punto su passato, presente e futuro dell'area protetta;
il secondo vuole offrire consigli per esplorarlo al meglio, grazie anche alla collaborazione di Cristina Del Corso, Responsabile Ufficio Comunicazione del parco;
il terzo racconta gli eventi con cui si celebreranno i cent'anni. 
Buon compleanno al parco e cento di questi anni! 

Italo Cerise, nato ad Aosta nel 1953, laureato in scienze forestali, è Presidente del Parco Nazionale del Gran Paradiso dal 2011. A lui chiediamo di raccontarci cent'anni di parco e obiettivi e sviluppi futuri.
 

Presidente, ci può sintetizzare i momenti più importanti della storia del parco?
La storia del Parco Nazionale del Gran Paradiso ruota intorno al suo animale simbolo, lo stambecco, che qui è stato salvato dall'estinzione e da qui è stato reintrodotto in tutto l'arco alpino. Fin dal 1856 Casa Savoia aveva stabilito tra queste montagne una sua riserva reale di caccia, attorno alla quale ruotava l'economia della zona; poi nel 1919 il re Vittorio Emanuele III si dichiarò disposto a regalarla allo Stato italiano, purché vi creasse un parco nazionale. In realtà gli anni fino alla fine della seconda guerra mondiale, soprattutto quelli del fascismo, furono forse i più difficili, sia per la conservazione sia per lo sviluppo delle comunità. Dopo la guerra venne la svolta.
Di chi fu merito?
Come spesso succede, fu merito di una persona illuminata: il commissario straordinario Renzo Videsott, un veterinario locale. Fu lui a risollevare le sorti del parco, a salvare definitivamente lo stambecco, a ripristinare il corpo di sorveglianza autonomo, "convertendo" in guardie i bracconieri che conoscevano bene il territorio. Videsott fu un ambientalista ante litteram, la sua impronta fu fondamentale.


Stambecco, Parco Nazionale del Gran Paradiso - foto Shutterstock

E più recentemente?
Si possono distinguere due fasi. La prima, che corrisponde circa agli anni Settanta e Ottanta, ha visto fortissimi conflitti con le popolazioni locali, soprattutto per la definizione dei confini dell'area protetta. La seconda, dagli anni Novanta a oggi, è stata invece più equilibrata: grazie a una nuova legge quadro, il parco ha avuto competenze anche per quanto riguarda lo sviluppo e ha potuto concorrere ad aiutare il territorio, sviluppando pratiche di turismo sostenibile. Non più soltanto limitazioni, controlli e sanzioni, dunque, ma anche investimento e sviluppo, in parallelo a conservazione e tutela. Ecco quindi nascere i centri visitatori, le guide del parco, il marchio di qualità, negli ultimi anni iniziative di mobilità sostenibile ed efficientamento energetico degli edifici. In poche parole, da elemento che si sovrapponeva agli enti territoriali (e quindi era quasi un ostacolo allo sviluppo) oggi il parco è diventato un soggetto riconosciuto di pari dignità.


La vetta del Gran Paradiso, 4061 metri, Parco Nazionale del Gran Paradiso - foto Shutterstock

Questo percorso e questi risultati vi sono stati riconosciuti?
Le azioni degli ultimi decenni hanno portato a vari riconoscimenti internazionali, e questo non può che farci piacere, visto che ci permette di uscire dalla autoreferenzialità. Cito soltanto il Diploma Europeo delle Aree protette, conferito al parco insieme al "gemello" della Vanoise, oltre il confine francese, dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (2006, poi rinnovato nel 2012 e 2021). E poi l'inserimento del Parco Nazionale del gran Paradiso nella Green List, la lista verde dell'IUCN che rappresenta una metodologia per la valutazione di efficacia sulla gestione delle aree protette: il parco ne fa parte dal 2014 (poi ancora nel 2017 e 2021). Un riconoscimento che è significativo, perché premia non soltanto come il parco fa conservazione ma anche come entra in contatto con la comunità locale.

Ovviamente non ci si può sedere sugli allori...
Certo, i riconoscimenti sono punti di partenza. Bisogna innanzitutto mantenere gli standard raggiunti e poi cercare sempre di migliorarsi. Ora abbiamo fatto domanda per l'assegnazione della Carta Europea del Turismo Sostenibile, insieme a tutti i soggetti del territorio: speriamo ci venga assegnata presto. E continuiamo a lavorare con la popolazione con il marchio di qualità che il parco nazionale dà a chi si distingue sul territorio, rispettando vari parametri relativi alla sostenibilità. Secondo noi, un territorio di qualità deve offrire qualità su tutti i fronti: dai centri visita alla digitalizzazione. Per questo investiamo molto su questo marchio, stimolando chi vive nel parco a contribuire alla qualità. È un circolo virtuoso: il parco valorizza i suoi operatori e i suoi produttori, e viceversa. Il percorso che crea economia e ricchezza deve essere di vantaggio reciproco. Per fortuna sempre più giovani e amministratori la pensano come noi. 


Parco Nazionale del Gran Paradiso - foto Shutterstock

Parliamo di conservazione, che è uno dei pilastri di un parco nazionale. Quali sono i progetti principali del parco?
Innanzitutto l'analisi dei cambiamenti climatici, che studiamo fin dal 1980. L'innevamento è cambiato e questo ha avuto ripercussioni sullo stambecco: le femmine, che vivono più a lungo, partoriscono soggetti più deboli, che a lungo andare non sopravvivono. C'è anche uno sfasamento tra la nascita dei piccoli e la capacità nutritive della vegetazione. Monitoriamo anche le farfalle e poi i ghiacciai del Gran Paradiso, che si stanno riducendo drammaticamente. Un altro progetto importante riguarda il gipeto, un grande avvoltoio che venne eliminato dalle Alpi un secolo fa ed è stato reintrodotto con successo nel parco. Tutto questo grazie alla collaborazione con enti e università, ma soprattutto grazie al nostro corpo di sorveglianza, ricostituito da Videsott, che da corpo contro il bracconaggio si è "convertito" e specializzato a corpo a supporto per la ricerca scientifica (anche se negli ultimi mesi a seguito di spending review e prepensionamenti il loro numero si è ridotto... speriamo di poterlo reintegrare presto). Negli anni, abbiamo cercato di invogliare anche i visitatori a trasmetterci dati, a fare i ricercatori, con risultati interessanti.


Giovane di gipeto, Parco Nazionale del Gran Paradiso - foto Shutterstock

A proposito di visitatori. Com'è cambiata la fruizione del parco e la sensibilità dei turisti negli anni?
Sono un escursionista e frequento attivamente il parco: posso dire che l'approccio del visitatore medio è molto migliorato. C'è sempre tanto da fare, ovviamente: per esempio è sempre attuale la raccomandazione di non arrecare disturbo alla fauna. Soprattutto per chi cammina, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso è facile avvistare animali, è uno dei suoi aspetti peculiari: bisogna quindi educare le persone ad approcciarli nel giusto modo. D'altronde, la funzione educativa di un'area protetta è fondamentale. Il turismo, certo, può essere una minaccia, ma abbiamo la fortuna di vivere in un'area vasta, con una varietà di sentieri e situazioni. Tra gli ambiti su cui dobbiamo ancora lavorare, quello della fruizione dei sentieri con le mountain bike, che spesso crea conflitti con gli escursionisti: bisognerà favorire la creazione di sentieri ad hoc. 

Le creazione di buone pratiche, così come l'equilibrio tra conservazione e sviluppo, è sempre la sfida più grande. Cosa insegna la storia del parco e qual è l'auspicio per il futuro?
Sì, la legge quadro è sempre attuale, quel principio di equilibrio tra conservazione e sviluppo è alla base della pianificazione della nostra ttività. Dobbiamo affrontare tutti i giorni questa sfida, coinvolgendo tutti, sperimentando buone pratiche, evidtando di creare delle isole. Sono obiettivi sempre attuali, che devono essere resi sempre più concreti. Se guardiamo ad alcune parti del nostro territorio, vediamo come la sostenibilità era insita nelle attività delle popolazioni locali. Basta osservare Cogne, il cui centro abitato si è sviluppato nella parte meno produttiva della valle, lasciando quella produttiva per l'economia agropastorale (oggi il magnifico prato di Sant'Orso, ndr). Il parco nasce anche per tutelare il paesaggio, dobbiamo ricordarlo sempre! I nostri avi erano dei precursori illuminati. Pensare che avevano quella visione di conservare le bellezze italiane per le generazioni future... è un messaggio più che attuale. Ricordiamoci che i parchi non sono un lusso: conservare significa conservare l'umanità, la nostra casa comune. Una missione importante, a cui tutti siamo invitati a partecipare.


Cogne, Parco Nazionale del Gran Paradiso - foto Shutterstock

Per finire, Presidente: che suggerimento dà ai nostri lettori per scoprire il parco a cent'anni dalla sua nascita?
Consiglio a tutti di camminare: il Parco Nazionale del Gran Paradiso offre 350 chilometri di sentieri che collegano le case di caccia di una volta, alcune delle quali diventate rifugi. E poi, di programmare 4-5 giorni per visitare le cinque valli dell'area protetta, una diversa dall'altra. I due versanti del parco - quello piemontese e quello valdostano - sono così differenti! È un territorio che merita di essere conosciuto nella sua interezza, come una moneta con due facce diverse. E poi, se si riesce, consiglierei di avvicinare un guardaparco e farsi raccontare esperienze e aneddoti. La loro conoscenza del territorio è veramente straordinaria e trasmettono tanta positività. Abbiamo bisogno di rigenerarci, di ristabilire un contatto con la natura che ci aiuti ad affrontare le situazioni di oggi: ecco, il Gran Paradiso è il luogo giusto per farlo.