Per tutto ottobre 2020, il sito del Touring Club Italiano - in collaborazione con Hertz - segue il Giro d'Italia edizione numero 103 (Monreale, 3 ottobre - Milano, 25 ottobre). A raccontarci le tante storie del Giro d'Italia 2020 è Gino Cervi, scrittore e giornalista, nonché cultore di storia del ciclismo, curatore di guide turistiche Tci e autore di volumi di storia dello sport (tra cui il recente "Il Giro dei Giri"). Seguiteci lungo le strade del nostro Bel Paese! A questa pagina trovate tutte le puntate.
 

Ieri a Madonna di Campiglio ha vinto Ben O’Connor. Era uno dei componenti della fuga partita poco dopo la partenza da Bassano del Grappa, nella frazione, la 17a del Giro, che ci ha portato dal Veneto al Trentino, dal monte Grappa e dalle acque del Brenta alle Dolomiti “di Brenta”. La partitura del concerto grosso si è ripetuta simile a molte altre volte. Dal gruppo è fuoriuscito un nutrito drappello di avanguardisti con l’obiettivo di provare a vincere il premio di giornata affrontando le quattro ascese previste dal percorso. Dapprima, lungo la Valdastico, Forcella Valbona, crinale tra le due regioni; quindi, attraversata rapidamente la Val d’Adige, la salita al Monte Bondone, dal versante di Aldeno; quindi picchiata sulla valle dei Laghi e risalita, per il passo Duron in direzione Tione. Ultimo tratto di falsopiano per la val Rendena fino Pinzolo e quindi, ascesa finale per Madonna di Campiglio.


Giro d'Italia, tappa 17 - foto LaPresse


Giro d'Italia, tappa 17 - foto LaPresse

Secondo il copione delle ultime tappe, gli uomini che “curano” la classifica generale hanno lasciato fare e, seppur sfrondato da defezioni lungo il percorso e ridotto a una decina di corridori, il drappello è arrivato a giocarsi la vittoria sotto lo striscione di Campiglio. In particolare, fino in fondo se la sono giocata in quattro: oltre a O’Connor, Pernsteiner, De Gendt e Zakarin, che hanno tagliato il traguardo in quest’ordine. L’australiano O’Connor ha staccato i compagni di fuga nell’ultima salita ed è giunto solo all’arrivo. Alle sue spalle, a mezzo minuto, l’austriaco Pernsteiner, più indietro di poco la coppia del belga De Gendt e del russo Zakarin. Composita la nazionalità dei primi dieci all’arrivo: uno svizzero (Frankiny), un altro belga (Vanhoucke), un italiano (Villella), uno spagnolo (Rodriguez), un eritreo (Gebreigazabhier) e un danese (Hansen). Insomma, una realistica geografia dell’attuale mondo globalizzato del ciclismo. L’esotico è Gebreigazabhier ma fino a vent’anni fa sarebbe stato lo stesso O’Connor, quando gli australiani erano ancora un’eccezione nel gruppo. 

Giro d'Italia, tappa 17 - Ben O' Connor - foto LaPresse

Quella di O’Connor è infatti la trentatreesima vittoria di un “canguro” al Giro: ora lo stesso nomignolo di “canguro”, un tempo a sottolineare l’eccezionalità dell’accadimento, è ormai desueto per i numerosissimi rappresentanti del ciclismo downunder nel movimento internazionale. Delle 34 vittorie al Giro, 31 (comprese quelle di due cronosquadre vinte dalla compagine Orica-GreenEdge) sono state conquistate dal 2000 a oggi. La prima vittoria australiana fu nel 1982, grazie a Michael Wilson – la Viareggio-Cortona - ; seguirono quelle, nel 1989 e nel 1990, di Phil Anderson, primo grande campione australiano. Poi tocca aspettare dieci anni prima che inizi la serie di successi (tra cui i 12, tutti allo sprint, di Robbie McEwen, tra il 2002 e il 2007) coronati oggi da quello di O’Connor. L’australiano Ben aveva forse nel destino quello di cogliere un successo al Giro d’Italia. La sua città natale, che si trova nell’area metropolitana di Perth, nell’Australia Occidentale, ha un nome curioso: Subiaco. Venne così chiamata quando nel 1851 dei benedettini vi insediarono un monastero e ribattezzarono il luogo come il centro di irradiazione del monachesimo di Benedetto da Norcia che, nel VI secolo, a Subiaco, nel Lazio, fondò le prime abbazie.

Giro d'Italia, tappa 17 - foto LaPresse

L’obiettivo dei ‘girini’ è quello di arrivare a Milano e mettersi alla spalle i 3497,9 km questo 103° Giro d’Italia. L’obiettivo che si è dato il comitato “Un caldo abbraccio”, che fa capo alla Pro Loco Lasino-Lagolo del comune trentino di Madruzzo, è molto più ridotto: la distanza da coprire, o meglio da allungare anche solo di un metro, è di 16,943 km. È il record mondiale de "La sciarpa più lunga del mondo" lavorata coi ferri da maglia. Alla fine della lunga discesa del monte Bondone, nel rettilineo tra Ponte Oliveti e Sarche costeggiava la strada una lunga striscia colorata composta da pezzi di lana, lavorati a maglia o uncinetto. Due membri del direttivo Pro Loco Lasino-Lagolo, la signora Irene e la signora Ivo, mi hanno spiegato che nei giorni del lockdown hanno pensato di coinvolgere chi rimaneva chiuso in casa in quello che da un semplice passatempo è diventato un progetto sociale di largo respiro: recuperare le lane di vecchi maglioni  e berretti e rilavorarli coi ferri da maglia per costruire, pezzo per pezzo, la più lunga sciarpa del mondo. Oggi al passaggio del Giro, eccezionale vetrina per la loro iniziativa, dicevano che il loro traguardo non è poi così lontano, grazie alla solidarietà arrivata da tutta Italia, sia come forniture di stock di gomitoli, sia come invio di “pezzi” lavorati. Quando riusciranno a srotolare la sciarpa multicolore dal Lasino-Lagolo alla cima del Bondone, potranno dire di raggiunto il loro scopo: il progetto solidale “Un caldo abbraccio”, ottenuto il record, si impegnerà a realizzare con il materiale impiegato per fornire calde coperte ai senzatetto


La sciarpa da record- foto Piccione

L’altra storia l’ho incontrata poco prima dell’arrivo a Madonna di Campiglio. L’ho trovata a Carisolo, divisa da Pinzolo solo dal corso del Sarca, c’è l’antica chiesa di S. Stefano. Di impianto tardo-gotico e forse costruita dove un tempo sorgeva un preistorico castelliere, si trova, arroccata in cima a una rupe, all’imbocco della val Genova, piccola convalle che dalla val Rendena si spinge nel cuore del Parco naturale dell’Adamello, celebre per le sue cascate – la più famosa quella del Nardis. La chiesa è impreziosita dagli affreschi di Simone Baschenis, artista appartenente a una famiglia di pittori itineranti bergamaschi che tra Quattro e Cinquecento operarono nelle valli alpine. Dal 1519 e nel corso dei successivo due decenni, Simone affrescò all’esterno una Danza Macabra – una specie di prova generale di quella, più famosa, realizzata vent’anni dopo nella non lontana chiesa di S. Vigilio, a Pinzolo – e le Storie di S. Stefano. Ma all’interno, nella parete di fondo, c’è un grande affresco noto come La leggenda di Carlo Magno. Vi si rappresenta il pontefice nell’atto di battezzare un catecumeno; ai suoi lati l’imperatore dalla lunga barba e un seguito armato, i sette vescovi con la tiara e il bastone episcopale. Sotto l’immagine, una lunga scritta murale a mo’ di didascalia riporta il cosiddetto Privilegio di S. Stefano: da questo testo nasce la leggenda di Carlo Magno, che, verso la fine dell’VIII secolo, intraprese nelle valli alpine una delle sue imprese guerresche.


Particolare del dipinto che narra la Leggenda di Carlo Magno nella chiesa di S. Stefano a Carisolo - foto Wikipedia Commons​

Si narra di come il re dei Franchi, non ancora imperatore – a dire il vero lo sarebbe diventato solo dal Natale dell’800, quando venne incoronato a Roma da papa Leone III – , alla guida di un grande esercito di 4000 lance, e accompagnato da papa Urbano II – un papa, e vabbè, di due secoli dopo: ma di leggenda, appunto, si tratta... -  e da sette vescovi, partì da Pavia alla volta di Bergamo e da qui intraprese una campagna militare contro i “pagani” che abitavano le valli alpine, risalendo la val Cavallina e poi la Camonica, per poi passare, superato il passo del Tonale, in val di Sole e di infine, attraverso il passo che oggi si chiama appunto Campo Carlomagno, in val Rendena. Insomma, secoli e secoli prima di Petit Breton, primo campione transalpino a partecipare a un Giro, e di Jacques Anquetil, primo francese a vincere la Corsa Rosa, esattamente sessant’anni fa, Carlo Magno aveva già corso e vinto da queste parti il suo tappone alpino. 

Secondo quanto racconta la lunga didascalia, il Privilegio di S. Stefano, era la concessione di speciali indulgenze che il papa, i sette vescovi e l’imperatore conferivano a tutti i fedeli che avessero frequentato la chiesa ogni prima domenica del mese. Oggi non è solo giovedì di un giorno di quasi fine ottobre: ma una sorta di indulgenza automobilistica per me che tra poche ore devo guidare sui tornanti, forse ghiacciati, del passo Stelvio me la intascherei volentieri. 

 

Il "Giro del Touring" è realizzato in collaborazione con Hertz, partner storico dell'associazione, che ha messo a disposizione di Gino Cervi una vettura per seguire le tappe della Corsa Rosa. 
 
Si ringraziano per il sostegno al progetto anche AcdB Museo-Alessandria Città delle Biciclette e Terre di Ger.

In occasione del Giro d'Italia, per tutto il mese di ottobre il volume Touring "Il Giro dei Giri" è scontato del 40% per i soci Touring