Se decenni fa Walter Benjamin rifletteva sull’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica, quest’anno il festival di Arles, in Francia, ha deciso di riflettere e far riflettere sulla fotografia all’epoca del digitale e di internet. Ormai siamo tutti delle specie di editor: ricicliamo, tagliamo, spediamo, rimescoliamo, utlizziamo in ogni momento immagini. Siamo letteralmente abituati a pensare il mondo per immagini, non importa se scattate da una macchina fotografica, da un telefono, da una telecamera o immagazzinate dal nostro occhio.

Grazie alla tecnologia le immagini sono ovunque e sono disponibili in ogni momento. E soprattutto ognuno può fare con le immagini ciò che vuole, rendendole non conformi all’originale. Un potenziale teconologico che ha forti conseguenza creative e cambia radicalmente il nostro senso della fotografia. Una fotografia non conforme e non certificata dunque è quella che propone quest’anno il festival provenzale.

Come ogni anno i Rencontres cercano di interpretare il cambiamento, provando a fare il punto sullo stato della fotografia e sulle nuove rotte che essa batte. Quarantasette mostre, due mesi di esposizioni, una città invasa da cornici e fotografie: questa è Arles durante il più importante festival di fotografia d’Europa. Dal 4 luglio al 18 settembre si potranno vedere le fotografie di Chris Marker e Wang Quingsong che reinterpretano a loro modo l’immagine, ma anche scoprire trent’anni di fotografie pubblicate dal New York Times magazine, oppure partire alla scoperta del Messico e della rivoluzione messicana del 1910, oltre ad ammirare immagini del Messico contemporaneo.

Diffuso in tutta la città, dalle chiese e dai chiostri del centro alle vecchie fabbriche delle periferia, il festival di Arles rappresenta anche un buon modo per scoprire le archietture della cittadina provenzale, saltellando da un’esposizione all’altra, da una conferenza a un vernissage, in un clima di festa permanente che anima soprattuto il primo fine settimana di esposizioni.

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