Forse ci siamo illusi. Abbiamo pensato tutti che una forma di risarcimento ci fosse. Quando abbiamo visto video da tutto il mondo di orsi, volpi e uccelli selvatici fare capolino nelle città ci siamo affannati a mettere like ed emoticon, speranzosi che pagando il prezzo della pandemia ricevessimo in cambio un ambiente più sano e vivibile. 
Ma le cose non stanno proprio così. Anzi, un insegnamento che stiamo ricevendo è la necessità di approcciare i problemi che ci coinvolgono come comunità, guardandoli da più angoli. I fenomeni naturali sono complessi e non si modificano con uno "switch" su on o off.
A chiarire un aspetto del rapporto tra pandemia e ambiente è la World meteorological organization (Wmo). “Il rallentamento dell’industria dovuto alla pandemia di Covid-19 non ha frenato i livelli record di gas serra che intrappolano il calore nell’atmosfera, aumentano le temperature e provocano condizioni meteorologiche più estreme, scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello del mare e l’acidificazione degli oceani” sostengono nell'ultimo Greenhouse Gas Bulletin

La Wmo rileva invece che “il lockdown ha ridotto le emissioni di molti inquinanti e gas serra come l’anidride carbonica. Ma qualsiasi impatto sulle concentrazioni di CO2 in realtà non è maggiore delle normali fluttuazioni nel ciclo del carbonio e dell’elevata variabilità naturale nei pozzi di carbonio come la vegetazione". La Wmo ha registrato un costante aumento dei livelli di CO2 nell'atmosfera: “Nel 2019 i livelli di CO2 nell’atmosfera hanno visto un altro picco di crescita e la media globale annuale ha superato la soglia significativa di 410 parti per milione (Ppm) e l’aumento è continuato nel 2020". 

Delusi? L’aria della vostra città vi sembrava più pulita, i cieli più tersi e le montagne meno lontane? Forse sì, ma la percezione è data da uno stop momentaneo che si inserisce in una marcia spedita della crisi climatica globale. 
Lo spiega meglio l’ultimo rapporto del Global Carbon Project, ente di ricerca internazionale che ha stimato come “durante il periodo più intenso dei lockdown le emissioni di CO2 potrebbero essersi ridotte fino al 17% a livello globale, ma, visto che le misure di confinamento sono episodiche e diversificate per Paese, la previsione della riduzione annuale totale delle emissioni nel 2020 è molto incerta. Stime preliminari indicano una riduzione delle emissioni globali annua compresa tra il 4,2% e il 7,5%. 
Dati che vengno confermati dal bollettino Wmo: "A livello globale, una riduzione delle emissioni di questa scala non provocherà una diminuzione della CO2 atmosferica . La CO2 continuerà a salire, anche se a un ritmo leggermente ridotto (0,08-0,23 ppm all’anno in meno). Ciò rientra ampiamente nella variabilità interannuale naturale di 1 ppm. Questo significa che a breve termine l’impatto dei lockdoen del Covid-19 non può essere distinto dalla variabilità naturale". Tradotto con un paradosso, la pandemia ci ha dato un po’ di fiato, ma se vogliamo invertire la rotta del riscaldamento globale l’impegno dei singoli cittadini, degli Stati e degli organi internazionali deve essere più che deciso.
DAL RISCALDAMENTO GLOBALE IL RISCHIO DI NUOVE PANDEMIE
A responsabilizzarci ancor di più è il dato che emerge dallo studio “Divergent impacts of warming weather on wildlife disease risk across climates”, pubblicato su Science da un team di ricercatori delle università statunitensi della South Florida, del Wisconsin – Madison e di Notre Dame.
I ricercatori sono arrivati alla tesi che "i cambiamenti climatici possono aumentare il rischio di malattie infettive negli animali, con la possibilità che queste malattie possano diffondersi agli esseri umani". A sostegno dello studio vi sono numerosi elementi di un fenomeno noto come “ipotesi di disallineamento termico”, che ipotizza che il maggior rischio di malattie infettive negli animali adattatisi ai climi freddi  – come gli orsi polari – si verifica con l’aumento della temperatura, mentre il rischio per gli animali che vivono nei climi più caldi si verifica con l’abbassamento delle stesse temperature”.  
Questo studio è fondamentale per non rimuovere i danni della pandemia attuale, pensando di tornare alla “vita di prima”. Scomodando una timeline molto "altolocata", non esiste solo una linea di demarcazione tra la vita avanti Covid e una vita dopo Covid. Perché se non ci occupiamo subito di un cambio di paradigma radicale, il rischio è di andare incontro a nuove pandemie.