Göbekli Tepe è un nome che dice ancora poco agli italiani che visitano la Turchia. Eppure questo sito archeologico risalente al 9.500 a.C., entrato nel Patrimonio Unesco dell'umanità dal 2018 e visitabile dal 2019, sta rivoluzionando la conoscenza del Neolitico, segnando l'inizio di di quella sua fase più antica chiamata Neolitico preceramico A. Le strutture circolari e i grandi obelischi a T di quello che è stato definito il primo tempio in pietra del mondo, usato fino all'8000 a.C. e poi sepolto sotto tonnellate di terra, costringono a riscrivere la storia della civiltà ai suoi albori. E infatti i turchi con una certa enfasi ne parlano come della più grande scoperta archeologica del XXI secolo nonché del “punto zero nel Tempo” (slogan peraltro perfetto per farne una grande meta turistica). 

Göbekli Tepe, una collinetta che svetta su un altopiano calcareo 90 km a est dell'Eufrate e 22 km a nord est della città di Şanlıurfa (l'antica Edessa), però non è un caso unico. Lo prova adesso un altro misterioso luogo dalle caratteristiche analoghe e che sta 35 km ancora più a est: Karahan Tepe, riportato alla luce negli ultimi due anni e che abbiamo potuto vedere in anteprima con il direttore degli scavi, il professor Necmi Karul dell'Università di Istanbul (il sito dovrebbe diventare visitabile nel 2022). Non basta: nell'Anatolia sud orientale, appena sopra la Mesopotamia e il confine con la Siria, strumenti geomagnetici e radar hanno consentito di individuare nel giro di 200 km, sui rilievi che attorniano la fertile Piana di Harran, almeno dodici siti con presenza di stele a T (Göbekli Tepe, Karahan Tepe, Şanlıurfa - Yenimahalle, Çakmaktepe, Hamzan Tepe, Sefer Tepe, Taşlı Tepe, Kurt Tepe, Gürcütepe, Harbetsuvan Tepe, Sayburç e Ayanlar Höyük). Come a confermare che la regione effettivamente sia il luogo dei più antichi siti monumentali di culto del mondo.

Karahan Tepe 

È LA CULLA DELL'UMANITÀ?
Insomma, anche senza spingersi agli eccessi immaginifici del settimanale tedesco Der Spiegel (“Göbekli Tepe è il luogo dove Adamo ed Eva iniziarono a vivere dopo esser stati espulsi dal Paradiso terrestre”), ce n'è a sufficienza perché il governo di Ankara con orgoglio nazionalistico non esiti a proclamare che la culla dell'umanità si trovava proprio qui, nei bacini del Tigri e dell'Eufrate superiore. E dunque produca ogni sforzo per fare dei siti anatolici del Neolitico un'icona culturale mondiale e un brand turistico internazionale.

È anche questo l'obiettivo con cui sta preparando il World Neolithic Congress, il Congresso mondiale sul Neolitico che si terrà nel 2023 nel capoluogo della regione, Şanlıurfa, e al quale saranno invitati ottomila studiosi e giornalisti da tutto il mondo. Ed è la prospettiva che fa sognare il ministro della cultura turco Mehmet Nuri Ersoy: “Porteremo qui due milioni di turisti all'anno”, ci ha detto durante un grandioso evento organizzato nello splendido Museo archeologico di Şanlıurfa. L'occasione era presentare il faraonico progetto Taş Tepeler, “le colline di pietra”, che entro il 2024, grazie a uno stanziamento pubblico di 12 milioni di euro e al notevole investimento ventennale dal gruppo privato Doğuş (20 milioni di dollari dal 2016 al 2035), coinvolgerà gli archeologi di università turche, tedesche, francesi, britanniche, russe e giapponesi per scavare a fondo i dodici siti individuati. Compresi quelli che sono ancora interrati, in zone impervie e finora non raggiunte da strade.
Karahan Tepe 

Göbekli Tepe e Karahan Tepe sono dunque nomi con i quali bisognerà familiarizzare, che entreranno presto nei manuali di storia. Ma in che cosa consiste la novità di queste strutture megalitiche che, risalendo a quasi 12mila anni fa, sono ben sei-settemila anni più antiche di Stonehenge e delle Piramidi egizie? E che cosa possono riservare a chi si spinga fin qui, fra le aride colline all'estremo nord della Mesopotamia, limite settentrionale di quella che Gordon Childe chiamò Mezzaluna fertile, per visitarle? Già da qualche anno molti studiosi, provando a risolvere il rebus, hanno sostenuto che questi siti inducono a rivedere l'idea che il Neolitico fosse popolato da gruppetti di cacciatori-raccoglitori nomadi e ancora troppo primitivi per vivere insieme in modo stanziale, organizzare il lavoro in comune, darsi una struttura sociale, scegliere un capo autorevole, forse religioso, che li governasse. Perché chi ha costruito queste strutture non conosceva la ruota e la scrittura, non sapeva ancora coltivare la terra o addomesticare gli animali, ma già era in grado di erigere costruzioni monumentali. Non aveva ancora strumenti di metallo ma usando pietre acuminate poteva scolpire figure animali e umane con perizia artistica e valenza simbolica. Non viveva ancora in villaggi ma già aveva maturato un'identità sociale che lo spingeva a ritrovarsi, per commerciare e pregare.

Göbekli Tepe - foto di Roberto Copello​

Göbekli Tepe - foto di Roberto Copello​

UN REBUS DIFFICILE DA DECIFRARE
Questo probabilmente lo scopo di siti eretti proprio come santuari dove incontrarsi periodicamente, magari per venerarvi qualche dio, scambiare merci, trovare mogli, fare sacrifici (a Göbekli Tepe sono state trovate parecchie ossa di animali), celebrare la raccolta di noci, mandorle, pistacchi, cereali selvatici. Il primo esempio nella storia, dunque, di socialità umana e di culto divino. Con il bisogno religioso e la sua ritualità che si affermano prima dell'agricoltura, e non dopo, come si legge sui libri di storia antica. Quanto si vede da queste parti dunque non solo anticipa la transizione dal nomadismo dei raccoglitori alla stanzialità degli agricoltori, dall'individualismo alla socialità, ma cozza anche con la tradizionale teoria secondo cui, nella Mesopotamia culla indiscussa delle civiltà, l'uomo dapprima imparò a selezionare i semi, coltivare piante e allevare capre, quindi si fece sedentario creando i primi villaggi e le prime società complesse, finché emerse in lui il bisogno di rivolgersi a un essere superiore e di erigergli luoghi di culto. Questi siti affermerebbero tutto il contrario, mostrando che l'esigenza religiosa era talmente connaturata con l'uomo da affermarsi prima di tutto il resto.

Una narrativa che si è affermata in fretta, ma che solleva alcune perplessità nell'attuale direttore degli scavi di Göbekli Tepe, l'archeologo inglese Lee Clare, della sezione di Istanbul del Deutsches Archäologisches Institut. Gli ultimi scavi, ci spiega mentre percorriamo il breve sentiero che sale verso un grande tetto bianco, hanno infatti trovato nelle pendici della collina tracce di abitazioni e di canali per l'acqua piovana, contraddicendo la convinzione che questo fosse un santuario puramente rituale, un luogo di pellegrinaggio mai abitato, sorto lontano da insediamenti e senza risorse idriche. “Il paradigma del 'primo tempio del mondo' e del 'punto zero nel tempo' è difficile da dissipare”, afferma Clare, “specie adesso che è diventato il punto forte nelle strategie di marketing legate al fatto che Göbekli Tepe è diventato un sito Unesco. Le ultime scoperte, però, hanno indebolito questa teoria”. E tuttavia, anche così, resta difficile pensare che le strutture “speciali” (i recinti) del sito non siano luoghi destinati a pratiche rituali, con gli obelischi a T in cui qualcuno ha visto un simbolo degli antenati.

Göbekli Tepe - foto di Roberto Copello​

GÖBEKLI TEPE: GLI ENORMI MONOLITI A FORMA DI T
Göbekli Tepe
, insomma, resta un rebus ancora da decifrare pienamente. E misterioso appare quanto si presenta agli occhi sotto il tetto circolare che ricopre il sito con gli otto recinti ovali riportati alla luce (ma nella collina ce ne sono almeno venti ancora interrati). Colpisce subito il gran numero di monoliti antropomorfici a forma di T, che ricordano un corpo umano in piedi. I pilastri più grandi, alti da 3 a 5,5 metri e pesanti fino a 30 tonnellate, sono isolati al centro dei recinti, gli altri sono inseriti a intervalli regolari nei muri a secco tutto attorno. Le cave da cui provengono sono vicine, ma il loro trasporto implica conoscenze ingegneristiche insospettate per il Neolitico. Sul calcare dei megaliti sono scolpite immagini stilizzate di uomini e soprattutto di animali, altorilievi che raccontano come quasi 12.000 anni fa la Mesopotamia fosse un luogo assai più verde che adesso, dove si cacciavano le gazzelle e si dovevano temere i leopardi. Sotto di noi, vicino alle due imponenti stele a T dell'edificio D (il recinto principale, largo 20 metri), un archeologo scava con il piccone nel muro a secco, riempiendo di terra e sassi le ceste di gomma. Due operai poi le innalzano sopra il muro e le portano all'aperto con la carriola, su un pianoro dove il tutto verrà passato al setaccio, sotto il sole battente. Lavoro improbo: non doveva fare così caldo nel Neolitico, quando questi templi furono eretti contando solo sulle proprie mani, ingegnandosi a spingere in salita monoliti pesanti svariate tonnellate e posti a scorrere su dei tronchi.


Göbekli Tepe - foto di Roberto Copello


Göbekli Tepe - foto di Roberto Copello

Ai piedi della collina, poi, oltre gli alberi di pistacchio e una piccola galleria costruita con le traversine del vecchio Orient-Express, un piccolo e ben allestito museo consente di ripercorrere la storia della scoperta di Göbekli Tepe, con tre aree circolari volute a imitazione del sito archeologico. Negli anni 60 archeologi di Chicago avevano intuito che un rilievo rotondo e uniforme, largo appena 300 metri, non poteva essere naturale. Solo a metà anni '90, però, si iniziò a scavare la collina, grazie soprattutto alle intuizioni di Klaus Schmidt dell'Istituto Archeologico Germanico, il professore che potrebbe ben definirsi “lo Schliemann del Neolitico”. La datazione al C14 dei reperti e delle strutture che aveva trovato diedero una risposta sensazionale: 9600 a.C.! Mai il Neolitico aveva restituito strutture del genere, mai s'era neppure lontanamente ipotizzato che l'uomo, da poco uscito dall'ultima era glaciale, fosse in grado di realizzarle. Purtroppo Schmidt è scomparso prematuramente nel 2014 e il suo testimone è passato nelle mani proprio di Lee Clare.


Göbekli Tepe - foto di Roberto Copello​


Göbekli Tepe - foto di Roberto Copello​

KARAHAN TEPE, LA TESTA PIÙ ANTICA
Vicenda analoga è quella di Karahan Tepe, che abbiamo visitato assieme al direttore dei lavori, l'archeologo turco Necmi Karul, dell'Università di Istanbul. Qui la collina è più grande e l'area scavata si estende su circa dieci ettari. Gli obelischi a T ritrovati sono ben 266, anche se meno entusiasmanti, per imponenza e decorazione, di quelli di Göbekli Tepe (molti sono abbattuti a terra o spezzati). Tuttavia, dal muro ovest della piccola struttura AB, interamente scavata nella roccia, si protende un'incredibile scultura: è quella, probabilmente, della più antica testa umana scolpita nella storia, come affacciata verso una piccola folla accalcata, undici monoliti dalla forma fallica.


Karahan Tepe - foto di Roberto Copello


Karahan Tepe - foto di Roberto Copello

LO STRAORDINARIO MUSEO ARCHEOLOGICO DI SANLIURFA
Gli ambienti di Karahan Tepe, per il momento, restano all'aria aperta, esposti agli agenti atmosferici, mentre le stele e le sculture più importanti ritrovate sia a Göbekli Tepe sia a Karahan Tepe sono adesso nel moderno Museo archeologico di Şanlıurfa. Inaugurato nel 2015, è questo il più grande museo della Turchia. Nelle sue 14 sale si percorre un viaggio completo dal Paleolitico e dal Neolitico fino all'era ottomana. Merita senz'altro la visita, anche per i molti reperti del Neolitico giunti da altre importanti località, come Harran e Nevalı Çori. Il recinto D di Göbekli Tepe è stato qui ricostruito a grandezza naturale, con al centro le riproduzioni dei suoi due monoliti a T alti più di cinque metri: passeggiare fra di essi offre un brivido impossibile da provare nel sito archeologico, dove le strutture si possono contemplare solo affacciandosi dall'alto sulle ringhiere.


Ricostruzione del recinto D di Göbekli TepeMuseo archeologico di Şanlıurfa - foto di Roberto Copello

Museo archeologico di Şanlıurfa - foto di Roberto Copello

Nel Museo di Şanlıurfa c'è poi, dal settembre 2021, una nuova sala con i reperti provenienti da Karahan Tepe, dove si viene accolti dall'impressionante statua di un uomo con un leopardo sulle spalle (9600-8700 circa a.C.). Segue una serie di statue e teste umane, uccelli e totem scolpiti in modo rudimentale nella pietra calcarea. E infine, la star del museo: lo stupefacente Uomo di Urfa o statua di Balıklıgöl. Ritrovato in un quartiere di Şanlıurfa nel 1993 e datato 9.000 a.C., è ritenuta la più antica statua di un essere umano raffigurato realisticamente e a grandezza naturale. Alto 1,90, con due frammenti di nera ossidiana inseriti nelle cavità degli occhi, comunica un'impressione fortissima allo spettatore, esaltata dall'allestimento che isola la statua facendola emergere dal buio. Una statua i cui evidenti simboli sessuali sembrano capovolgere un altro luogo comune degli studi sul Neolitico: prima ancora che si affermasse il culto della Dea Madre, dominante, almeno nell'Anatolia sudorientale, era una divinità maschile come questa.
 

Statua di un uomo con un leopardo sulle spalle (9600-8700 circa a.C.), Museo archeologico di Şanlıurfa - foto di Roberto Copello​


Uomo di Urfa, Museo archeologico di Şanlıurfa - foto di Roberto Copello

INFORMAZIONI
Sito web www.turchia.it.
Museo archeologico di Şanlıurfa: visita virtualepresentazione (in turco ma con diverse immagini).