«Qui qualsiasi cosa cresce in maniera più mirabile che in qualunque altro luogo bagnato dal mare». Così scriveva nel VI secolo Cassiodoro, senatore e storico romano. "Qui" era la punta meridionale dell’odierna Calabria, il territorio che oggi corrisponde, grossomodo, alla provincia, anzi, alla Città metropolitana di Reggio Calabria (Cassiodoro era nativo di Scolacium, l’odierna Squillace). «Il sole, la brezza marina, la varietà dei terreni, sono tutti elementi che hanno consentito a qualunque specie vegetale o animale di sviluppare caratteristiche originali, che rendono i nostri prodotti unici al mondo», racconta il professor Filippo Arillotta, autore di numerosi saggi e articoli dedicati alla storia e alle tradizioni del Reggino. 

IL BERGAMOTTO
Arillotta è un affabulatore: basti, come prova, la sua "Storia fantastica del Bergamotto di Reggio Calabria, da documenti rari ritrovati e ordinati da Filippo Arillotta" pubblicata da Kaleidon. Un titolo che sembra riferirsi a una vicenda epica, come quella dell’Orlando furioso, piuttosto che a un documentato saggio storico sul principe degli agrumi. Il nome deriva dal turco bey armudu, “pero del signore”, e le sue origini si perdono nel mito. Diffusosi in Europa fra Seicento e  Settecento, conquistò in breve tempo le corti del Vecchio Continente, assurgendo al ruolo di elemento distintivo di raffinatezza, buon gusto e, soprattutto, ricchezza.

«Aveva però un difetto – scrive Arillotta –: la sua coltivazione era molto difficile e dispendiosa; ma questa condizione cessò quando arrivò sulla sponda reggina dello Stretto. Qui il bergamotto ha saputo crescere come in nessuna altra parte del mondo. Giustamente quindi si parla di bergamotto di Reggio Calabria: ma mentre per tre secoli la sua coltivazione fu destinata solo alla industria profumiera, dalla metà del secolo scorso se ne è riscoperto l’utilizzo in gastronomia. Il bergamotto è infatti un ottimo esaltatore del gusto e rende i piatti assolutamente unici». 


Bergamotto - foto Shutterstock

IL SUINO NERO DI CALABRIA
Arillotta ci prende per mano e ci accompagna alla scoperta di piatti figli della tradizione popolare e del territorio, regalando anche curiosità e aneddoti, è proprio il caso di dirlo, ricchi di sapore. Come quando, parlando del suino nero di Calabria, ci riporta come suo grande estimatore nientemeno che Giacomo Casanova. Il grande seduttore veneziano aveva vissuto per un breve periodo in Calabria e di quell’esperienza, di cui aveva un pessimo ricordo, salvava solo «i meravigliosi salumi, mai più assaggiati altrove!». Solo da pochi decenni si è ripreso ad allevare, alle pendici dell’Aspromonte e rigorosamente allo stato brado, il maialino nero, che stava scomparendo. La sua carne, molto più magra di quella dei suoi simili grazie anche a una alimentazione tutta naturale, è oggi apprezzatissima. 
 


Suino nero di Calabria - foto Vincenzo Bellina

LA STRUNCATURA
Altro piatto immancabile sulle tavole reggine è la struncatura, particolare qualità di pasta prodotta principalmente nella Piana di Gioia Tauro. «Leggenda vuole che fosse fatta con gli scarti della molitura dei cereali, raccolti da terra. In realtà la sua origine e il suo nome sono legati a un pastificio fondato a Gioia Tauro da amalfitani che la realizzavano con i residui della pasta, che venivano struncati, ovvero tagliati, per consentire l’impacchettatura dopo l’essiccazione» racconta Arillotta. La forma è quella delle linguine, ma era una pasta di seconda scelta, venduta a un prezzo più basso e condita con (poco) olio, sardine sottosale e mollica di pane abbrustolita al posto del ben più costoso formaggio. Ancora oggi la struncatura è un piatto molto apprezzato, nonché il portabandiera di una cucina povera ma che sapeva coniugare risparmio e gusto.


Struncatura - foto Vincenzo Bellina

IL PESCESPADA E IL PESCESTOCCO
Citiamo poi quello che è forse il piatto più famoso di questo territorio, il pescespada. Un animale che fin dall’antichità viene pescato con una tecnica del tutto particolare, come racconta Arillotta: «Sulle colline prospicienti si collocano degli osservatori che comunicano alle barche l’arrivo dei pesci. Una volta avvenuta la segnalazione, il compito di osservare viene assunto da un pescatore esperto collocato su un lungo albero (l’antenna) da cui guida i rematori. Questi, a forza di vogate, avvicinano la punta della barca da cui sporge una lunga passerella, alla cui estremità è collocato un altro esperto pescatore, il fiociniere, il quale, grazie alle urla dell’uomo sulla coffa, individua il pescespada e lo colpisce». Inizialmente lo si cuoceva alla brace, con l’aggiunta di solo olio e origano; di recente l’utilizzo anche di pomodori, capperi e olive ha creato la ricetta alla ghiotta o “alla bagnarota”, da Bagnara, uno dei centri marinari dove questo piatto sarebbe nato.


Pesce spada - foto Vincenzo Bellina

Anche il pescestocco, ovvero lo stoccafisso, rientra tra gli ingredienti tipici della tradizione reggina; anzi, la grande diffusione ha permesso di farne un piatto identitario, oggi legato ai nomi dei centri di Cittanova e Mammola. «Il suo uso era diffusissimo nelle nostre contrade perché contribuiva all’alimentazione nei molti giorni di magro imposti dal rito cattolico» spiega Arillotta; «oltre a ciò offriva una robusta ed economica integrazione alla dieta di tutti i giorni, essendo un ottimo sostituto della ben più costosa carne rossa». Da notare come l'ammollo nelle acque ricche di calcio provenienti dall'Aspromonte consenta allo stoccafisso di diventare bianchissimo e di perdere l'odore intenso che lo contraddistingue.

Pesce stocco - foto Vincenzo Bellina
LO JURMANU
Chi ha mai portato la segale fino in Calabria? La questione è aperta, ma la certezza è che il cereale tipico del centro Europa, facile da coltivare, è presente nel territorio da secoli ed è stato recentemente riscoperto nell'ambito del recupero delle colture tradizionali. «Oggi lo Jurmanu conosce una nuova popolarità, tanto da essere utilizzato anche per altri prodotti alimentari in cui si incontrano diversi ingredienti locali, e in cui lo jurmanu gioca un ruolo determinante ma soprattutto per i lievitati come pane e pizza» spiega Arillotta. 


Pizza realizzata con la farina di segale (Jurmanu) - foto Vincenzo Bellina

I VINI
E per finire i vini, famosi dai tempi dei greci, che chiamavano Enotria la regione (ovvero terra del vino). La Città Metropolitana di Reggio Calabria ha ottenuto due riconoscimenti Doc: il Bivongi (un rosso) e il Greco di Bianco (un vino passito la cui produzione è mantenuta intatta secondo metodi millenari). Accanto a queste due Doc, oggi Dop, si sono via via aggiunte alcune IGT, che, nel rispetto della tradizione, hanno permesso di rilanciare alcuni vitigni come il Gaglioppo, il Calabrese, Magliocco, Nerello, Greco Nero e Bianco, utilizzati per produrre Costa Viola, Scilla, Arghillà, Pellaro, Palizzi e Locride, tutte IGT della Città Metropolitana, oltre alla IGT Calabria, condivisa in tutto il territorio regionale. «Un territorio da scoprire quindi, e da gustare in tutte le sue sfumature, innumerevoli come quelle di un tramonto sullo Stretto» conclude Arillotta. E noi non possiamo che essere d'accordo.


Greco di Bianco - foto e-borghi

INFORMAZIONI
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