Usare la bicicletta come la penna, o la penna come la bicicletta è una bella capacità. In tutte e due i casi significa saper andare lisci e leggeri, essere capaci di assecondare le situazioni più diverse e accompagnare chi si vuole affidare al pilota/autore in terreni inesplorati e interessanti. Gino Cervi va in bicicletta da quando era bambino e da allora non ha mai smesso, anche perché da adolescente voleva un motorino ma non glielo hanno mai comprato. E magari sarebbe finito a scrivere di MotoGp, invece di innamorarsi del sudore delle pedalate.
E allora piace pensare che sia anche per questo, e perché la madre sarta era una grande appassionata di ciclismo come il nonno camionista, che Cervi si è appassionato alle due ruote sia nella versione attiva, pedalare e scoprire il territorio, che in quella passiva: guardare il ciclismo. «Per me la bicicletta è sempre stata un bel momento di rigenerazione mentale e fisica, è pedalando che mi vengono le idee» spiega. Idee come quella di seguire per intero almeno una volta nella vita la carovana del Giro d’Italia, evento che per chi ama il ciclismo rimane, nonostante decenni di scandali e il professionismo esasperato, il momento più atteso dell’anno. «Quei pomeriggi di maggio per me hanno sempre rappresentato un appuntamento e una passione. Da quando giocavo con le biglie con le foto ciclisti a quando ho letto gli scrittori e i giornalisti, da Dino Buzzati a Gianni Brera, da Alfonso Gatto a Vasco Pratolini, che con la forza dell’immaginazione e le arti della narrativa hanno raccontato le imprese del Giro».
Una passione che Cervi racconta in “Ho fatto un giro” (Touring Club Italiano, pag. 206) dedicato a una edizione assai particolare del Giro, quella 2020. «Una edizione fuori stagione: l’unica corsa a ottobre, quando la luce declina e il freddo aumenta. E in condizioni strane, in una bolla senza pubblico sulle strade, senza quella festa che è propria del Giro, per cui seguirlo offriva spunti e prospettive inedite». Già, perché se il Giro ha fascino è perché «è ancora una festa popolare e mobile, l’unica che non ha bisogno di un luogo circoscritto ma occupa ancora uno spazio pubblico e gratuito. E poi ancor oggi il fascino del ciclismo risiede nella fatica dei corridori, che è visibile. La sfida umana alla strada è tangibile per cui appassiona al punto che nelle tappe di montagna le persone si assiepano ancora per attendere il passaggio del gruppo, per vedere per pochi istanti i corridori».
Così dal 1909 la corsa rosa riesce a essere un rito collettivo che è diventato epica. Un rito di cui Gino Cervi in Ho fatto un giro racconta sia brevemente la cronaca di tappa, sia le storie che fanno da contorno. «Ho sempre pensato che la bicicletta ti porta incontro alle storie e così è stato anche in questa occasione in cui abbiamo seguito la corsa dalla Sicilia a Milano. Storie che in parte avevo trovato prima studiando il percorso, e che in parte invece mi sono letteralmente venute incontro mentre in auto percorrevamo le tappe qualche ora prima dei corridori» racconta.

«È stato certo strano attraversare posti che normalmente si imbandierano e dipingono di rosa per salutare la corsa e invece trovare questo vuoto obbligato» racconta. «Si è certamente perso un poco di quell’atmosfera che si crea quando la gente esce di casa e aspetta magari per un’ora di veder passare per qualche istante il gruppo e tutto il seguito» spiega. «Eppure i luoghi risuonano ancora dei corridori, ci sono le scritte che inneggiano e l’accoglienza calorosa quando nella corsa c’è un atleta della zona» spiega.

Ma soprattuto per Cervi il fascino del Giro, oltre alle storie atletiche che si porta appresso, sta nelle strade che percorrere. «Al Giro vince la provincia, nel senso che attraversi luoghi di cui ignoravi l’esistenza e che sono pronti a sorprenderti». Luoghi sempre più fuori mano, tagliati via dalla nuova viabilità autostradale e che invece la carovana tocca. «Perdendosi in un gomitolo di strade secondarie fuori dalle rotte il Giro ti permette di arrivare che so, a Portella Mandrazzi, che mai avevi immaginato esistesse. E lì, nel passo che mette in comunicazione il versante Ionico e quello Tirrenico della Sicilia, unendo Nebrodi e Peloritani con una vista gloriosa sulle Eolie, trovare una storia dimenticata, quella dei villaggi Schisina, costruiti negli anni Cinquanta dalla Regione Sicilia per dare un tetto ai contadini che finalmente si vedevano assegnati delle terre dall’abolizione del latifondo. Case da assegnare per sorteggio che non vennero praticamente mai abitate». Storie di cui si legge in "Ho fatto un giro", perché ciclismo e belle parole da sempre pedalano nella stessa direzione.

INFORMAZIONI
- Ho fatto un giro, di Gino Cervi - Touring Club Italiano, collana Geografie
- Pag. 206, 14 €, soci Tci 11,20 €
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