La sera del 12 gennaio Haiti ha ritrovato il suo posto sulle carte geografiche. Sono serviti un terremoto del settimo grado della scala Richter, 200mila morti e una capitale in framtumi. Allora, Haiti è diventata una notizia con cui aprire i telegiornali. Col dito si puntava la cartina, qualcuno diceva: “Ah, ecco: è l’altra metà di Santo Domingo. Ci sono stato, in un villaggio”. A Santo Domingo, chiaro. Così per qualche settimana Haiti si è trasformata in un luogo emotivamente vicino. Prima non era un bel posto. Era un inferno e non faceva notizia. Era semplicemente l’altra faccia dei Caraibi: niente cartoline, balli tropicali e moijitos. Piuttosto: povertà, violenza e squallore. Eppure, quando Haiti era un buco nella carta geografica c’era lo stesso qualche giornalista e qualche fotografo che si sono presi la briga di andare e vedere. Vedere e raccontare cos’era Haiti, la perla nera dei Caraibi, quando gli altri se ne erano dimenticati.

Moises Saman e Lucia Capuzzi probabilmente non si conoscono. Lui è nato in Perù, ma è cresciuto in Spagna. Fa il fotografo e preferibilmente racconta “sfighe”: luoghi che diventano copertina solo quando accade qualcosa. Lei è nata a Cagliari e lavora alla Rai di Torino. Fa la giornalista. Anche lei ha una certa predilezione nel raccontare le sfortune del mondo. Insomma, tutti e due se le vanno a cercare. E infatti tutti e due sono stati ad Haiti prima del 12 gennaio. Saman nel 2006 è andato a immortalare le elezioni presidenziali, l’ennesimo tentativo riuscito a metà di dare una classe politica dignitosa a un Paese perennemente instabile. Prima colonia al mondo ad avere l’indipendenza - era il 1791 e i rivoluzionari francesi ancora credevano nell’egalitè, libertè e fraternitè - Haiti negli ultimi 50 anni ha avuto una storia piuttosto travagliata. Prima ha avuto Duvalier padre - ovvero il dittatore Papa doc - poi suo figlio. Jean-Claude - il terribile Baby doc. Poi, dal 1986, presidenti eletti democraticamente che finivano per tenersi il potere all’infinito, come Jean-Bertrand Aristide. Lucia nell’estate del 2009 è stata a Port-au-Prince per raccontare il lavoro di una manciata di ong che da qualche anno operano nelle bidonville della capitale. Dopo il terremoto Saman è tornato per vedere quel che è rimasto di Haiti. Mentre Lucia ha tessuto la tela dei coperanti rimasti sull’isola è ha raccolto le loro storie. Le loro, ma soprattutto quelle degli haitiani cui ora è rimasta, forse, solo la speranza.

Queste testimonianze sono diventate una mostra - The Melancholy of shadows, organizzata da Daria Bonera presso lo spazio Tadini di Milano (ma poi andrà anche a Roma) - e un libro: Haiti, Il silenzio infranto. L’ideale sarebbe andare alla mostra dopo aver letto il libro. Ma forse si può anche leggere il libro come approfondimento alla mostra. O magari usarlo come catalogo. Sia come sia, prima serve guardare una carta geografica. E vedere dov’è Haiti, l’altra faccia dei Caraibi.

Info:

Moises Saman, The Melancholy of shadows.

Da martedì a sabato, orario 15.30-19.00, presso Spazio Tadini, tel. 366.4584532; qui.

Lucia Capuzzi, Haiti. Il silenzio infranto. Marietti 1820, pag. 168, euro 13.