Gino Cervi, scrittore e giornalista, è autore di volumi di storia dello sport e curatore di guide turistiche (tra cui molte del Touring Club Italiano). Cultore di storia del ciclismo e di letteratura di viaggio, ci racconta storie di bicicletta, a partire dal Giro d'Italia 2016.
 

Ci sono gli scalatori e i discesisti, i finisseurs e i cronomen, i Monsieur Roubaix e i quelli da terza settimana di corsa. Da sabato 14 maggio, abbiamo nel novero delle specialità ciclistiche un consacrato sterrista, uno che fa delle strade sterrare il suo congeniale trampolino di lancio.
Gianluca Brambilla, 28 anni, nome lombardissimo, vicentino di adozione e di parlata, ha messo tutti alle spalle nella tappa Foligno-Arezzo. Lo ha fatto dopo una lunga fuga trasformata in assolo grazie ai 6 km e rotti di sterro sull'inedita salita dell'Alpe di Poti: quando è finito l'asfalto, Brambilla ha cominciato a volare e la polvere l'hanno mangiata gli inseguitori. Vittoria di tappa, per distacco, e maglia rosa, conservata ieri, anche se solo per un nonnulla, nella cronometro sulle “colline russe” del Chianti.

E POLVERE E FANGO
C'era un tempo in cui le strade del ciclismo erano bianche. Fino alla motorizzazione di massa, negli anni Sessanta, i fondi stradali, soprattutto quelli delle epiche imprese in montagna, erano in terra battuta.
 
Ai tempi del ciclismo dei pionieri dei primi decenni del '900, era temutissimo il Macerone, un valico negli Appennini sanniti: ma ancora più che per le pendenze, per il fatto che in caso di maltempo la salita si sarebbe trasformata in una fiumara di fango. Sull'altipiano delle Cinquemiglia, nell'alta val di Sangro – era il Giro d'Italia del 1921, il primo vinto da Giovanni Brunero – , il campionissimo Costante Girardengo scese di sella e stremato tracciò una croce col piede nella polvere dello sterrato. Nel 1936 la strada del passo Rolle, che vide passare per la prima volta il Giro d'Italia sulle Dolomiti, era sterrata e salutò un giovanissimo Gino Bartali in fuga solitaria.

E ancora Fausto Coppi, nella mitica galoppata da Cuneo a Pinerolo, il 10 giugno 1949, diciassettesima tappa del Giro, scollinò cinque passi su strade bianche: Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere. Senza poi dimenticare la leggendaria invettiva di Octave Lapize lungo i tornanti sterrati del Tourmalet, al Tour del 1910, contro gli organizzatori della corsa francese: "Vous êtes des assassins. Oui, des assassins!".


 
UN MANIFESTO PER LE STRADE BIANCHE
L'epica del ciclismo eroico è stata da qualche anno riscoperta insieme alla bellezza delle strade bianche. Ed è una riscoperta che, oltre che sportiva, è soprattutto paesaggistica. Pionieri, in questo senso, sono stati gli Eroici di Gaiole in Chianti, che nel 1997 hanno inventato la ciclostorica più famosa al mondo, l'Eroica.
 
Tra Chianti, val d’Arbia, val d’Orcia e Crete senesi si snodano centinaia e centinaia di km di strade a bassissima incidenza di flusso automobilistico, e quasi del tutto immuni dal traffico pesante, ambito ideale per pedalare su due ruote in sicurezza e godere in armonioso silenzio di uno dei più bei paesaggi del mondo. Molte di queste strade sono appunto strade bianche. Questo patrimonio storico-paesaggistico ormai da quasi vent'anni viene riconosciuto, difeso e preservato dagli amministratori locali che hanno sottoscritto un “Manifesto per la tutela delle strade bianche”.
 
Ma ai vincoli di tutela, e alle attività di censimento dei tracciati, è indispensabile affiancare anche buone pratiche di manutenzione. Preservare ambiente e paesaggio non può infatti andare a scapito di chi continua a vivere in questo contesto, ed è il principale garante del mantenimento di questo habitat di eccellenza. La manutenzione dei fondi sterrati, e dei manufatti che tradizionalmente ne corredano il contorno – muretti a secco, ponticelli, tabernacoli votivi – , richiede un’opera attenta e assidua di molte persone, che in modo davvero eroico continuano a prendersi cura delle strade bianche. Un illuminato esempio di impegno collettivo, che coinvolge istituzioni e attori sociali ed economici che operano nel territorio e ha, in questa sua dimensione condivisa, la forza di un progetto di civiltà, memoria e cultura.

BRAMBILLA AL GIRO D'ITALIA
Nel 1932 Achille Campanile, grande umorista, seguì il Giro d'Italia. Da quegli articoli, spiazzanti e paradossali, nacque il libro Battista al Giro d'Italia. L'inviato speciale si entusiasmava non tanto per i vincitori ma per quelli che restavano, eroicamente, faticosamente indietro, senza però mai mollare. Al suo fianco, in bicicletta, l'ineffabile maggiordomo Battista.
 
Brambilla non resta indietro e non è Battista. Gianluca Brambilla è uno sterrista: due mesi fa, alle Strade Bianche, la corsa in linea senese che ormai fa stabilmente parte del calendario delle classiche di primavera – e che nasce da una costola dell'Eroica – , tenne testa fino alla fine a campioni come Cancellara, Stybar e Sagan, arrivando terzo. Ma il senso di Brambilla per lo sterro si era già manifestato nel 2009.

Era l'ultima tappa del Giro Bio, ovvero il Giro d'Italia dilettanti. Anzi, qualcosa di più: il tentativo di ridare credibilità, partendo dalla base e dai giovani, a un movimento ciclistico sempre più devastato dall'incultura del doping. Si partiva da Cavriglia e si arrivava, guarda caso, a Gaiole in Chianti. All'epoca, dice Giancarlo Brocci, “papà” dell'Eroica e organizzatore del Giro Bio, così tante “strada bianca” in una corsa a tappe era visto come uno sbarco sulla Luna. Sul traguardo di Gaiole arrivano in due e allo sprint vinse Gianluca Brambilla. In quel Giro Bio, oltre a Brambilla, correvano Montaguti, Trentin, Dumoulin, Moreno Moser: allora ragazzi di belle speranze, oggi protagonisti di questo Giro d'Italia. E ci piace pensare che siano riusciti a portare anche nel mondo dei grandi, nonostante in genere crescendo si peggiori, un po' di quello che impararono intorno all'onestà e al valore della fatica del pedalare.